L’attuale area territoriale della Comunità Montana Valle Roveto con i suoi sette comuni e numerose frazioni, comprende quello che in passato era l’ager Marsorum, precisamente il territorio posto sul confine marso verso il Latium adiectum. Il nome attuale della valle deriva dal toponimo altomedievale di Vallis Urbeti, in pratica Vallis Urbis Veteris (“Valle della Città Vecchia”) riferita alla allora diruta città e municipio marso di Antinum.
La presenza umana nell’area è naturalmente più antica con indizi già dal Paleolitico Superiore e Medio (70.000-35.000 anni fa), visti i recenti rinvenimenti della media valle del Liri e del bacino fucense. Le testimonianze dirette della frequentazione umana nella valle, allo stato attuale delle nostre conoscenze, risalgono però all’età del Bronzo con l’insediamento di “Le Fosse” di Civitella Roveto e le grotte “Cola I” e “Cola II” di Petrella Liri (4500-2900 anni fa).
Nell’età del Bronzo, l’occupazione territoriale si basava su insediamenti agricoli aperti, posti sui terrazzi fluviali ed ai margini dei torrenti che si versavano sul Liri. Solo con la prima età del Ferro (2900-2800 anni fa), i cambiamenti socio-economici e l’aumento della conflittualità sociale nell’Italia centro-appenninica, determinarono un cambiamento della struttura insediamentale non più basata su villaggi di pianura ma su centri fortificati (ocres in lingua locale = oppida e castella in latino), situati su alture dominanti i territori agrari e di pascolo. È proprio in questo periodo che le genti lirine incominciarono ad edificare, sulle alture rocciose e collinari della Val Roveto, dei piccoli e medi ocres con le loro mura in opera poligonale. Insediamenti fortificati retti da re (raki) e principi guerrieri (nerf) dal IX al termine del VI secolo a.C., fra cui spiccano i piccoli centri di Civita di Fossa Rotonda di Capistrello e Grotta Ferretti di Civita d’Antino.
In quel periodo gli abitati fortificati, racchiusi da alte mura composte di grossi blocchi di pietra locale, costituivano delle piccole “città-stato” in eterno conflitto fra loro per il possesso dei terreni agrari ed aree di pascolo. Con il V secolo, le tante comunità lirine (toutas) si trovarono inserite nel nascente stato federale (nomen) dei Marsi in cui rimasero fino alla Guerra Sociale degli inizi del I secolo a.C. A provare questo legame sono i rinvenimenti di iscrizioni votive scritte in lingua marso-latina, mentre il ritrovamento di bronzi votivi e di monete in argento e bronzo nei locali santuari, sono prova dell’esistenza nell’area della pratica della mobilità geografica legata al mercenariato marso diretto verso le città greche ed italiche della Magna Grecia ed anche delle prime partecipazioni dei Marsi nei quadri dell’esercito romano, nella prima metà del III secolo a.C.
Nel 302, infatti, i Marsi sconfitti da Valerio Massimo, avevano firmato un trattato con lo stesso (foedus), trattato che li obbligava a cedere una parte del loro territorio e, come socii, a fornire in caso di guerra truppe armate a Roma. Fra il territorio marso tolto da Valerio Massimo e attribuito alle nuove colonie romane di Alba Fucens e Sora, e da comprendere: probabilmente la Valle Sorana da S. Giovanni Valle Roveto ai Ridotti di Balsorano, parte valliva attribuita alla colonia sorana; il settore palentino di Capistrello con Corcumello e la parte terminale dell’alta valle del Liri, dal Fosso Rianza di Pescocanale fino alle sorgenti del fiume (Valle di Nerfa), attribuito alla colonia albense.
In età repubblicana (III-II secolo a.C.), alla base delle alture dei centri fortificati, sorsero i vici (villaggi) italico-romani che nel tempo costituirono gli insediamenti stabili della valle con i loro santuari dedicati a Vesuna, Angizia ed Ercole e le fattorie agricole (villae) affiancate. Mostrano vitalità i grandi centri fortificati di Civita d’Antino, con le sue mura sull’ampia altura rocciosa ed i suoi magistrati meddices, e Civitella Roveto con il suo abitato ovoidale circondato da corsi d’acqua; una Interamnia marsa dell’alta valle del Liri. Il versante della valle verso il bacino fucense è caratterizzato dall’arteria viaria più importante dell’area, la cosiddetta “Via della Campania” ovvero la medievale «Via quod dicitur Marsicana». Strada antica di mezzacosta che dalla colonia romana di Alba Fucens, passando per il centro fortificato di Antinum, raggiungeva la colonia romana di Sora, la prefettura di Atina, poi per Casinum raggiungeva la meta di Capua.
Dopo il Bellum Marsicum degli inizi del I secolo a.C., l’area della Val Roveto fu inserita, intorno alla metà del secolo, nel territorio della città di Antinum (Civita d’Antino), municipio marso iscritto alla tribù Sergia e parte della Regio IV augustea (Sabina et Samnium). Il territorio capistrellano (Colle Raso, Valle di Nerfa, Capistrello e Corcumello) rimase invece nell’ager Albensis con gli abitanti iscritti alla tribù Fabia. Il territorio municipale antinate era compreso fra S. Vincenzo Valle Roveto fino a Pescocanale, come provato da iscrizioni di magistrati di Antino presenti, oltre a Civita d’Antino, a Morino, S. Restituta e Canistro. In età imperiale abbiamo l’emergere delle famiglie dei Novii, Petronaei, Pomponii, Blaesii, Vertuleii e Spedii, mentre in età repubblicana erano attestati i Gavii, Paquii e Pomponii. Nella valle sorgono grandi ville legate alle famiglie emergenti antinati e alle gentes romane con forti interessi nell’area, come attestato da tubazioni di piombo e signacula riferibili ai Caecinae e Sempronii.
Dall’esame degli abitati, nel II-III secolo, risultano particolarmente importanti quelli posti a fondovalle (Cese Santacroce di Canistro, Morino, S. Restituta di Morrea) con le loro grandi ville affiancate dove risiede la nobiltà municipale.
Il fenomeno descritto è dovuto al potenziamento della viabilità di fondovalle attuata da Traiano nel 100 d.C. con la cosiddetta “Via Traiana” che da Alba Fucens, passando per Sora, raggiungeva Frusino (Frosinone); strada di cui rimangono i resti di ponte romano e le tagliate presenti da Pescocanale a Capistrello. Apporti economici consistenti dovettero verificarsi, nel I secolo d.C., nell’area capistrellana, con i diversi lavori di prosciugamento del Fucino attuati da Claudio e perfezionati poi da Traiano ed Adriano, con la realizzazione del condotto sotterraneo dei Piani Palentini e lo sbocco monumentale nel Liri a Capistrello. Con la fine del mondo antico, le nostre notizie sulla Valle Roveto si riducono notevolmente fino all’VIII secolo in cui compare, per la prima volta, la Vallis Sorana e la presenza dei monaci volturnensi con le loro numerose chiese poste nel territorio di Balsorano e S. Vincenzo Valle Roveto. Dalla metà del X secolo e fino al XV, sono invece documentati monasteri e chiese dei monaci benedettini cassinesi con le prepositure di S. Angelo e di S. Nicola di Balsorano, di S. Pietro in Morino, di S. Benedetto in Pascusano di Civitella Roveto e S. Angelo di Pescocanale.
I monaci di Subiaco vi possedettero la sola chiesa di S. Paolo di Balsorano, i Cistercensi di Casamari, i priorati di S. Maria del Pertuso di Morino e S. Vincenzo di Morrea, mentre i Celestini avevano il priorato di S. Francesco in Civita d’Antino. Il clero secolare dovette avere una sede episcopale nella chiesa di S. Stefano a Civita d’Antino prima dell’invasione longobarda, come attestano le numerose chiese dipendenti dalla pieve antinate ancora nel XII secolo. Solo nel corso della seconda metà del Duecento la diocesi sorana riuscì ad avere il reale possesso della Valle, da Balsorano a Pescocanale, mentre il territorio con Capistrello, la Valle di Nerfa e Corcumello, rimase nella Diocesi dei Marsi.
Gli insediamenti monastici descritti e quelli civili si trovarono inseriti in una valle di confine, di fondamentale importanza strategica per il mondo longobardo e franco, perché a Sora passava il confine fra i ducati longobardi di Spoleto e Benevento e la stessa zona erano interessate dalle scorrerie dei Saraceni ed altre bande armate nel corso dell’IX-X secolo. A questi fenomeni s’inserì anche il continuo passaggio degli eserciti imperiali e papali diretti a Sud in tutto il medioevo.
Sul finire del X secolo, ma soprattutto in quello successivo, nell’ambito della franca Contea dei Marsi iniziano i primi fenomeni di incastellamento medievale. Sono le alture rocciose lirine, in gran parte già utilizzate dagli antichi ocres marsi, ad essere interessate dai primitivi castelli-recinto o torri-cintate dei Conti dei Marsi del ramo fucense e carseolano. Di questi castella marsicani abbiamo però le prime notizie consistenti dal 1150 al 1167/68, in un periodo in cui la vecchia Contea dei Marsi era ormai terra del confine settentrionale del nuovo Regno di Sicilia normanno, inserita nel Principato di Capua e divisa in diversi comitati. Appartennero in questo periodo alla contea normanna di Albe con i suoi conti Berardo V e Ruggero di Andria (Valle Sorana, Colle Eretto, Rocca Vivi, Morrea, Civitate Antine, Rodemara, Castel Gualtieri, Morino, Meta, Civitella, Capranica e Pescocanale), mentre i signori di Capistrello e Corcumello tenevano altri centri: Simone di Capistrello, Canistro o Castro, Collescidio e Capistrello; Roberto di Corcumello, Corcinella e Girifalco.
Nei successivi secoli e per tutto il medioevo, la Val Roveto, rimase inserita nella Contea di Albe nell’Aprutium Ultra flumen Piscarie del Regno di Napoli, mentre nella seconda metà del quattrocento nascevano le baronie Val Roveto dei Colonna e Balsorano dei Piccolomini, sempre parte del Ducato di Tagliacozzo ed Albe; baronie che rimasero in vita fino all’abolizione del feudalesimo del 1806. Della dominazione dei Colonna e Piccolomini rimangono gli stemmi comunali post-rinascimentali, caratterizzati dai simboli della “colonna” dei rispettivi feudatari romani e delle “mezzelune” dei Piccolomini. I secoli XIII e XIV videro il potenziamento delle dogane feudali poste alla base dei passi appenninici diretti verso lo Stato della Chiesa: Capistrello, Pescocanale, Civitella Roveto e Roccavivi. Lo sviluppo economico conseguente portò all’ampliamento degli abitati con l’edificazione di nuovi burghi intorno ai primitivi incastellamenti e la necessaria costruzione di nuove cinte murarie dotate di torrette rompitratta “a scudo” (nel XIII-XIV secolo) e semicilindriche (XV-XVI secolo), mentre in basso erano gli insediamenti produttivi legati a molini, gualchiere e ferriere. I nuovi potenti feudatari romani e toscani erigono i loro palazzi baronali (Civitella Roveto) e rocche rinascimentali (Morrea e Balsorano) per tenere sotto controllo i sottoposti homines lirini cui però, sul finire del ‘500 e soprattutto nel corso del Seicento, concedono le prime libertà comunitarie.
La storia di queste nascenti comunità sono segnate dal XIV al XVII secolo: dalle terribili e funeste lotte feudali locali (Orsini e Colonna) e del Regno di Napoli (Conti di Celano); dai costanti conflitti territoriali con i vicini paesi laziali, terminati solo a metà del Novecento; dalla mobilità geografica stagionale bracciantile diretta verso il Lazio nei possessi dei Colonna; dalle terribili pestilenze con la sola peste del 1656 che portò alla morte oltre la metà della gente dell’alta valle del Liri. Dalla seconda metà del Seicento e nei due secoli successivi, le popolazioni della Valle sono descritte, dagli storici marsicani, in un uno stato di povertà estremo e mal vestite. Anche le tradizionali attività agricole da sussistenza (vista la scarsa fertilità del terreno), la produzione di carbone vegetale ricavabile data la vasta estensione dei boschi locali e la molitura lungo il corso del Liri e fiumicelli collegati, non riuscirono a risollevare le sorti economiche della Valle.
I diversi terremoti che interessarono l’Abruzzo e la Val Roveto nel ‘700 ed agli inizi dell’800 (1703, 1706, 1742, 1743, 1784 e 1805), dovettero apportare danni agli abitati, mentre sul finire del Settecento fino alla seconda metà del secolo successivo, lo stato di vessazione e povertà delle popolazioni incrementarono il brigantaggio, preunitario e post unitario, e il cui ricordo è ancora presente nei racconti orali della popolazione. I passi appenninici dei Monti Ernici e Simbruini per l’accesso allo Stato della Chiesa, furono una via di transito privilegiata delle bande di briganti che operarono per tutto l’Ottocento nella Marsica ed in tutto l’Abruzzo Ulteriore II.
Il terremoto d’Avezzano del 13 gennaio 1915, fu un salasso terribile per i paesi che furono in gran parte distrutti con la morte di numerose persone. Alcuni centri più provati furono in parte abbandonati con il conseguente esodo costante della popolazione alla ricerca di lavoro. I residenti rimasti nelle loro sedi storiche sentirono il bisogno di avvicinarsi alla Ferrovia ed alla Strada Statale della Valle del Liri, quindi alle poche attività produttive di fondovalle. Un fenomeno insediamentale di discesa a fondovalle documentato nell’area con l’esistenza di due abitati appartenenti alla stessa comunità: vedi, per esempio, Canistro e Cese Santacroce, Morrea e S. Restituta, S. Vincenzo Valle Roveto Superiore e S. Vincenzo, Civita d’Antino e Pero dei Santi, ecc. A questi fenomeni iniziali d’abbandono “per necessità” è da aggiungere la miope politica omologante e consumistica del dopoguerra (anni ’60 e ’70 del Novecento) che, in nome di idealità universali, ha ulteriormente spezzato il legame fra le genti locali con il proprio passato. Solo i centri più vicini alla strada statale in direzione dei piani sorani e fucensi (alla politica dei Torlonia del prosciugamento fucense), hanno avuto possibilità di espansione urbanistica ed economica, come Capistrello, Civitella e Balsorano.
Questa è la storia del territorio della Comunità Montana Valle Roveto, che attende dai prossimi sviluppi delle attività legate al terziario avanzato e del turismo legato ai Beni Culturali ed Ambientali, di riannodare il legame con il proprio passato e dare quindi possibilità di sviluppo alle nuove generazioni rovetane.