Per motivi di riservatezza i nomi di alcuni dei protagonisti della storia di guerra e d’amore di seguito raccontata sono stati alterati, cosi come risulta contraffatta qualche data. Di Giovannina G. si e ritenuto, invece, di pubblicare il vero nome perché la sua meravigliosa vicenda d’amore la pone senza riserve sull’altare della memoria.
Giovannina G. era una bella ragazza di Balsorano dal viso chiaro e vellutato e dai capelli corvini. Apparteneva a famiglia benestante e data la sua avvenenza, la madre Maria ed il padre Luigi avevano presagito per lei un matrimonio agiato e felice. A diciassette anni la fanciulla si era fidanzata segretamente con un ragazzo suo compaesano di due anni più anziano, aitante, bello anche lui e di carnagione scura. Si erano conosciuti in uno dei diversi mulini in quel tempo esistenti a Balsorano allorche un giorno madre e figlia vi si recarono con il calesse per macinare il grano. A prima vista furono folgorati da un amore casto e candido e le loro effusioni erano limitate a lunghi sguardi innocenti, mano nella mano e qualche bacio appena sfiorato. Si vedevano di nascosto e per rendere palese il loro amore attendevano che lui avesse compiuto l’imminente servizio militare di leva.
Il ragazzo si chiamava S. ed allorché gli pervenne la cartolina di precetto gioì in maniera smisurata. Diciotto mesi trascorrono presto, diceva tra se e se e poi sarò fidanzato ufficialmente con Giovannina. Potrò andare in casa sua, potrò passeggiare con lei alla luce del sole e, dopo qualche mese, saremo marito e moglie ed avremo almeno sette figli! Era felice anche lei, Giovannina, ed il pensare che di li a due anni sarebbe diventata la moglie del suo grande amore la rendeva pazza di contentezza. – Io avrò circa diciannove anni e lui oltre ventuno: per ambedue e l’età giusta per sposarsi! In previsione del lungo periodo di separazione era loro desiderio di scambiarsi le fotografie ma entrambi ne erano sprovvisti.
Decisero di fare una capatina a Sora presso un fotografo, ma l’impresa risulto molto ardua: tra l’andata e ritorno sarebbero trascorse alcune ore e questa lunga assenza, per lei, sarebbe stata senz’altro notata. – Andro giovedì prossimo con mia madre; tu fatti trovare all’ingresso di Sora dov’e la Croce! Con una qualsiasi scusa, poi, mi allontanerò da lei ed andremo insieme dal fotografo! – disse al fidanzatino con quel dolce sorriso che la distingueva. – Si, amore mio, sarò li certamente. Andro presto al mattino con la bicicletta! – rispose lui sfiorandole una mano con le labbra. Sora aveva subito, dal recentissimo terremoto, notevoli danni. Le case erano tutte notevolmente danneggiate e le vie ancora ingombre da detriti, calcinacci e pietre. Appena dopo il ponte di ferro, sul quale si transitava con difficolta, vi era il mercato e sulla porta di un fabbricato vicino si leggeva a malapena l’insegna sbilenca del fotografo. Mentre la madre era intenta a trattare il prezzo di alcuni capi di biancheria, Giovannina le disse: – Aspetta qui e non muoverti! Vado a guardare la vetrina di scarpe che sta poco più su! Il ragazzo era gia in attesa vicino all’ingresso del laboratorio fotografico.
Poso prima S. il quale venne con un sorriso smagliante perchè la ragazza, guardandolo in quella posizione, rideva divertita, facendogli anche le boccacce. Quando tocco a lei il negoziante consiglio il giovanotto di girarsi di spalle e di non guardare. Infine il fotografo chiese se erano intenzionati di fare una posa l’uno accanto all’altra abbracciati, ma ambedue, arrossendo, assicurarono che andava bene cosi. Alle sue insistenze si sedettero sullo sgabello ma non se ne fece nulla perché ripresero a ridere e, ridendo, si muovevano in continuazione. Al ritiro provvide S. qualche giorno dopo. Giovannina, con quel nasino all’insù, era molto fotogenica. Al momento dello scatto aveva dischiuso le labbra lasciando, in tal modo, scoperte due fila di denti che parevano perle. Il pomeriggio avanti il giorno della partenza si videro segretamente al solito posto.
Si presero per mano, si scambiarono le fotografie e pronunciarono intense parole di amore. Lei esclamo infine: Fatti dare subito un po’ di licenza perchè io non resisto senza vederti almeno passare sotto le finestre di casa mia! – Hai il mio ritratto! Ma io voglio guardarti dal vivo! Si diedero un lungo bacio sulla bocca, a labbra serrate, e si separarono. Il soldatino S., dal Distretto militare di Sulmona, fu assegnato agli alpini con destinazione Udine. Viaggio con altre reclute e durante il tragitto non fece altro che tenere davanti agli occhi la fotografia della sua amata. Scopri le sue sopracciglia di un nero intenso, lunghe e ben delineate, la perfetta simmetria della bocca con il nasino delizioso, gli occhi profondi che esprimevano bontà ed un pizzico di mistero. Era veramente stupendo il viso della ragazza in quel ritratto, forse più bello di come fosse in realtà. Al collo portava una catenina d’oro con un ciondolo che pendeva all’interno fin oltre la scollatura del vestito e per la prima volta riflette su quei seni immacolati.
Non ne aveva mai visti, ma ricordava in modo vago quelli della madre, sformati dal latte e dalle poppate sue e degli altri fratelli e sorelle. Quelli di Giovannina li immagino non eccessivamente grandi ma certamente più rotondi e sodi. A Udine S. espleto il servizio di leva con massacranti istruzioni militari che duravano dall’alba al tramonto. Il tempo libero lo trascorreva scrivendo lunghe lettere alla sua amata. Dopo tre mesi il suo reparto di appartenenza affronto il campo invernale sulle montagne a confine con l’Austria. E mentre era in quelle località scoppio la guerra: era il giorno 24 maggio 1915. Giovannina, a sua volta, gli rispondeva puntualmente ed essendo l’ufficio postale chiuso la domenica, il lunedì successivo di lettere ne inoltrava due. Appresa la notizia della guerra, la ragazza divenne taciturna. Perse anche l’appetito e trascorreva il tempo contemplando le sembianze del suo amato sposo che di giorno portava nel petto e di notte poneva sul cuscino accanto al viso.
Un giorno la madre la sorprese mentre era intenta a guardare la fotografia. Lei arrossi ed abbasso il capo. – Quando te l’ha data, … forse quel giorno in cui ci recammo a Sora?… oppure i ritratti li avete fatti proprio quel giorno? Che credi di non essermene accorta? Li alla croce notai che lui incomincio a seguirci come un gattone in amore. Le mamme fanno finta di nulla ma i loro occhi rilevano tutto! Ho il timore che possa morire in guerra! disse Giovannina scoppiando in un pianto dirotto. – Iddio lo assisterà perché e un bravo ragazzo! – rispose la madre accarezzandole i capelli Ora dammi la foto che voglio guardarlo bene! Tieni, prendila!… Ha gli occhi troppo onesti e di una bontà rara! esclamo la donna convinta di ciò che diceva Non può e non deve morire! La sera del 4 novembre 1918 a Balsorano arrivo la notizia che la guerra era terminata vittoriosamente. Giovannina, felice e gratificata, rilesse ancora una volta la lettera di S. arrivata nella mattinata.
Era stata scritta il 27 ottobre ed esprimeva la speranza in un imminente congedo. A Balsorano in tutte le case dei combattenti sopravvissuti fu fatto festa. Festeggio anche la famiglia di S. nonostante due anni prima fosse morto in guerra un altro figlio. Per via di questo grande amore, gia da diverso tempo, i rapporti tra la famiglia del ragazzo e quella della ragazza si erano consolidati. Giovannina spesso faceva delle visite alla futura suocera, la quale aveva preso a benvolerla al pari di una figlia. Verso mezzogiorno del 7 novembre la fanciulla, avendo ricevuto una nuova lettera del fidanzato, scritta qualche giorno prima, andò a darne notizia ai suoi familiari. In casa trovo soltanto la madre che stava cucinando. Poco dopo fu bussato alla porta: era il maresciallo, accompagnato da un carabiniere, al quale era pervenuto, in mattinata, il 58’ telegramma di morte. Recitava più o meno: ”Il giorno…… alle ore 16, e deceduto per un colpo d’arma da fuoco l’alpino …S., mentre il suo reparto era all’inseguimento del nemico. Pregasi esternare ai familiari, costa residenti, le condoglianze di questo reggimento e mie personali. Il colonnello comandante”.
Nei giorni che seguirono Giovannina divenne una larva umana. Le sue condizioni fisiche destarono molte preoccupazioni ma, infine, se la cavo. Indosso un abito nero che le copriva anche i piedi, accollato e con le maniche lunghe, sia d’estate sia d’inverno, e sempre della stessa foggia. Sul capo mise un fazzoletto nero, legato sotto il mento, che nascondeva quasi completamente il suo bel viso. Dopo sei mesi pose, per la prima volta, i piedi fuori casa per recarsi in chiesa due volte al giorno. Trovo grande conforto nella fede e si dedico all’insegnamento della dottrina cristiana ai ragazzi che si accingevano a fare la prima comunione.
Verso i venticinque anni incomincio ad avere numerose e discrete profferte di matrimonio che rifiuto sempre dignitosamente e con garbo. Meno sempre la stessa vita di rassegnazione e di privazioni fino a quando, ormai ottantenne, cesso di vivere, tra l’indifferenza dei suoi compaesani. Durante la sua non breve vita nessuno ha mai potuto dire di averla vista sorridere, se non quando al mattino in chiesa si accostava all’altare per ricevere la comunione. Cosa che faceva tutti i giorni.