LA VALLE ROVETO (i Marsi Antinati)

Dopo il capitolo precedente che introduce improvvisamente, anche se con molte incertezze, la Valle Roveto nella storia con l’episodio del 346 a. C., e venuto il momento di far luce sulla popolazione che abito la nostra valle, sui nostri colli e alle pendici dei nostri monti. Se il più lontano passato ci fu contrario e avaro di notizie, non fummo completamente tagliati fuori dalla storia. A parte gli avvenimenti che potettero svolgersi nelle terre attraversate dal Liri nel suo primo corso e che noi possiamo ricostruire, seguendo le narrazioni degli storici latini, una indicazione, senza dubbio decisiva, del popolo che abito Valle Roveto, ci viene data da Plinio il Vecchio, il grande naturalista (23-79), morto tragicamente nell’eruzione del Vesuvio. La sua testimonianza ci fissa con certezza il popolo che abitava la Valle Roveto.

Plinio dunque, nel libro III delle Storie del Mondo, tra i Marsi ricorda anche gli Antinati. Lo scrittore latino, accingendosi ad elencare le terre d’Abruzzo;–. le annunzia subito come le più forti, le più valorose d’Italia. Esse appartenevano tutte alla quarta regione delle undici regioni, in cui aveva l’imperatore Augusto diviso l’Italia.

Quali tribu si distinguevano tra i Marsi? Eccone i nomi: gli Anxantini, gli Antinati (il testo veramente dice Atinati), i Fucensi, i Lucensi, i Maruvi, Alba degli Albensi presso il lago Fucino. Dimostrero fra poco, anche se e superfluo dimostrarlo, che Atinates (Atinati) per Antinates (Antinati) fu un semplice errore di trascrizione. Questo passo di Plinio rappresenta per la Valle Roveto una delle notizie più preziose che il tempo ci poteva conservare: e un relitto importantissimo nel naufragio, che disperse la storia primitiva della Valle Roveto. Lasciando da parte i Lucensi (Luco dei Marsi), i Fucensi (abitatori di paesi alle rive del Fucino), i Maruvi (gli abitanti di Marruvio, la più importante e gloriosa città dei Marsi) e gli Albensi (gli abitanti dell’antichissima Alba Fucense), restano gli Anxantini e gli Antinati. Per quanto riguarda gli Anxantini, mai sono stati essi con sicurezza scoperti dagli storici. Si sono fatte le più svariate ipotesi, ma restano ancora il popolo marso più difficile ad essere individuato.

Nel capitolo precedente ho creduto opportuno riportare l’ipotesi del De Sanctis; purtroppo per ora nulla di certo e possibile stabilire su questo popolo marso, e a meno che L’archeologia non venga un giorno ad aiutarci, saremo sempre nell’incertezza e nel campo delle ipotesi. I Marsi invece, che interessano il nostro studio storico e che descrivono la popolazione vissuta durante la Repubblica e l’Impero di Roma nella Valle Roveto, sicuramente in una grande parte di essa, furono gli Antinati e non gli Atinati. Si, gli Antinati. Nel testo di Plinio la parola deve essere corretta e rimessa a posto nella sua giusta grafia. Non Atinates bisogna leggere, ma Antinates. La correzione fu accettata già dagli storici marsicani, come imposta dal buon senso oltre che da quel discernimento storico, che mai deve mancare a chi fa della ricerca una missione di verità. E la nostra affermazione non e solo campanilismo e semplice amore della nostra terra. Nessun altro popolo marso può rivendicare il diritto di appartenere agli Antinati se non il popolo di Antino (Civita d’Antino): municipio romano e centro non ultimo della Marsica, particolarmente durante l’Impero Romano.

Che si tratti degli abitanti dell’odierna Civita d’Antino lo dimostrano anche oggi avanzi di mura poligonali esistenti in questo paese,in una posizione atta alla difesa. Ed era costume dei popoli marsi abitare località fortificate. Ma la prova più evidente che gli Antinati siano stati gli abitanti di una buona parte di Valle Roveto e data dalle iscrizioni conservate in gran numero nel territorio di Civita d’Antino: quelle iscrizioni sono documenti viventi dell’antica Antino e degli Antinati. Il nome Antinates, consacrato nell’opera di Plinio, accomunato alle altre stirpi dei Marsi, dimostra in modo schiacciante che Valle Roveto deve essere considerata terra dei Marsi e quindi compresa nella Marsica. La geografia non si improvvisa e neppure si cancellano con un decreto qualunque o col passaggio di un regime o di una dominazione, contrassegni secolari. Che poi il territorio degli Antinati avesse una estensione maggiore dell’attuale e provato dall’archeologia: lapidi che ricordano Antino furono rinvenute in territorio di Morrea, di Morino e finanche in territorio di Canistro. Sarebbe già sufficiente questo a considerare territorio dei Marsi Antinati una buona metà di Valle Roveto. E che il territorio di Antino sia stato un tempo più vasto dell’attuale Comune di Civita d’Antino risulta anche dalla Bolla di Lucio III del 1183 in favore della parrocchia di S. Stefano, la chiesa madre di Civita d’Antino.

Questa parrocchia possedeva nel secolo XII cappelle, benefici e terre a Morino e ai confini di metà (oggi frazione di Civitella Roveto) e di Morrea (oggi frazione di S. Vincenzo Valleroveto). E prima ancora, nel secolo precedente, cioè nel secolo XI, come in seguito diro, furono cedute a Montecassino chiese e terre in Rendinara e in Morino, appartenenti anche esse a signori di Civita d’Antino (allora Antena). Sono conferme che il territorio di Antino si estendeva nelle epoche romane molto più di oggi. E dovettero essere veramente importanti gli Antinati se anche nel Medio Evo, pur nella notte paurosa che avvolse di tenebra uomini e paesi, riuscirono a conservare al centro antichissimo di Antino il suo nome primitivo e fino all’alba dell’era moderna una certa preminenza su tutta Valle Roveto. così Antino, trasformando leggermente il nome nel corso dei secoli, si chiamo Antena, Antina, Civita d’Antena o di Antina, per riprendere, dopo il Medio Evo, il nome glorioso di Antino, preceduto dal nobile appellativo di città. E città fu sicuramente un tempo.

A questo punto potrei chiudere il capitolo, bastando quanto e stato detto sopra a riconfermare l’esistenza degli Antinati, il popolo marso che abito Valle Roveto. Ma ritengo oppor.tuno distruggere definitivamente il dubbio di chi ha visto negli Atinate di Plinio (autentica svista di trascrizione in luogo di Antinates) gli abitanti di Atina, città antichissima in Valle di Comino, a 22 Km. da Sora, sulla via che porta a Cassino, quell’Atina già famosa nell’epica virgiliana e specialmente durante le guerre sannitiche. Il dubbio veramente potrebbe affiorare qualora Plinio non avesse mai parlato di Atina nella descrizione che ci ha lasciata delle undici regioni di Augusto. Ora gli Atinati occupano già nell’elenco di Plinio il posto che loro compete geograficamente e storicamente. Lo scrittore di Como, infatti, li nomina, quando, nel capitolo IX dello stesso libro III, descrive popoli e città della prima regione italica. Gli Atinati, i cittadini di Atina (oggi prov. di Frosinone), vengono enumerati dopo gli Alifani, gli abitanti di Alife, in provincia di Caserta, e prima degli Alatrini e degli Anagnini, gli abitanti rispettivamente di Alatri e di Anagni, in provincia di Frosinone. Inoltre, mai dagli storici antichi gli Atinati sono stati ritenuti un’ popolo marso.

Nessuno, dopo la rapida mia esposizione, metterà in dubbio che nel XVII capitolo del III libro di Plinio, leggendo Atinates al posto di Antinates, ci troviamo soltanto davanti ad un errore involontario di trascrizione. Non e il solo errore che nel lungo elenco dei popoli e dei paesi d’Italia e del mondo incontriamo in Plinio. Quanti studiarono attentamente la preziosa descrizione dello scrittore latino, vissuto nel primo secolo della nostra era, hanno constatato che spesso le città vi sono state scambiate e molti popoli sono stati malamente trascritti o anche confusi! Intanto, stabilito con esattezza il popolo degli Antinati, che Plinio annovera fra i Marsi, e giusto farsi una domanda, non meno importante di tutte le conclusioni, a cui si e arrivati dopo l’esame del passo dello scrittore romano. Tutta la Valle Roveto, la quale, partendo dai confini di Balsorano (Valle Sorana) con Sora fino a Pescocanale, e lunga circa 30 chilometri, ebbe durante L’epoca romana, e anche prima, il solo centro abigato di Antino?

Nessun altro villaggio esistette, almeno sulle alture quelle zone di montagna, ove l’accesso fu difficile e divenne una sicurezza la difesa naturale? Agli interrogativi che mi sono posto potrebbe aprirci qualche spiraglio di luce, come già pensava nel 1784 Domenico De Sanctis, il popolo marso, per altro non ancora identificato, degli Anxantini. Pur non volendo accettare l’ardita spiegazione del De Sanctis, che considera corrotta la voce Anxantini e la sostiuisce con l’altra di Arxantint’, cioè Arx Antini (rocca di Antino), identificandola poi troppo gratuitamente con Civitella Roveto, almeno una riflessione e lecito fare su questi oscuri Marsi Anxantini, ricordati nell’elenco già a lungo commentato di Plinio. Quale e la posizione che occupano gli Anxantini nel passo di Plinio? Ecco: prima sono gli Anxantini, poi gli Antinati, subito seguono i Fucensi e via via gli altri popoli marsi, i Lucensi, i Maruvi e gli Albensi. L’ordine seguito da Plinio non mi sembra una pura combinazione.

Non ebbe forse lo scrittore l’intenzione, nell’enumerare i popoli marsi, di cominciare quasi dalla tribu più lontana, probabilmente confinante con i Volsci, per giungere progressivamente a quelle che occupavano la vera conca del Fucino? Fu un criterio spesso adottato da Plinio anche con altre genti e popolazioni. Ora, ipotesi per ipotesi. Non potrebbero essere stati gli Anxantini un popolo marso, che abito la Valle Roveto, nel fondo della valle, forse alla destra del Liri, mentre l’altro versante, quello posto alla sinistra del fiume, fu occupato e abitato, come lo fu realmente, dagli Antinati? E una nostra supposizione, che per ora rimane tale, come del resto restarono supposizioni, mai confermate da documenti, quelle fatte dagli scrittori marsicani, che pretesero dare agli Anxantini una sede più o meno probabile in altri punti della Marsica.
Ma anche se gli Anxantini non ebbero la loro sede in Valle Roveto, nessuno ci vieta di popolare la valle di pagi o di villaggi, che, già sorti all’epoca romana, si svilupparono nell’alto Medio Evo, dopo la caduta dell’Impero, e si affermarono definitavamente, prendendo l’aspetto di veri paesi, attorno alla fine del primo millennio dell’era volgare. così sarà avvenuto con ogni probabilità di Canistro, di Civitella Roveto, di Meta, di Morino, di Rendinara, di Castronovo, di Morrea, di S. Vincenzo Valleroveto, di S. Giovanni Valleroveto, di Roccavivi e di Balsorano.

Non e oggi possibile fissare fra i nostri paesi una priorieta di fondazione, ma e certo che molti di essi risalgono ai tempi romani, mentre altri sono da considerarsi più recenti. Una cosa non possiamo mettere in dubbio. Tutti i paesi della Valle Roveto avevano già attorno al Mille una esistenza più o meno lontana. E viene a proposito, per quanto riguarda l’antichità, un’altra osservazione. L’esistenza di antichi pagi, sia che fossero punti avanzati della difesa di Antino, sia che iniziassero la loro vita come autonomi villaggi, sorti qua e la nella Valle Roveto, non deve recar meraviglia; era essa la consuetudine dei popoli preistorici, Aborigeni e Pelasgi, che poi, nell’epoca storica, furono rimpiazzati dai Marsi, di vivere non in grossi centri, ma in piccoli villaggi. Dionigi d’Alicarnasso, vissuto presso a poco dal 60 a. C. all’8 d. C., ci ha lasciato scritto, tra le notizie più antiche sui popoli italici, che l’Italia fu abitata in tempi remoti dai Siculi e che questi furono poi cacciati dagli Aborigeni. Ora gli Aborigeni abitarono sui monti, dispersi e in villaggi senza mura, «in montibus sine mocnibus vicatim et dispersi».

E lo stesso storico aggiunge che gli Aborigeni furono aiutati dai Pelasgi e dai Greci contro i popoli vicini, fondando molte città e riducendo in proprio potere tutta la regione determinata dal Liri e dal Tevere, alle radici degli Appennini: ad radices Apenninorum. Di queste remotissime vicende fu spettatrice anche la Valle Roveto, che il Liri nel suo primo tratto attraversa e che, per la sua posizione e per i suoi sbocchi importanti, non poteva rimanere estranea ai nuovi fatti che si andavano svolgendo nel centro d’Italia. Non e perciò impossibile che in Valle Roveto, ad radices montium, alle falde dei nostri monti, che poi sono i Pre-Appennini, sorgessero i primi villaggi, destinati a scrivere la loro prima storia, rimasta poi oscura e dimenticata. Del resto Dionigi precorre il geografo Strabone, quasi suo contemporaneo, il quale, parlando dei Marsi, nella sua opera monumentale scrive: «vivunt hae gentes fere in vicis». Quasi in villaggi vivono queste genti. In vicis, dice Strabone; vicatim, aveva scritto, qualche anno prima, Dionigi d’Alicarnasso.

Tali villaggi furono i pagi primitivi che continuarono ad esistere nel periodo storico della Repubblica e dell’Impero di Roma. Si era così formata da secoli come una tradizione, quella di vivere in piccole borgate, pronte pero al primo cenno o davanti al pericolo, come spesso dimostrarono, a unirsi concordi e difendere le comuni liberta, a battersi per il sacro patrimonio dei costumi severi e delle virtù preclare di tutta una stirpe. Ora il silenzio profondo circonda un leggendario passato e il continuo flusso e riflusso delle popolazioni, anteriori alla civiltà romana, ma meritevoli lo stesso, appunto perché appartenenti ad una ignota storia, di essere ricordate.

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