TRADIZIONI E FOLCLORE NELLA MARSICA (Usi e costumi nella Valle Roveto)

I costumi e le usanze dei paesi di Valle Roveto non differiscono molto fra loro; peccato solo che quei costumi e tante belle usanze vadano mano mano scomparendo. E pur non accennando sempre a questo o a quel paese, intendo nella mia rapida rassegna, dal momento che differenze sostanziali non esistono fra luogo e luogo, aver presente tutta la valle. Fino a pochi anni fa, le donne in grande maggioranza vestivano in costume: una camicetta a fiorellini, il famoso corset esterno, una lunga veste a grosse pieghe, un grembiule nero (il zinale in dialetto), in testa un grosso fazzoletto, i lembi estremi del quale erano legati dietro la nuca, oppure sotto la gola, o addirittura ripiegati sul capo. D’inverno usavano il fazzolettone pesante che copriva benissimo la testa e le spalle.

Quasi tutte calzavano scarpe; solo le contadine e la povera gente usavano le cioce, che oggi sono completamente scomparse. Oggi e difficile trovare in qualsiasi paese di Valle Roveto donne in costume; forse ancora qualche vecchietta. Gli uomini indossavano la camicia, su di essa il corpetto (il gilè), spesso a colori, un fazzoletto legato al collo, calzoni attillati che venivano stretti alla cintola non dal solito cinturino, ma da una larga fascia. Ai piedi le famose cioce: per calze usavano bianche pezze, di stoffa speciale, che aderivano al piede e alla gamba; stringhe lunghe e abbastanza larghe di cuoio, infilate alle cioce, giravano più volte attorno alla gamba e stringevano la parte inferiore dei calzoni e le dette pezze. In testa quasi sempre il cappello; la coppola non era conosciuta. Il mantello a ruota copriva tutti nell’inverno. Oggi le cioce sono un lontano ricordo. In Valle Roveto, un po’ dappertutto, in occasione di matrimoni, di ritorno di parenti o di amici dall’estero, nelle feste annuali dei paesi, si sono sempre organizzate serate allegre: l’organetto, la chitarra, il grammofono e qualche lecito ballo non mancano.

Spesso si profitta, specialmente nelle piccole frazioni, della venuta di bande per le feste patronali, per organizzare presso famiglie allegri trattenimenti dopo gli spari; le feste cosi proseguono fino alle ore piccole del mattino al suono di qualche tromba o di qualche clarino e con qualche giro di tarantella. L’organetto e il ballo sono di prammatica nelle lunghe sere di autunno o di inverno, quando la gioventù si riunisce a «scartocciare», a togliere cioè dalle pannocchie del granturco l’involucro gia secco. Alla mietitura anche, spesso un organetto accompagna il lavoro dei mietitori. E sono in uso ancora le mascherate a Carnevale: usi lontani, ripetuti ogni anno per divertire una gente che in quei giorni si aduna nelle sue piccole piazze e vede sfilare donne ed uomini mascherati, qualche volta anche con fine allusione a persone note del paese. Viene portata al suono dell’organetto o della chitarra sotto la finestra della giovane che si ama anche oggi la serenata: sono gli amici del fidanzato che accompagnano in coro le canzoni. Nei campi, al tempo della mietitura o di altre faccende campestri, si ascoltano con piacere gli stornelli, vecchi come la stirpe, cantati alternativamente a squarciagola da cori felici e spensierati di giovanette e di giovanotti.

Ai nostri giorni, con la vita rumorosa che ha dato luogo al la vita patriarcale e più semplice di altre età, tante usanze sono state dimenticate o cambiate. E bello pero che i posteri conoscano il passato e non dimentichino la vita modesta, laboriosa, fatta di sacrifici della loro gente. Niente si cambia nella tradizione. I fanciulli e i giovanetti attendono ai giuochi come seguendo un calendario immutabile: a primavera un giuoco, in estate un altro, all’autunno uno nuovo, ma tutti sempre uguali all’anno precedente, in inverno altri giuochi ancora, ma sempre differenti. E il ciclo continua ogni anno e cosi la tradizione si ripete.
Quando muore qualcuno in una famiglia, non solo questa e in lutto, ma ad esso partecipano tutto il parentado e tutti gli amici. C’e la consuetudine che i parenti della famiglia in lutto portino ad essa per più giorni, a turno, secondo una intesa, il caffè alla mattina, poi il pranzo e la cena. I matrimoni sono celebrati solennemente e si concludono con banchetti che non finiscono mai. Prima della benedizione nuziale, si forma un lungo corteo di coppie di parenti e di invitati, che accompagnano gli sposi alla chiesa.

Dopo il rito, che viene celebrato per lo più prima di mezzogiorno (mai di martedì o di venerdì), si riforma il corteo, atteso all’uscita della chiesa da una folla di curiosi, di giovanette specialmente, venute ad ammirare l’abito bianco della novella sposa. Spesso gli invitati gettano tra la folla confetti e soldi. In alcuni paesi, gli sposi tornano all’ultima Messa solenne della Domenica seguente al loro matrimonio, vestiti con gli abiti di nozze. I parenti e gli amici fanno doni agli sposi; oggi portano cose utili per la casa nuova che si apre, come servizi da tavola, da caffé, fazzoletti, batterie di alluminio, vassoi ed altro; un tempo invece damigiane di vino. fiaschi di olio, uova, farina, polli, agnelli, capretti o altri commestibili. In alcuni paesi e simpatico il costume che precede di qualche giorno la festa nuziale.

Le amiche della sposa, come rallegrandosi con l’amica che va a marito, con gesto gentile, portano, ciascuna con un collo sulla testa, la mobilia e il corredo della sposa in casa dello sposo. Le feste nei nostri paesi in occasione dei Santi Protettori o di altre manifestazioni religiose sono preparate durante tutto un anno da appositi comitati, i quali raccolgono tra la popolazione i prodotti dei campi, come grano, granturco, castagne, mosto, anche formaggi, legna, ecc., per poi vendere all’asta tutto quello che e stato raccolto nell’anno al migliore offerente. Il ricavato, unito alle sottoscrizioni in danaro, servira alle spese della festa. Il nuovo comitato, che si presenta dal parroco alla fine della festa, penserà. ai festeggiamenti dell’anno seguente. Spesso, in alcuni paesi, il comitato per la raccolta dei generi ha la collaborazione di giovanette e di giovani, i quali poi acquistano il privilegio di partecipare alla processione del Santo Patrono in un posto speciale, con vestiti indossati la prima volta per la circostanza.

A Civitella Roveto e a Morino esiste un’altra tradizione. Chi e capo della festa dell’anno seguente avrà in casa per tutto l’anno la piccola statua d’argento di S. Giovanni, a Civitella Roveto; la statuetta di Maria Bambina, a Morino. La cerimonia della consegna delle statuette dal capo-festa uscente al nuovo si svolge in modo solenne. A Civitella ha luogo una vera processione a cui partecipano il parroco, le confraternite, la musica e il popolo la sera del 24 giugno. Si offre dal nuovo capo della festa perfino un rinfresco agli intervenuti. Il giorno della festa patronale tutti si vestono a nuovo. La sera tutti in piazza a sentire la musica, a vedere i fuochi pirotecnici, a passeggiare sotto gli archi luminosi. In molti dei nostri paesi prima delle processioni si mettono all’asta le statue da portare per le strade del paese; i quattro che offrono di più porteranno la statua del Santo. Diventa esso un cespite non trascurabile a favore dei comitati, che affrontano le spese dei festeggiamenti anche con questa speranza.

Alcuni anni fa erano state introdotte, nelle feste dei principali centri di Valle Roveto, delle simpatiche gare con ricchi premi da assegnare da una giuria ai paesi, sempre della nostra valle, che avessero presentato i cori migliori. I cori dovevano essere composti di giovanette e di giovanotti in costume. Poi, non so perché, la bella iniziativa non e stata continuata. Invece siano continuate le belle manifestazioni, magari non si assegnino premi a nessuno; potrebbe bastare un aiuto in danaro da dare a ciascun coro, indistintamente, per la preparazione; quegli incontri annuali sproneranno tutti a far meglio e serviranno soprattutto ad affratellare le popolazioni della nostra valle. Nelle feste non mancano i giuochi popolari: la corsa dei sacchi, la corsa degli asini, l’albero della cuccagna ed altri divertimenti. Da qualche anno i giuochi vengono da fuori: la giostra, il tiro a segno e tanti passatempi.

Le feste diventano una buona occasione per rivedere il proprio paese: e bello incontrare per le strade amici che sono assenti da anni e che talvolta tornano perfino da oltre oceano. Tutti si ritrovano in quel giorno di festa; cosi la tradizione continua e quelli che sono nati nella stessa terra, stretti dal vincolo della stessa fede in Dio, rimangono avvinti alle stesse memorie, agli stessi ricordi. In quei giorni si aprono generosamente all’ospitalità degli amici le porte di ogni famiglia e in tutti i cuori vibra la passione che distingue una stirpe, la passione dell’Abruzzo forte e gentile. Le generazioni si inseguono e tanti costumi scompaiono, ma lo spirito resta a dimostrare che tutti, presenti ed assenti, amiamo la nostra valle e la desideriamo sempre migliore. Nello stesso tempo tutti crediamo che il domani di Valle Roveto sarà più benigno e più felice per la generazione che verra. Nei tempi andati ci si contentava delle sole feste solenni che ricorrevano una o due volte all’anno, e solo allora si usciva fuori dell’ordinario; oggi invece, in cui il tenore di vita anche da noi e più elevato, ogni ricorrenza familiare diventa una propizia occasione a far festa, a dare pranzi, a dimenticare le preoccupazioni quotidiane. Cosi una Prima Comunione, una Cresima, una licenza conseguita da un figliuolo nelle scuole, vengono solennizzate con inviti a ricevimenti o a banchetti; non si bada a spese, si fa a gara a non fare brutta figura di fronte agli amici ed ai parenti, anzi si cerca di far meglio degli altri.

A Pasquarella (cosi e chiamata da noi la Pasquetta, cioè il giorno dopo Pasqua), si e soliti mangiare in campagna. Quasi per tutti diventa quel giorno una scampagnata, alcuni fanno anche gite nei paesi vicini, vanno da amici, e tutto va a finire in un lauto pranzo. Si consumano in genere gli avanzi di Pasqua: le ciambelle, le torte di pane di Spagna, i dolci preparati durante la Settimana Santa. Ma il piatto forte rimangono sempre i maccheroni o le sagnette (le fettuccine) all’uovo. E le nostre donne sono maestre nella preparazione degli uni e delle altre! Come altrove, anche nei nostri paesi, i fanciulli, alla vigilia dell’Epifania, sospendono la calza alla catena del camino e aspettano la Befana dai genitori o dai parenti più vecchi. Vanno a ritirare la calza al mattino del 6 gennaio. Un tempo avevano qualche arancia, un mandarino, una mela, una pera, noci, fichi secchi, un torroncino di modeste proporzioni, due gianduie, un susamello e poi… tanta cenere, tanto carbone! Oggi altre befane preparano i genitori ai figliuoli esigenti: bambole di lusso, biciclette, aeroplani, trenini e altri oggetti costosissimi.

Nei battesimi e nelle cresime si scelgono le madrine (le comari) e i padrini (i compari) tra le persone più amiche, non raramente si attendono da lontano: sono le circostanze più adatte a stringere fra le famiglie vincoli di grande amicizia e di cordialità. il legame che ne deriva e ritenuto cosa sacra. A Civitella Roveto, dove e Protettore S. Giovanni Battista, la mattina del 24 giugno, seguendo un’antica tradizione, a cominciare dalle prime ore dopo la mezzanotte, lunghe teorie di civitellesi si lavano nelle acque del Liri. C’e l’uso anche in quell’occasione di farsi comari e compari, ma semplicemente a parola, fra le giovinette e i giovanotti del paese. Numerosi poi sono i pellegrinaggi che partono dai paesi di Valle Roveto e si recano nei santuari vicini, come a Genazzano, come a Vallepietra. Grosse comitive d’ogni età, dell’uno e dell’altro sesso, cantando le lodi della Trinità, della Vergine e dei Santi, affrontano volentieri fatiche e disagi nel lungo viaggio dell’andata e del ritorno. Al ritorno poi dei pellegrinaggi molta gente attende alle porte del paese; accolti al suono giulivo delle campane sono accompagnati anche dal sacerdote che e venuto loro incontro fino alla porta della chiesa. Qui si scioglie il pellegrinaggio e tutti tornano a casa. Oggi raramente si va a piedi nei santuari: spesso si va in corriera.

Le corriere raggiungono più rapide la meta e più presto si torna a casa. Al ritorno pero c’e sempre gente che aspetta e la cerimonia che accoglie i pellegrinaggi e sempre la stessa. quà e là ancora continuano vecchie usanze popolari, ma esse vanno a poco a poco scomparendo. Non si conosce quasi più il 17 gennaio la panetta a Civita d’Antino e a Civitella Roveto, che aveva la sua corrispondenza più o meno simile in altri paesi della valle. Ad esempio, a S. Vincenzo e altrove, nel giorno di S. Antonio Abate, non si cercava il pane, ma l’olio, alle porte delle case. A Balsorano i ragazzi vanno in cerca dei cosi detti cicirocchi: e granturco cotto. A Civitella Roveto il giorno dell’Ascensione si mangiavano i cosi detti ranari (dalla parola dialettale rano, che significa grano). Erano legumi lessi, e si mangiavano per devozione. Sempre a Civitella, negli ultimi giorni dell’anno, i giovani a sera inoltrata bussavano alle porte dei più abbienti e chiedevano i <<Zufft’». Si trattava di frutta, di castagne, di fichi secchi; i più fortunati avevano anche salsicce. L’usanza dispettosa di dar fastidio nei giorni che precedono le loro seconde nozze ai vedovi e alle vedove e sempre viva in tutta la valle. Per alcune sere gente con fischietti, con trombe improvvisate, con corni primitivi, con instrumenti di ogni genere, con fiasche di latta trascinate per i selciati delle vie del paese, fa un fracasso indiavolato attorno alla casa di chi intende celebrare il suo secondo matrimonio.

Anche se l’uso può sembrare antipatico, tutto poi finisce allegramente. Molti sono conosciuti nei nostri paesi più per il soprannome che per il cognome. I soprannomi nelle famiglie resistono tenacemente al tempo e passano immutati da una generazione all’altra. Altre usanze: dopo la mietitura e permesso a tutti spigolare nei campi; allo stesso modo dopo la vendemmia tutti possono racimolare nelle vigne i grappoli d’uva dimenticati tra le viti o sulle pergole dai vendemmiatori. Dopo la festa d’Ognissanti, durante il cosi detto ruspo, ognuno può prendere sotto le piante dei castagni le castagne che non sono state raccolte dai padroni fino alla data del l’ novembre. Espressioni indovinate, massime brevi e significative, proverbi profondi vengono ripetuti spesso, al momento opportuno, dal nostro popolo: sono il frutto dell’antica esperienza, che tutto osservo e da tutto trasse utili insegnamenti. L’esperienza ha insegnato tante cose al nostro popolo: i contadini specialmente, che sono a contatto continuo con la natura, hanno tratto dalle fasi della luna, dai moti degli astri, dal comportamento degli animali in certe circostanze, dal tempo piovoso, ventoso o sereno di alcune giornate i loro insegnamenti per azzardare oroscopi o previsioni per tutto l’anno.

Il contadino, la donna del popolo sono creduloni ancora. Superstizioni ancora ci sono; qualcuno crede al malocchio, altri alla iettatura. Come si fa a sradicare completamente certe false credenze, certi pregiudizi, le cattive interpretazioni degli avvenimenti? La gente e ancora primitiva molte volte; ma il nostro popolo, anche se abbandonato per lunghi secoli, anche se vive in una zona depressa, ama sempre la sua terra e i suoi costumi. Quando emigrano gli abitanti di Valle Roveto, lo fanno per migliorare economicamente, ma non dimenticano mai la terra natia. Anche quelli che dimorano in città come impiegati o che l’ufficio e la necessiti hanno sospinti lontano da Valle Roveto, ove nacquero, non la dimenticano mai e di tanto in tanto tornano a rivedere le sue montagne. Quanti, dopo aver raggranellato faticosamente all’estero una discreta somma, si sono costruiti la comoda casetta in paese, poi vi sono ritornati e non si sono allontanati mai più, seguitando ad amare il lavoro e trasmettendo ai figli le più belle virtù della nostra stirpe? Una lieta constatazione e doveroso fare. Una volta in Valle Roveto si beveva più vino. Oggi sono meno numerosi coloro che si rendono schiavi dell’alcool. Perché? Molto e dovuto ad altre distrazioni che allontanano i giovani dalla cantina.

Oggi vanno i giovani alla partita di calcio, amano l’escursione in montagna, preferiscono il cinema alla bettola. E per concludere il presente capitolo, che avrà sicuramente varie lacune, passo a dire qualche parola sul dialetto della terra che ci vide nascere. Anche su questo argomento solo qualche nota e nulla più. Vado io appena appena accennando perché potrebbe essere il dialetto di Valle Roveto l’argomento per un libro. Il dialetto di Valle Roveto non differisce molto da paese a paese. Le differenze, se vi sono, rappresentano semplici sfumature. Forse la cadenza e più accentuata in una zona e non in un’altra; sembra che canti chi parla in qualche paese, come a Roccavivi. Non e difficile perciò a chi e del luogo riconoscere immediatamente dalla parlata da quale paese proviene il suo interlocutore. La pronunzia della e e della o e molto stretta; di napoletano non c’e molto nei nostri dialetti; siamo di gran lunga più vicini all’abruzzese che al napoletano.

Forse a Balsorano non mancano parole e accenti che si discostano dai dialetti del resto della valle: ma e logico e naturale; Balsorano ha risentito per secoli dell’influsso di Sora, con cui confina. A Meta, frazione di Civitella Roveto, oltre al dialetto comune, quello che e capito da tutti, anche Bai forestieri, e usato dalla popolazione, allo scopo di non farsi capire, particolarmente in caso di emergenza, un gergo speciale. Lo conoscono solo gli iniziati e gli abitanti anziani del paese.

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