TRADIZIONI E FOLCLORE NELLA MARSICA (Le confraternite nella Marsica)

Nel 1969 i vescovi d’Abruzzo, riuniti a Pescara per uno studio ed una riflessione sulla religiositá contemporanea nella loro regione, stilarono un documento «pastorale» nel quale, tra l’altro, si parló anche della religiositá popolare e delle Confraternite: «L’unica associazione permessa [nel passato] era quella delle Confraternite, nate quasi in ogni paese e intitolate in prevalenza al SS.Sacramento, alla Madonna o ai Defunti: il governo le convalidava col “regio placet” e le condizionava in tutto il loro operato. Finirono per essere una corda al collo della Chiesa e, ordinariamente, un ostacolo alla pastorale; e, perché non sorrette da vera spiritualitá, sono andate morendo di consunzione o si sono ridotte a larve da museo».

Nello stesso documento, i vescovi d’Abruzzo sottolineavano gli aspetti negativi della religione popolare, il cui elemento trainante era sempre quello rappresentato dalle Confraternite di paese, la cui carica emotiva era tale da trasformare spesso la religione in manifestazione di fanatismo o di esasperato spirito campanilistico: «In una parrocchia d’Abruzzo la religione era tanto caduta in ridicolo, da portarsi in processione, il 16 agosto, sei statue di S.Rocco, di diversa altezza e col nome raccordato alle varie misure: S.Rocco, S.Roccuccio, S.Rocchetto, ecc.».

Una dimostrazione delle perplessitá che la gerarchia ecclesiastica nutriva nei confronti di molte confraternite laicali puó essere offerta da una lettera che, nel 1939, l’allora vescovo dei Marsi, mons.Marcello Pio Bagnoli, invió al signor Giovanni Lucci, priore della Confraternita di S.Rocco in Avezzano:
«Illustre cavalier Lucci, debbo dirle che tutte le sue lagnanze sono fuori posto, perché Ella parte da un principio sbagliato, e mi spiego: Lei si è adoperato per la ricostituzione della Confraternita, e di ció Le ne rendo grazie. Ma adesso, solo il Vescovo ha il dovere di procedere secondo il Diritto Canonico, perché tutto sia anche liturgico».

E dopo aver elencato minutamente i doveri «religiosi» della Confraternita e, soprattutto, la necessitá che le attivitá dei confratelli non disturbassero le funzioni parrocchiali, il vescovo così proseguiva: «Come cantori per le Messe solenni e Funzioni, non hanno l’obbligo di prestarsi i cantori della Confraternita, ma vi deve pensare solo il Parroco». Dunque, un atteggiamento diffidente (quello della gerarchia ecclesiastica nei confronti delle confraternite laicali), spesso giustificato dal comportamento (alquanto autonomo, se non litigioso) di molti dei componenti di queste antiche e famose associazioni: «[…] perché c’è sempre stata la lotta al privilegio di una confraternita rispetto all’altra. Cioè, innanzi tutto, le prime clamorosissime risse avvennero verso la metá dell’Ottocento, quando si trattó di stabilire la prioritá nelle processioni ufficiali. Ci fu, allora, il parroco (mi pare che si chiamasse Stefanelli, mi pare, non vorrei sbagliarmi), il quale, per sedare un po’ gli spiriti bollenti e per contemperare le esigenze profane e spirituali nel contempo dei contadini (la maggior parte dei quali era gente analfabeta, ragionava col velo agli occhi), propose che, per esempio, alla processione del Venerdì Santo, questa dovesse essere aperta dalla confraternita della chiesa di S.Angelo, perché quella chiesa era la chiesa piú antica di Celano. Al che obiettarono quelli della chiesa della Madonna delle Grazie, giá di Piedimonte, che la chiesa piú antica fosse la loro».

Era, questa che abbiamo letta, la testimonianza dell’avv.Ercole Di Renzo, uno dei piú noti cultori di realtá celanesi. Eppure, nonostante le pessimistiche profezie di molti, non sembra che le confraternite, in questi ultimi anni, siano morte di consunzione o si siano ridotte a larve da museo. Anzi, dappertutto si sta assistendo ad un risveglio non solo della vita di queste associazioni, ma anche dell’interesse per la loro storia e il loro ruolo attraverso i secoli. Sentiamo il prof.Di Nola, che parla degli Antoniani: «[…] un ordine religioso, che si chiamava degli «Antoniani», che era prima un ordine laico, di ospedalieri che ricevevano gli ammalati negli ospedali; successivamente prese la regola di S.Benedetto, poi la regola degli Agostiniani, dei canonici agostiniani. Questi Antoniani si diffusero in tutta l’Europa; e non è improbabile (e qui bisognerebbe fare un sondaggio nei registri degli Antoniani) che abbiano avuto case in Abruzzo giá nel 1200. Gli Antoniani curavano gli ammalati del «male di S.Antonio», e li curavano con una ricetta particolarissima, cioè col grasso di maiale: li curavano col “porco”.

E allora seguivano un vecchio sistema di cura, che è presente giá nell’epoca di Carlo Magno: cioè, curare le malattie della pelle con il grasso di maiale».
Ipotesi, questa avanzata dal Di Nola (della presenza, cioè, giá in epoca abbastanza antica, degli Antoniani in Abruzzo), assai probabile, se si pensa che in molti paesi (Scurcola Marsicana, ad esempio, Capistrello, Tagliacozzo) esisteva un convento o una chiesa di S.Antonio con ospedale annesso.
Per Tagliacozzo, anzi, è possibile conoscere anche le suppellettili di cui questo «ospedale» era fornito, suppellettili che vengono elencate in una relazione del 1731, firmata dal priore della confraternita, il signor Marzio Rampa:
«V’è anche l’Ospizio de’ poveri, vi sono tre pagliucci, ed un matarazzo con una cuperta di lana con due lenzuola e con due altre cupertaccie; stanze numero quattro, una serve all’Ospitaliere; e la Cucinóla, con due stalle semplici».
Sarebbe davvero assai interessante ricostruire la storia delle confraternite in Abruzzo, una storia che è ancora tutta da scrivere.

Sono usciti, recentemente, parziali contributi (come, ad esempio, quello di Franco Cercone per le confraternite di Sulmona; quello di Mario Morelli sull’arciconfraternita del Gonfalone di Navelli; l’altro, di don Antonio Chiaverini, sulla confraternita del SS.mo Sacramento di Pratola Peligna; e infine, quello di don Evaristo Angelini sulla «Compagnia dello Spirito Santo» di Luco dei Marsi. Ma un quadro storico d’insieme è del tutto inesistente. Eppure, la vita della chiesa locale e della societá contadina era tutta costellata di confraternite. Ricordiamo, solo per citare qualche esempio, come ogni paese (nella Marsica e altrove) avesse due, tre, anche cinque o sei confraternite: S.Maria di Candelecchia, o l’altra dello Spirito Santo a Trasacco; della Misericordia e di S.Rocco a Cerchio; di S.Rocco e di S. Monica ad Aielli; di S.Giovanni Decollato ad Albe e ad Avezzano; dei santi Rocco e Sebastiano a Collarmele; del Suffragio e del Gonfalone a Magliano dei Marsi; della Trinitá a Scurcola; dell’Incoronata a Pescasseroli; dello Spirito Santo a Luco.

Oltre, naturalmente, alle sei confraternite «storiche» di Celano, tra le piú famose di tutta la Marsica: quelle, cioè, del Sacro Monte di Pietá, del Gonfalone, del SS.Sacramento e santi Martiri, di S.Rocco, della Concezione, di Maria SS.ma del Giubileo, tutte regolate da norme e principii assai rigidi: «Priore, primo assistente e secondo assistente, e po’ l’amministrazione capa che ce so’ li maestri de Luigi, e via. Po’ c’è il cassiere, c’è il segretario della chiesa, dov’è tutto registrato. II priore come si elegge? Non si elegge mica con le schede. Io mi ricordo che si eleggeva in un certo modo! Col granturco. Scusa, bianco o puramente del granturco a favore, che due reporta per il priore. Finito quello, fanno per il secondo assistente, po’ per il terzo; e fanno a votazione, o fagiolo, o granturco, e chi porta piú voti … Allora, il fagiolo … è favorevole; il granturco è sfavorevole? … È il contrario!». «Beh, per me è una cosa nuova e anche molto bella, perché è una tradizione che ormai si va estinguendosi, che non la fanno piú; molti giovani non si sono vestuti».

«Qui si sta verificando il fenomeno opposto a quello di prima dell’ultima guerra: i giovani partecipavano tutti, e alle confraternite e alla vita delle feste paesane. Molti giovani si facevano confratelli di una delle nove chiese di Celano. Quindi, partecipavano direttamente anche alla amministrazione della chiesa stessa. Dopo la guerra, il fenomeno è andato a mano a mano a mano trasformandosi: i giovani disertano». (Da alcune testimonianze orali, raccolte a Celano nel 1981).
Oltre agli obblighi di carattere religioso, uguali per ogni confraternita, le singole associazioni assumevano spesso un «colore» locale, stabilendo nel loro statuto o nella loro «carta» di fondazione una qualche norma che, legandosi a pratiche e a costumanze locali, servisse anche a caratterizzare in modo originale la confraternita stessa. Ad esempio, ad Aschi, la Compagnia del SS.Salvatore doveva, ogni anno, nella festivitá del patrono, «vestire una fanciulla o fanciullo, de’ piú miserabili del popolo, cioè il fanciullo di una sola giacca e calzoni, e la fanciulla di solo busto e gonnella e ció col ritratto delle sovvenzioni volontarie».
A Magliano dei Marsi era in uso la distribuzione del pane bianco (da darsi ad ogni capo-famiglia): distribuzione che veniva effettuata dalla confraternita del SS.Sacramento due volte l’anno (nella festa di S.Antonio Abate e nel Giovedì Santo), e dalla confraternita della Misericordia una volta l’anno («e propriamente nel giorno 25 marzo», festa dell’Annunciazione del Signore).

La confraternita dello Spirito Santo di Luco dei Marsi aveva l’obbligo di organizzare le «panarde» nei tre giorni che precedevano la festivitá della Pentecoste. E quella di S.Giovanni Battista di Avezzano era nata soprattutto per il «trasporto de’ cadaveri de’ poveri, de’ forastieri e dei morti in campagna», oltre che per la lavanda dei piedi, il Giovedì Santo, a dodici poveri della cittá.
Lavanda dei piedi che era anche una delle prerogative delle confraternite del Sacro Monte e del SS.Sacramento di Celano, delle varie confraternite di Scurcola Marsicana, e di numerose altre, di paesi grandi e piccoli.
Recentemente a Pescasseroli è stata ricostituita, per iniziativa di alcuni volenterosi, l’antica Confraternita della Madonna Nera dell’Incoronata. Si tratta, davvero, di un risveglio o, meglio, di una rinascita? Questa è la domanda che ci poniamo.

Testi del prof. Angelo Melchiorre

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