I marsicani in Africa alla conquista dell’Impero (gennaio-febbraio 1936)

Camicie nere in partenza per l’Africa orientale|Truppe italiane alla battaglia di Ganale Doria
Camicie nere in partenza per l’Africa orientale

È fuori discussione (e molti insigni studiosi l’hanno confermato), che Mussolini già da qualche tempo pensava di espandersi in Africa per tutta una serie: «di motivi, di prestigio, di potenza, economici e demografici», localizzando questo futuro potenziamento soprattutto in Etiopia. Del resto, gravavano sulle sue decisioni: «tutta una serie di motivi storici e psicologici ai quali, per un verso, Mussolini e il fascismo erano particolarmente sensibili e che, per un altro verso, potevano essere fatti giuocare da essi per mobilitare emotivamente gli italiani e dar loro una coscienza coloniale certo più facilmente che per qualsiasi altra terra africana» (1).

Le ostilità cominciarono con i bombardamenti ordinati dal maresciallo Pietro Badoglio, messo a capo delle truppe di conquista. Furono colpite: Amhara, Adua, Axum, Adigrat e Macallé, suscitando subito le rimostranze degli ospedali egiziani di Dagabur e Bullale, forse colpiti erroneamente dall’artiglieria italiana; mentre l’esercito mitragliava senza tregua le forze abissine. Nella battaglia di Genale Doria (o Ganale Dorya) l’esercito del Negus fu sconfitto, lasciando sul terreno diecimila morti. Il telegramma di Badoglio inviato al capo del governo fascista, riferiva: «L’inseguimento prosegue senza che le truppe abissine possano opporre valida resistenza. Fatti prigionieri e sul terreno 4mila morti». Il 12 gennaio 1936, truppe italiane al comando del generale Rodolfo Graziani, fecero il resto, sbaragliando oltre centomila guerrieri etiopici, mentre aspri combattimenti si svolgevano anche sul fronte eritreo, dove una divisione di camicie nere si trovò particolarmente impegnata (2). 

Truppe italiane alla battaglia di Ganale Doria
Truppe italiane alla battaglia di Ganale Doria

A ciò fece eco a Roma (Palazzo Venezia) la riunione del Gran Consiglio, presieduto da Mussolini, che elogiò i soldati  impegnati in Africa orientale, sempre pronti a combattere «con sicura fede nella civile missione dell’Italia fascista». 

Dal nostro territorio il 1° febbraio dello stesso anno, un treno di camicie nere della 132ª legione al comando del capomanipolo Guido Pace De Angelis, partì da Avezzano alla volta di Salerno per imbarcarsi: «Una folla enorme è stata alla stazione a salutare le camicie nere, tutte le autorità, un folto gruppo di ufficiali della Milizia. Il camerata Brizio Montinari, padre di due figli volontari, che già trovansi in Africa, ha voluto salutare i nuovi partenti, con parole patriottiche. Indi il Vescovo de’ Marsi, devotamente ascoltato da tutta la folla, ha rivolto alle Camicie Nere parole di affetto paterno e incitamento. Ha espresso la certezza che è nel cuore di tutti, che i nostri militi sapranno, come i fratelli che li hanno preceduti, ben compiere il loro dovere, per l’onore di tutte le CC.NN. e della terra che ad essi ha dato i natali» (3). 

Senza alcun dubbio, i riconoscimenti delle vittorie italiane divennero molto frequenti, mostrando all’Europa il valore dell’esercito: «Dopo la strepitosa e schiacciante vittoria del Gen.Graziani, è venuta ad aumentare e ad inorgoglire ancor più l’animo di tutti gli italiani, la notizia della nuova vittoria di Tembien […] Il comportamento delle nostre truppe nazionali ed indigene, come sempre, è stato eroico ed irresistibile. La Marsica trae ancora un motivo in più di santo orgoglio nel comportamento veramente degno delle tradizioni che le fiere Camicie Nere del suo primo battaglione, con i camerati delle Calabrie e delle Puglie, hanno tenuto alla prova meravigliosa, per il valore, lo sprezzo del pericolo e lo spirito di sacrificio da essi dimostrato sempre e dovunque». 

Le prime truppe partite da Avezzano (5 febbraio 1935), prima della grande impresa dell’anno dopo, furono inquadrate nel I° battaglione delle camicie nere in Eritrea, venendo assegnate al I° gruppo della 2ª divisione del generale Diamanti, nel I° corpo d’armata indigeno, comandato dal generale Pirzio Biroli. La terza compagnia del battaglione, composta quasi esclusivamente da avezzanesi agli ordini del comandante Enzo Celebrano, rimase a guardia del Passo Abarò, chiave strategica del Tembien per oltre un mese, assolvendo: «un compito delicatissimo con una attenzione ed una consapevolezza tale della enorme responsabilità, da guadagnarsi un sobrio ed alto elogio da parte del Generale. La Compagnia ha tenuto la posizione fino al 4 Gennaio 1936, giorno in cui il Battaglione è sceso ad Adi Jabbada, proseguendo per Abit Bei. Qui per la prima volta, il Battaglione si è scontrato con il nemico. I nostri militi appena giunti sul posto, si sono meravigliati di vedere ragazzi così giovani, così freschi, così assuefatti alla dura vita degli indigeni. Hanno fatto miracoli: partiti il giorno 19, si sono scontrati col nemico in posizione su alture le cui cime sono state raggiunte dopo attacchi aspri e sanguinosi. La lotta è stata dura, ma il nemico è stato rigettato su tutti i punti […] La Marsica Romana, in prima linea, è orgogliosa dei suoi figli […] Il Comandante la 2ª Brigata Eritrea inviò al gen. Diamanti lettera di encomio per i combattimenti del 18 e 22 a tutti i soldati e gli ufficiali marsicani». Occorre menzionare anche il colonnello Francesco Corbi di Avezzano, che era partito per l’Africa orientale nel gennaio del 1936, imbarcandosi a Napoli con il 62° reggimento Parma: «Prima della partenza le truppe, con alcuni reparti delle Camicie Nere, sono state passate in rivista dal Sottosegretario alla Guerra, Baistrocchi. Al Colonnello Corbi inviamo un saluto di augurio di tutta la cittadinanza avezzanese» (4). 

In particolare, come ormai evidenziano tanti studi, la guerra d’Africa fu una strage senza eguali, che costò la vita di 275.000 soldati etiopi (500.000 furono i feriti), di 4.350 tra soldati e civili italiani e di 3.000-4.500 ascari, militi indigeni che combattevano con le forze coloniali (9.000 furono i feriti). 

Rintracciando il percorso storico delle vicende, può affermarsi infine che: Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana furono riunite sotto un unico governatorato e il nuovo possedimento coloniale venne denominato A.O.I. (Africa Orientale Italiana). Com’è noto, attraverso l’esame di tanti bollettini di guerra, si rileva l’uso dei micidiali aggressivi chimici (Iprite) che l’aviazione italiana rovesciò senza pietà sui somali e gli etiopici. 

Purtroppo, numerosi furono i casi in cui gli italiani stuprarono e violentarono «le indigene, ritenendole indiscriminatamente prostitute anche in presenza di figli e mariti» (5). 

NOTE

  1. R.De Felice, cit., pp.602-603.
  2. Il Messaggero, Anno 58° – N.13-16-21-24, 15-28 gennaio 1936. Al di là delle notizie propagandistiche del giornale asservito al partito fascista, per un quadro completo si veda: l’inventario dello Stato Maggiore dell’Esercito (V reparto Affari Generali – Ufficio Storico) dove esiste il Fondo D2, denominato «Carteggio operativo e relazioni varie del Comando Forze Armate della Somalia», che conserva la documentazione inedita del conflitto italo-etiopico per quanto riguarda lo scacchiere somalo della guerra. Esso è costituito da 31 buste e copre essenzialmente gli anni della guerra (1935-1936). Sono tuttavia presenti preziosi documenti precedenti e posteriori che riguardano direttamente i soldati marsicani.
  3. Il Messaggero, Anno 58° – N.29, Domenica 2 Febbraio 1936. Un altro manipolo di CC.NN. parte da Avezzano per l’Africa orientale.
  4. Ivi, Anno 58° – N.32, Giovedì 8 Febbraio 1936, p.4. Le Camicie Nere della Marsica si battono eroicamente nel Tembien.
  5. Archivio Centrale dello Stato, Procura Generale militare di Roma, Matteo Dominioni, carteggio de «I tribunali militari dell’Africa orientale italiana (1936-1940», pp.27-28.

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