All’inizio del XII secolo continua l’influenza di Montecassino in Valle Roveto. Pasquale II (1113) e Callisto II (1123) riconfermano ancora a Montecassino i possessi del monastero nei nostri paesi. Nelle Bolle dei precedenti pontefici erano stati sempre nominati, con gli altri beni del monastero cassinese, S. Benedetto a Pascusano, S. Pietro in Morino e S. Angelo di Pescocanale. Avendo accennato a Pasquale II (1099-1118), non posso non ricordare il Privilegio che questo Pontefice invio il 9 febbraio del 1110 al vescovo sorano, Goffredo (o Roffredo), per la delimitazione dei confini della Diocesi di Sora. Da quella pergamena oggi perduta, ove era trascritta l’autentica lettura apostolica, già illeggibile e consumata ai tempi dell’Ughelli, risultava che i confini della diocesi sorana erano presso a poco quelli di oggi. La Bolla presentava però molte lacune e così non conosciamo tutte le parroechie e le chiese nominate nel documento: esse ci avrebbero indirizzato facilmente a ricostruire la situazione ecclesiastica della valle. Intanto nella Bolla di Pasquale II sono ricordate le chiese di S. Pietro e di S. Donato in Valle Sorana, la-plebe di S. Maria (plebe e lo stesso di pieve o parrocchia), e una chiesa di S. Savino.
Ora le chiese di S. Pietro e di S. Domenico in Balsorano (la medioevale Valle Sorana) sono documentate anche in altre fonti, per cui non abbiamo alcuna difficolta nell’individuarle. Ne dovrebbe esistere dubbio per la chiesa di S. Savino: si tratta certamente dell’antichissima chiesa, esistente a 800 metri sul livello del mare, a poche centinaia di metri da Meta. I beni di questa chiesa furono in seguito aggregati alla Mensa Vescovile di Sora, come risulta dall’Archivio vescovile sorano e da esplicita dichiarazione del vescovo sorano Giro1amo Giovannelli (1609-1632), che, nel 1617, dopo una visita pastorale nel paese di Meta, visito i miseri ruderi della vecchia chiesa di S. Savino, ormai diventata una stalla. Anche oggi la località, abitata da poche famiglie e sempre in territorio di Meta, ha conservato il nome di S. Savino. E in questo luogo sorgeva la chiesa. Invece diventa di difficile individuazione la plebe o pieve di S. Maria. Si tratta della chiesa di S. Maria donata nel 1089 a Montecassino in territorio di Morrea, ovvero di un’altra, che ebbe lo stesso titolo, come la chiesa di S. Maria in Morino, o di un’altra ancora, di cui purtroppo nessun documento ci e pervenuto’? Dal Privilegio di Pasquale II ricaviamo una verita che non ammette incertezze: la Valle Roveto faceva parte della diocesi di Sora, in quanto le chiese, che la Bolla pontificia ricorda, e che io ho citate, si trovano nel territorio della valle. Ma c’e di più.
In un’altra Bolla dello stesso Pontefice, diretta nel 1115 al vescovo dei Marsi, S. Berardo, della famiglia dei conti marsicani, troviamo ai confini delle diocesi di Sora e di S. Rufino (dei Marsi) anche Pesculum Canalis. Fin da allora era Pescocanale nella linea di confine fra le diocesi dei Marsi e di Sora. Tutto fa pensare che quella delimitazione di confini si fondo su un’antica tradizione e su secolari diritti. Finora si e sempre parlato di influenza di Montecassino sulla Val. le Roveto. Tuttavia non furono solo i monaci di questo monastero a possedere beni e chiese nella nostra valle. Infatti, e scritto nel Chronicon Sublacense che anche il monastero di Subiaco possedeva in Valle Sorana (Balsorano) la chiesa di S. Paolo ed altre tre chiese. Anche oggi esiste in territorio di Roccavivi, facente parte molto probabilmente in quella epoca di Valle Sorana, la località di S. Paolo, che, oltre ad avere avuto una chiesa, era certo una piccola borgata, nel secolo XIII. Oltre a pasquale II e a Callisto II, anche Alessandro III (1169) e Clemente III (1198) riconobbero a Montecassino le Chiese e i beni posseduti dalla Valle Roveto. Analoghi riconoscimenti si ebbero da parte della Santa Sede per i beni posseduti da Subiaco.
Tuttavia noi non leggiamo soltanto nei documenti pontifici i nomi delle nostre terre, ma li leggiamo con frequenza anche nei diplomi imperiali. Importante soprattutto rimane quello di Lotario III del 1137. Ed ora ritorniamo alle vicende storiche del secolo. Nel 1143 i figli di Ruggero, re di Sicilia, occuparono la Marsica. Ormai i Normanni erano diventati i nuovi padroni dell’Italia meridionale. E opportuno ricordare per chiarezza che l’Abruzzo aquilano, comprendente la Marsica e Valle Roveto, appartenne dopo la conquista normanna, ai Normanni del Principato di Capua (de Principatu), mentre l’Abruzzo, situato oltre la Maiella e il Gran Sasso, venne a dipendere dal Ducato normanno di Puglia (d’e Ducatu). Infatti, i Normanni di Capua avevano occupato, venendo dalla Campania, Valle Roveto, la Marsica e la provincia aquilana, lasciando ai Normanni di Puglia occupare il resto d’Abruzzo. Riunite in seguito le varie province normanne, il re di Sicilia fu anche duca di Puglia e principe di Capua. Uno dei documenti normanni più antichi, riguardante la nostra regione, rimane il diploma di Ruggero I in favore del vescovo forconese Berardo del 1147, e confermato, nel 1204, da Innocenzo III. Il diploma concedeva al vescovo Berardo la facolta di edificare un castello nella diocesi di Forcona, a cui poi più tardi successe l’archidiocesi dell’Aquila. Ora per Valle Roveto le notizie si fanno più frequenti. Appare per la prima volta in una Bolla di Alessandro III del 1170, in favore del monastero di Casamari, la chiesa di S. Vincenzo in Valk Orbevetana (Valle Roveto).
E penso che sia di grande interesse storico la notizia del passaggio per la Valle Roveto (per Valkm Orbets’) del Papa Lucio III, che si recava, nel 1184, nell’Italia settentrionale onde incontrarsi a Verona con Federico I. Lo stesso Papa Lucio III aveva con una sua Bolla, nel 1183, riconosciuto beni,e chiese alla Parrocchia di S. Stefano in Civita d’Antino. Ma il documento che ci offre un quadro abbastanza completo di Valle Roveto resta senz’altro il famoso Catalogo dei Baroni del 1173. Come e stato scritto nel capitolo precedente, la Valle Roveto fece parte della Contea dei Marsi. In seguito, Ruggero, un figlio del conte dei Marsi, Berardo VI (1125-1169), fu il primo conte autonomo di Albe Tagliacozzo. E proprio a questo Ruggero ubbidirono i paesi di Valle Roveto, mentre ad un altro figlio dello stesso Berardo VI tocco la Contea di Celano, dando inizio alla dinastia dei conti di Celano. Fu una fortuna per la Valle Roveto, di cui la storia e stata troppo spesso matrigna, il famoso Catalogo dei Baroni, redatto sotto Guglielmo II, il re normanno che regno dal 1166 al 1189, prima dell’avvento degli Svevi al Regno di Sicilia e di Napoli.
E’ un documento preziosissimo, che enumera e fissa i paesi della Valle Roveto, già esistenti in quel lontano secolo XII, e che poi, salvo i pochi nuovi gruppi di case sorti nel fondo della valle in seguito allo smembramento degli antichi Comuni dopo il terremoto del 13 gennaio 1915, sono rimasti gli stessi anche oggi: presso a poco quelli del 1173. Il Catalogo dei Baroni, dunque, fu redatto al tempo di Guglielmo II, nel 1173 e ritrascritto intorno al 1300: fu ristampato varie volte, ultima volta da Giuseppe Del Giudice nel secolo scorso. Vi si trova conferma dell’appartenenza, nel XII secolo, di tutto l’Abruzzo al Principato di Capua ed al Ducato di Puglia, di cui Guglielmo II, re di Sicilia, era sovrano. Vi sono elencati i paesi dei due domini accennati, e tra essi troviamo elencati i paesi della Valle Roveto, che a noi interessano e di cui sono riferiti i dati dai quali e possibile dedurre la consistenza.
Vi troviamo: Valle Sorana (Balsorano) e Colle Eretto (forse S. Giovanni), feudi di 4 soldati (ad ogni soldato corrispondevano 24 famiglie, a volte di cinque, a volte di sei membri, così da poter calcolare, per le località già citate, 96 famiglie e complessivamente circa 500 abitanti); Roccavivi, Morrea, Civitella e Pescocanale, feudi di 2 soldati ciascuno, 48 famiglie e circa 250 abitanti per paese; Morino, feudo di 3 soldati, 72 famiglie e 375 abitanti; metà e Canistro, feudi di un solo soldato, 24 famiglie e 125 abitanti per ciascuno dei due castelli; Rodemara (Rendinara) e Castel Gualtieri (Castronovo), feudi di 3 soldati, 72 famiglie, e complessivamente 375 abitanti; infine Civita d’Antino, feudi di 4 soldati, 96 famiglie e 500 abitanti. A titolo di pura curiosità riferiamo che dal Catalogo dei Baroni si apprende che la, dove oggi sorge il Santuario così celebre nella Marsica, dedicato alla Madonna di Pietracquaria, c’era il villaggio di Pietracquaria, feudo di ben 5 soldati vale a dire 120 famiglie, 600 abitanti circa. Ci piace chiudere il capitolo con un chiarimento, d’importanza storica, per tutta la regione abruzzese. Soltanto in questo secolo, il XII, si afferma anche per le province dell’Aquila, Chieti e Pescara la denominazione di «Abruzzo». Prima di allora semplicemente il Teramano veniva indicato con questo nome: I vescovi di Teramo, che furono e saranno chiamati aprutini, della regione cioè dell’Aprutium. E siccome la regione aprutina si trovava agli estremi confini del Regno di Sicilia, e nei documenti era invalso l’uso di significare le terre del Teatino, dell’Aquilano, dei territori di Valva e della Marsica come poste verso l’Aprutium, oppure in partibus o in finibus Aprutii, a poco a poco il vocabolo Aprutium ebbe il sopravvento e fu esteso a tutta la regione che oggi in geografia porta il nome di Abruzzo.
Cosi l’Abruzzo odierno corrisponde quasi ai sette Comitati o contee medioevali, dipendenti un tempo dal Ducato di Spoleto. I Comitati avevano quasi la stessa estensione delle sette antiche diocesi di Amiterno, Forcona, Marsi, Valva, Teate, Penne e Aprutium. E mentre le diocesi di Amiterno (s. Vittorino) e di Forcona (Civita di Bagno) furono riunite, cessando di esistere, nella nuova archidiocesi di Aquila (sec. XIII ), le altre cinque sono rispettivamente le attuali diocesi di Avezzano (o dei Marsi), di Valva e Sulmona, di Chieti, di Pescara-Penne e di Teramo. Il Catalogo dei Baroni che pare sia stato, dopo recenti studi, il complesso di quaderni diversi, compilati in epoche diverse, anche se non troppo lontane l’una dall’altra, assegna, come e stato detto, la Valle Roveto al conte d’Albe Ruggero, il quale a sua volta ubbidiva ai conti di Celano. Dopo il 1191, anno dell’incoronazione di Enrico VI, i conti di Celano occuperanno nelle vicende del Regno di Sicilia un posto preminente e la Valle Roveto diverrà una delle vie degli imperatori.