TRADIZIONI E FOLCLORE NELLA MARSICA (Il Diavolo e l’Acqua Santa)

La devozione che si ha nella Marsica per le corna e le streghe che di notte succhiano il sangue dei neonati, mostra a chiaro di sole che c’è tuttora chi crede nella malìa, e non sa vivere senza un emblema di misteriosa potenza, che valga a scongiurarli. La fede che moltissimi hanno ancora nell’influenza della luna sul taglio dei legni, sul travasamento del vino e in mille altre operazioni innocenti, fanno prova stupenda che l’ingegno degli uomini ha saputo forare le montagne, asciugare laghi e pigliare le folgori per gli orecchi, ma non seppe ancora sbrigliarsi del tutto dalle pastoie delle superstizioni». Cosí scriveva, quasi cento anni fa, parlando dei contadini della Marsica, l’agronomo Carmine Letta, il quale (nello stesso scritto) rimproverava aspramente «ai preti di ogni rito e di ogni lingua» di essere loro i responsabili della barbarie e della superstizione delle masse contadine.

A distanza di quasi un secolo, con le trasformazioni determinate dal progresso scientifico e tecnologico, e con una cultura certamente piú laica e meno confessionale di allora, che cosa è cambiato?

«San Pietro de Roma — San Paulo d’Ancona
Sante Livio de Spagna — leva l’ammidia, la cicca e la lagna.
Se leva lu dulore de lu cape, se leva! Mettéme l’olio, e se vede se c’é lu dolore de lu cape.
San Pietre de Roma — San Paulo d’Ancona
Sante Livio de Spagna — leva l’ammidia, la cicca e la lagna.
Eh, se passa dopo. Dopo passato questo accuscínda, se leva lu dulore de lu cape!».
{Testimonianza orale, Trasacco 1982).

Nel 1981 morì, a Luco dei Marsi, investita da un’automobile, «zia Mariantonia», una donna di 90 anni, assai nota nella Marsica come «guaritrice», capace di aggiustare soprattutto le ossa: una specie di «maga» moderna, che il giornale (che dava la notizia) definiva «piú famosa della dannunziana Angizia».
Lo scalpore suscitato da quella morte improvvisa fece scoprire che erano migliaia e migliaia i clienti, affezionati e fiduciosi, di questa «maga» marsicana. Così come molto numerosi sono ancor oggi coloro che credono a fenomeni di magía o ad interventi taumaturgici di santi locali:

«Diceva mamma Erga, che quando ecco aje paese vecchie, prima de fá je terramuto (che je terramuto è fatto i 1915), ci steva…, i vicoli erano stritti: suji vicoli de Santa Lecia…, ci steva sulla destra ‘nu portone, che c’entrevano otto dieci porte, ciovè ‘n’arco che c’entrevano otto dieci famiglie. Mó la mamma e jo padre logicamente non ci stevano, che questa criatura steva sulla culla (noi in dialetto dicémmo je cunnolone!, sarebbe la culla, sarebbe). La vecchia era jita a pijá l’acqua alla funtana qui in piazza (che mó hanno stato tolte le fontane: tu te l’ha dá pure recurdá, quando stevano prima le canale…, la canala vecchia, te la recurdi, scí? pecché non è tanto tempo ch’è stata levata). Era jita co’lla conca a pijá l’acqua. Nel momento che rientreva alla casa (era di sera, era pure bejo tardo, la sera tarde), è ‘ncuntrate je lupo che usciva da je botte. La vecchia s’è voltata al Santo, perché sapevano ch’era un santo piú miracolato.

E difatti è un santo che si fa rispettá abbastanza, pecché tutti j’anni per chi non lo fa ci succede quaccosa: po’ non lo fanno presente! Allora la vecchia s’è voltata al santo, e inginocchiandosi dicendo: Oh sant’Antonio! Ciovè, in dialetto proprio: Oh sant’Antonio mì, se tu me fa lassá ji citele (a dialetto!), mó te facémme la panarda a foco. La vecchia ha seguìto il lupo. E sopra al fossato (quije al torrente dell’acqua, ajo fossato rosa), pensa, era di notte, era scuro… E la vecchia seguiteva il lupo appresso appresso. Oltre al fossato, è viste che je lupe ha lassato questa criatura sulla fascia. La vecchia s’è ripijiata il bambino, e è randata alla casa!». (L’« Avvocato » di Villavallelonga, 1982).

In molti servizi giornalistici, pubblicati piú o meno tutti in questi ultimi anni, si possono leggere descrizioni delle popolazioni contadine della Marsica simili a questa: «Credono piú volentieri ai santoni locali e agli stregoni che al medico. Credono al malocchio e ad altre forme di supersti-zione. Molte madri non somministrano medicine ai figli se prima non si sono consultate con un santone».

« San Pietre de Roma — San Paule d’Ancona
Sante Livie de Spagna – leva l’ammidia la cicca e la lagna.
Po’ questo i’ le ripeto de ‘n’atro modo:
Gesú Cristo pe’ lu mondo iáva… (lévalo quesso)
Gesú Cristo pe’ lu mondo iáva, – incontra nu fanciulle che piangeva.
Che ha da íce, fanciullo che piangi?
Non posso piange, che li verme non me se magna?
Mitte le mane sopra al petto,
che li verme se schiatta presto;
mitte le mane sopra a lu core,
che li verme schiatta e mmore.
Se dá ridlce ‘n’atra vóta?
Gesú Criste pe’ lu monde iéva,
‘ncontra nu fanciulle che piangeva.
Che ha da dì, fanciullo, che piangi?
Non posso piange, che li verme non me se magne?
Mitte le mane sopra lu petto,
che li verme se schiatta presto;
mitte le mane sopra lu core,
che li verme schiatta e more ».
(Una donna di Trasacco, 1982).

E la cronaca recente non è neppure essa avara di informazioni al riguardo:
«22 agosto 1982: “Omicidio per un’assurda magìa”»: è questo l’occhiello che precede un titolo ancora piú sconvolgente: «”Mi ha fatto la fattura!, grida un bracciante di 36 anni”, e massacra il cugino a colpi di scure». «24 aprile 1982: “Promettevano felicitá a pagamento: arrestati per truffa due maghi”. — I clienti truffati sono stati centinaia: pagavano i “responsi” non solo con denaro, ma anche con gioielli e oggetti di casa». «29 aprile 1982: “Arrestata per truffa una guaritrice”: l’ultimo truffato, un contadino di Carpineto Sinello, in provincia di Chieti. — La “maga”, con preghiere, formule e acqua benedetta, era riuscita a spillargli oltre 105 milioni!». «12 maggio 1982: “Una maga ha truffato ben 180 milioni, promettendo guarigioni e vincite…”».

E si potrebbe continuare all’infinito, perché la cronaca quotidiana è ricca di simili episodi, non solo in Abruzzo, ma anche nelle piú vicine e progredite regioni del Nord! «Prima di tutto vorrei dire questo: che se la credenza in stregoni, santoni, guaritori, viene ad essere rappresentata come segno di emarginazione, non sono affatto d’accordo. E di emarginazione meridionale, soprattutto, non mi trovo d’accordo, perché fatti analoghi li ho visti e ne ho scritto per la Toscana, cioè per una delle regioni che, per la geografia immaginaria del nostro paese, dovrebbe essere tra le piú civili. Anche lí l’operaio, che va alla Cassa Mutua, va poi dallo stregone con i medicinali ottenuti dalla Cassa Mutua per stabilire quale dei medicinali corrisponde meglio alla sua malattia.

Quindi, è un fatto di tutte le culture periferiche contadine del paese, non soltanto della Marsica. In secondo luogo, direi che bisogna essere molto cauti nel dare un giudizio negativo su questi fatti, perché all’interno della cifra usuale che noi adottiamo (stregone e contro-stregone, immagine del medico che appartiene alla cultura dotta), vi è un problema molto complesso. lo penso che vi è qualcosa di molto umano, dentro questi fatti: e cioè l’uomo che appartiene al popolo, che appartiene alle culture antiche contadine, sa perfettamente che il male puó esser curato con i medicinali che offre la diagnostica e la terapia medica: si affida ai medici; e in tutta la Marsica sono presenti Ospedali perfettamente efficienti (basterebbe pensare a Celano e Avezzano, come centri medici molto importanti). Peró l’uomo della Marsica (come l’uomo di tutte le culture subalterne del paese di radice contadina) sa che, al di lá del male curabile, esiste la sorte dell’uomo, esiste la fortuna dell’uomo, esiste la sofferenza dell’uomo, che si inseriscono in un livello del diverso». (A. Di Nola, 1982).

«Segnamo lu chiovitu solato
nel nome del Padre, del Figliolo, lo Spirito Santo
e così sia.
Se lo dice nove vóte cuscì:
segnamo lu chiovitu solatu…».
(Anziana donna di Trasacco, 1982).

E c’è perfino qualche amministrazione comunale che, per risolvere gravi problemi come quello della mancanza d’acqua, ricorre non alla Cassa per il Mezzogiorno o ad altri Enti pubblici, ma a un semplice rabdomante. E — quel che è piú strabiliante — riesce davvero a trovare l’acqua: «lo voglio far rilevare la sorprendenza del fatto, di questa ricerca: perché lui non era stato mai qui a Villavallelonga. lo gli ho portato una carta topografica; lui sulla carta topografica ha individuato…, ha messo un puntino, ha individuato esattamente il punto, la profonditá e il quantitativo. Cose che hanno convertito tutti i miscredenti, a questo fenomeno della rabdomanzia e della radioestesia».

È successo nel 1982, a Villavallelonga; e tutta la popolazione è riconoscente al sindaco e al rabdomante, perché con un tocco di bacchetta magica sono riusciti ad ottenere in poco tempo quello che decenni di Cassa per il Mezzogiorno non erano riusciti nemmeno a immaginare! Ma nel passato che cosa avveniva? Leggiamo qualche documento di due o tre secoli fa. Nel 1786, ad esempio, a Villa S.Giovanni, una piccola frazione del comune di Sante Marie, era accaduto qualcosa di strano: «La sera in una stanza chiusa ed illuminata trovavasi il De Benedictis vestito di cotta, che riceveva i congregati. Su di una tavola erano due sedie vuote, sulle quali esso De Benedictis dicea di sedere invisibili due demonij, che egli chiamava Arzagam e la moglie, che conveniva di adorare. II rito dell’adorazione era il seguente: i congregati primieramente lavavansi i piedi; scriveano indi ciascuno il suo nome col proprio sangue in un foglio di carta bianca, che rimanea in mano dell’istesso De Benedictis; e ció fatto si accostavano riverentemente ad adorare i due Genij colá supposti presenti, tenendo intanto una gamba alzata, cantando salmi, offerendoli incenso, di cui anche fuori della stanza si sentiva l’odore; e così terminava il notturno congresso».

Ma gli episodi curiosi non finiscono qui: nel 1663 una certa Andreana Pingarello, di Cerchio, era stata vista entrare nella chiesa di S.Bartolomeo e accendere una candela davanti alla statua di S.Antonio di Padova: «Detta Andreana andó ivi, et sfacciatamente accese una candela indosso del detto Santo in capo in giú, gridando e scongiurando in modo di scomunicata, dicendo che conforme si distruggeva detta candela, cosí si doveva distruggere l’anima di quella persona che gli opponeva ció a torto; et non volle partirsi dillá, se detta candela non si distrusse et abbruggió tutta». E don Antonio Gizzi, un prete di Ortona dei Marsi, viene denunciato nel 1719 per avere scritto, in un suo libriccino di appunti, la seguente formula: «Per incantare li sbirri di notte: Ego / sum / quem / queritis / sine / Deus / abiret. Et si segni sempre in petto!».

Nel 1735, a Capistrello, il canonico don Carlo Tucci viene accusato di aver commesso il seguente «delitto»: «Ha fatto certa funzione contro il rito dí Santa Chiesa per sciogliere da una supposta malìa li coniugi di pochi giorni sono, cioè Domenico Antonio di Giacomo e Cesidia di Croce della medesima Terra di Capistrello».

E due anni dopo, a Luco dei Marsi, un certo Benigno Crocenzi, innamorato della gentil donzella Francesca di Berardino, le mandó quale pegno d’amore «uno spago tutto impeciato, nel quale erano fatti molti nodi, e tra li nodi si vedevano delli capelli legati». II dono fu affidato ad un «mezzano», un certo Noé Campana, «pretensore di matrimonio»:

«II Noé piglió lo spago, e lo ripose nel borzino de’ suoi calzoni, e cominció a sentirsi subito mancar di forze, e nel giro di pochi giorni il detto Noé se ne morì. Dal popolo universalmente s’è sospettato che tal morte sia provenuta da qualche malía composta con detto spago impeciato et annodato con capelli».
E lo sventurato Benigno Crocenzi non solo fu denunciato per omicidio commesso attraverso atti di magía e stregoneria, ma venne perfino abbandonato dalla sua gentile e poco innamorata fidanzata.
«Váttine via, butta lo malocchio;
chi ti l’ha misso, te lo possa levare.
I quattro santi ti possano aiutare,
la Madonna della Libbra ti possa libbrá! ».

Testi del prof. Angelo Melchiorre

Ricettività e servizi