Gli anni 1943 e 1944 sono stati veramente brutti per il nostro Paese, per la Marsica, per Avezzano, e per un ragazzo di quindici anni sono ancora più difficili da dimenticare se, alla guerra, ai lutti, alla fame, alle privazioni, si aggiunge la situazione, come tante d’altronde, di un padre disperso in Africa, anche se qualche tempo dopo si venne a sapere, tramite il Vaticano che, fatto prigioniero a Bardia, piccolo centro della Cirenaica, era stato trasferito nel campo di concentramento n 25 a Bombay, in India. Ad Avezzano, la presenza tedesca fu massiccia, data l’importanza del nostro nodo ferroviario e stradale, e gli stessi tedeschi, nel mese di ottobre del 1943, nelle scuole elementari del mio rione, il Cupello, alloggiarono delle famiglie di Alfedena, fatte evacuare a forza dal loro paese in modo da approntare una linea difensiva lungo il fiume Sangro.
Durante il periodo della loro permanenza, si instauro un forte senso di solidarietà da parte delle famiglie del mio rione che, nonostante le fortissime ristrettezze, si strinsero attorno a coloro che in quel momento, lasciata a forza la loro casa, stavano forse perdendo tutto quel poco che gli restava; e ci adoperammo cosi per il sostentamento di quanti era possibile, e in particolar modo per i bambini e gli anziani. Mi piace ricordare per primo un episodio che, anche se sviluppatosi in un tale contesto, appare decisamente meno drammatico di molti altri ai quali avevo assistito: un mio vicino di casa, Mario Sedici, era da poco tornato dal fronte greco-albanese, sul quale aveva combattuto da alpino e come tale era fiero dei suoi baffi e pizzetto.
Una mattina, vestito con camicia e pantaloni militari, mentre si trovava in compagnia di amici, si avvicinarono due tedeschi, uno dei quali ebbe la malaugurata idea di insultarlo apostrofandolo con un ”Feige italienisch”, «Vigliacco italiano»; in quel momento a Mario, come lui racconta, tornarono in mente tutte le scene a cui aveva assistito durante la guerra in Albania, prima, e in Grecia dopo. Risultato: il povero tedesco si trovo allungato per terra steso da un pugno in pieno viso. Come era da immaginarsi, il soldato malmenato ed i suoi camerati si misero alla ricerca del povero Mario il quale, nella speranza di sfuggire alla cattura, entro dentro l’abitazione di amici e, in assenza di altro nascondiglio, si infilo nella cappa del camino acceso. I tedeschi, dopo aver messo a soqquadro tutto, e non trovandolo, se ne andarono; cosi Mario, uscito dal suo rifugio, si lavo dalla fuliggine, si taglio i tanto amati baffi e pizzetto e si avvio verso casa, dopo essersi cambiati gli abiti, ma, fatti pochi metri fu fermato da una pattuglia di soldati.
In quel momento si senti perduto, ma, con sua grande meraviglia non fu riconosciuto; gli chiesero invece, se per caso avesse visto passare un giovanotto con barba e baffi vestito con abiti militari: Mario con sommo candore e, al tempo stesso, con una faccia tosta all’inverosimile rispose: ”No! Io sono qui da dieci minuti circa e le uniche persone che ho visto passare sono due vostri camerati uno dei quali sembrava arrabbiatissimo ed aveva un occhio nero.” Purtroppo pero, per un episodio che, col senno di poi, può apparire anche pittoresco, ve ne sono centinaia che rappresentano appieno quella che era la realta che si stava vivendo nel nostro paese: ogni giorno i tedeschi passavano con i loro camion e, con la minaccia delle armi ed al grido ”Kommen hier, schnell” «Venite qui presto», rastrellavano giovani che potessero essere utili per i loro lavori. Io stesso fui preso più di una volta per caricare le patate a contrada 8000, nel Fucino, oppure per spalare la neve sul valico di Forca Caruso, dove rimanevano bloccate le colonne di rifornimenti per le truppe germaniche che operavano lungo il fiume Sangro o, aneora, per caricare camion di gomme per auto immagazzinate nei capannoni Vendittelli, dietro la stazione ferroviaria. Una mattina di gennaio del 1944, durante uno di questi rastrellamenti, io ed altri miei coetanei, eravamo fermi in una zona assolata cercando di scaldarci un poco, quando arrivarono dei camion sui quali i tedeschi avrebbero voluto far salire i presenti.
Da parte nostra ci fu un Fuggi-Fuggi generale ed i soldati cominciarono a sparare proprio contro di noi, ferendo gravemente un mio coetaneo il quale, portato in ospedale, mori dopo alcuni giorni di agonia: si trattava di Vituccio Loconsole che, l’anno prima, aveva perso il fratello Mario in guerra. Ma anche ad Avezzano la situazione si faceva sempre più insostenibile per cui sfollammo presso la casa di cugini di mio padre, a Trasacco, e, per non essere presi dai tedeschi, io ed altri miei coetanei ci nascondemmo nella grotta Continenza. Questa grotta fu da noi cosi ribattezzata perché un nostro compagno, Continenza appunto, ancora impaurito, lascio questo rifugio per ultimo, alcune settimane dopo l’arrivo degli inglesi. In questo rifugio, nella montagna tra Ortucchio e Trasacco, c’erano con me Loreto Pescante, Antonio Oddi (detto Din Don), Gino Di Passio, i fratelli Ubaldo e Gino De Ciantis, Archimede Salucci, Angelo Pagnani, Manfredo Presutti, ed altri di cui, purtroppo, a distanza di cinquant’anni, non ricordo il nome.
Da questo luogo fummo spettatori, nostro malgrado, di alcuni episodi che precedettero l’abbandono della zona da parte dei tedeschi: assistemmo al ritrovamento dei corpi senza vita di alcuni partigiani, gettati in località Tre Portoni del Fossone, cosi chiamato il canale di Fucino dalla gente del posto; ai bombardamenti che subì Avezzano il 22 e 23 maggio del 1944, durante i quali vedevamo, prima la luce delle esplosioni e poi udivamo gli scoppi. Assistemmo inoltre all’azione di una squadra di guastatori tedeschi che, nei primi giorni del mese di giugno, fecero saltarc tutte le linee telefoniche ed elettriche della periferia di Trasacco e, una volta terminato, fecero razzia di animali, trasportandoli nel recinto della casa del guardiano di Torlonia, sita agli inizi della strada n’ 36. Da questo episodio pensammo che forse l’occupazione stava per finire e, difatti, qualche giorno dopo arrivarono gli inglesi, paracadutati in localita Canale e Candelecchia tra Collelongo e Trasacco.
Mia moglie Angela ricorda
Ma anche i piccoli centri non furono risparmiati dalla ferocia della guerra: mia moglie Angela mi racconta che, nel suo paese natio, S. Stefano di Sante Marie, sopra Tagliacozzo, fu spettatrice di un episodio che riguardava alcuni paracadutisti alleati. Questi soldati vennero fatti prigionieri dai tedeschi grazie all’aiuto di alcuni collaboratori fascisti e, dopo che furono rinchiusi dentro un fienile, si cominciarono a sentire delle urla, che proseguirono per tutto il giorno e tutta la notte. Il mattino seguente vide passare, provenienti dal fienile, delle barelle che trasportavano dei corpi coperti con lenzuola, dalle quali fuoriuscivano le braccia penzoloni: le mani di alcuni di questi sventurati avevano tutte le dita prive di unghie, evidentemente strappate, altri le avevano completamente nere con ancora il filo di ferro attaccato ai polsi stretto cosi forte da causare la fuoriuscita di sangue. A distanza di tanti anni questi indelebili ricordi di morte, distruzione, ferocia inaudita contro i propri simili, mi fanno pensare alle decine di altre guerre nella ex Jugoslavia, in Somalia, in Medio Oriente, e non riesco a capire come tutto ciò possa ancora accadere. Forse la lezione del passato non e servita più di tanto, ma, sicuramente, noi adulti siamo stati pessimi maestri.