I monumenti ai caduti costruiti durante il periodo fascista, svolsero un ruolo cruciale nel rafforzare il consenso popolare e mantener viva una fede collettiva. In ogni centro della Marsica, dal capoluogo a tutti i paesi del circondario, il culto dei caduti occupò materialmente una posizione centrale nella «liturgia fascista e fu probabilmente il più espressivo del suo senso di religiosità secolare e della sua concezione eroica della vita […] Intorno al culto dei caduti si sviluppò, ancora col ricorso a metafore della tradizione cristiana, la simbologia del sangue rigeneratore e fecondatore dei martiri».
In un primo momento, i monumenti alla memoria dei caduti, furono posti in prossimità delle chiese (vedi quello di Avezzano posto in Piazza Risorgimento, di fronte alla cattedrale). Nel ventennio fascista, intorno a queste opere imponenti, venivano radunati tutti i cittadini come universale manifestazione liturgica della «sacralizzazione della politica nel XX secolo, e diede nuovo impulso alla santificazione della nazione». Indubbiamente: «In quegli anni questi monumenti dedicati alla memoria dei caduti sorsero numerosi, e disordinatamente, in ogni parte d’Italia, per iniziativa dei comuni, di associazioni patriottiche e combattentistiche, di gruppi di cittadini. L’inaugurazione del monumento, nuovo spazio sacro della comunità, fu ovunque occasione per celebrare riti patriottici, con la venerazione dei simboli della nazione e della guerra, che coinvolgevano, in modo più o meno ampio, la popolazione» (1).
D’altronde, il culto dei militari caduti nella Prima Guerra Mondiale, non si era esaurito con il superamento del dolore dei reduci, dei mutilati o dei familiari dei caduti, ma avrebbe continuato a simboleggiare un elemento chiave per tutto il ventennio.
Il fanatismo fascista, con la sua esasperazione dell’amor di patria e il morboso culto della morte, che si manifestava anche nel nostro territorio attraverso un apparato visivo costituito da divise, distintivi e gagliardetti, spesso raffigurante teschi di colore nero, oltre che da drappelli dai nomi minacciosi, divenne una presenza costante nella vita degli italiani. È in questa prospettiva che andranno esaminate le imponenti celebrazioni del nono anniversario della Vittoria (4 novembre 1927), svolte con «grande solennità» in tutta la Marsica.
Ad Aielli, per esempio: «intervennero le madri e le vedove dei caduti di guerra, la Sezione Fascista, il manipolo della Milizia Nazionale, i Combattenti, la rappresentanza comunale con il vice Podestà cav. Maccallini Alfredo, la Congregazione di Carità con il Presidente Del Cecato Massimo, le scuole, le organizzazioni sindacali». Durante l’affollata celebrazione, dalla finestra del municipio parlò il vice-podestà, seguito dal discorso prettamente propagandistico del capo manipolo dottor Luigi Tattoni, per poi proseguire con la benedizione impartita da parroco don Paolino Angelini. Il corteo, infine, si sciolse al suono della banda che intonava «Giovinezza» ed altri inni in voga al grido di: «Viva il Re! Viva Mussolini! Viva l’Italia!» (2).
Anche a Villavallelonga, alle ore dieci dello stesso giorno: «si formò un corteo con l’intervento delle scolaresche e rispettivi insegnanti: Giancursio, Di Lelio, Palozzi Giuseppe e Annunziata, Podestà avv. Retico Romolo con tutti i dipendenti comunali e il Portabandiera Serafini Vincenzo, rappresentanti dei sindacati agricoltori, commercianti con relativi vessilli, Militi della M.V.S.N. al comando del Centurione e Segretario Politico del Fascio Giancursio, Capo-manipolo della Sanità dott. Alberto Stoduto, Balilla e Avanguardisti». L’affollata adunata fu caratterizzata da diversi interventi delle autorità fasciste, seguiti dalla solita cerimonia religiosa svolta nella chiesa parrocchiale, con l’ausilio del sacerdote don Domenico Giancursio. Un lungo corteo sul «Viale della Rimembranza», chiuse la manifestazione. Nel pomeriggio fu offerto dal comune un grande banchetto aperto a tutta la popolazione (3).
Contemporaneamente, lo stesso evento si svolse a Scurcola Marsicana. Questo l’annuncio a caratteri cubitali del corrispondente: «Celebrata la solennità di un rito sacro, la memorabile data che segnò il trionfo definitivo delle nostre armi sul secolare nemico». In realtà, l’intero borgo, fin dalle prime ore del mattino, apparve ai cittadini «ammantato di tricolori». Nella chiesa collegiata, il canonico don Ernesto Anzini, per delega del vescovo, benedì: «il nuovo Labaro municipale di recente acquistato in luogo di quello distrutto nell’incendio del Comune». Madrina della bandiera fu Caterina Di Giacomo, seguita da un lungo corteo composto dal podestà, balilla, componenti della «Società Operaia», milizia e carabinieri in alta uniforme. Per l’occasione parlò il capitano Lacchini e l’avvocato Vincenzo Pompei, che ricordarono al numeroso pubblico presente, le tappe fondamentali della «Vittoria di Vittorio Veneto» (4).
Anche il paese di Trasacco (capoluogo di mandamento), festeggiò con solennità, l’anniversario della Vittoria «inaugurando l’acquedotto del Riosonno». La mattina del 4 novembre la popolazione fu svegliata dagli scoppi di fuochi artificiali, con l’intero borgo tappezzato «di lunghi striscioni a colori, che inneggiavano al Fascismo, al Duce, ai Combattenti, alla Milizia e al Podestà». Nell’antica cattedrale di San Cesidio, fu poi celebrata una messa in suffragio degli ottantacinque caduti in guerra, seguita dalla processione «in corteo con in testa il vice-Podestà Petrei e il rev. Abate Cuciz». Nel primo pomeriggio giunsero a Trasacco l’ingegnere capo del Genio Civile Zanter, accompagnato dal cavaliere Di Palma, dai direttori del Banco di Napoli e della Banca del Sud, ingegner Orlandi e famiglia, il cavaliere Micangeli, l’ingegner Pietrangeli, l’amministratore di Torlonia Giuggioloni, il dottor Francesco De Medicis, il pretore Sisto Domenicano «ed una larga rappresentanza dei comuni limitrofi».
Il nuovo corteo fu guidato dal segretario politico Gino Marcellitti, seguito dai balilla, dagli avanguardisti, dalle piccole italiane, dall’intera sezione fascista e dalla milizia. Presso il municipio prese la parola Erminio Visconti «simpaticamente noto alla massa agricola»; tra l’altro, il discorso del podestà Tullio Di Pietro, portò all’attenzione della popolazione, la questione del Fucino, augurandosi che si potesse presto raggiungere una nuova convenzione con l’amministrazione Torlonia, in quanto la precedente fu bocciata dal ministero, perché considerata «lesiva degli interessi dei comuni». Il prefetto Giuseppe Bolis, presente alla manifestazione «con rapidità veramente fascista», strappò la promessa a Giuggioloni, che garantì a favore del consorzio altre undicimila lire.
Il nuovo fontanile, fu inaugurato dalla madrina Maria Calabrese (moglie del podestà), che infranse su di esso la classica bottiglia di spumante tra: «l’entusiasmo della folla, batterie di petardi e suono di banda Giovinezza». Le massime autorità, accolte trionfalmente dai cittadini, furono infine invitate al rinfresco organizzato nelle sale del municipio (5).
NOTE
- E.Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Economica Laterza, Gius.Laterza & Figli, Bari-Roma, Prima edizione 2001, pp.31- 47.
- Il Messaggero, Anno XLIX – N.266 – Mercoledì, 9 Novembre 1927, p.6, Da Aielli. Nell’anniversario della Vittoria.
- Ivi, Anno XLIX – N.268 – Venerdì, 11 Novembre 1927, p.6, Villavallelonga, La celebrazione del nono anniversario della Vittoria.
- Ivi, Anno XLIX – N.270 – Domenica, 13 Novembre 1927, p. 5, Da Scurcola Marsicana, La commemorazione della Vittoria. La sede comunale aveva subito un incendio doloso nel 1922.
- Ivi, Anno XLIX – N.271 – Martedì, 15 Novembre 1927, p.6, Da Trasacco.