Il Fucino era il terzo lago d’Italia per estensione, si stima avesse un’ampiezza di 155 chilometri quadrati ed una profondità massima di 22 metri, con un bacino di alimentazione di 890 km quadrati circa. Secondo quanto riportato dal Corsignani, ai suoi tempi (1700) nel Lago Fucino si pescavano lasche, barbi, tinche, telline e rare trote. La produzione annua di pesce ammontava a circa 350.000 Kg.
Il livello delle acque del lago era sempre variabile e le sue continue escrescenze sui terreni e paesi limitrofi provocavano danni ingenti. Spesso gli inghiottitoi (petogne) che si trovavano ai piedi del monte Salviano vicino a Luco dei Marsi, con le loro frequenti occlusioni, erano causa dell’innalzamento del livello delle acque che inondavano i campi coltivati, danneggiando i raccolti e rendendo inutilizzabili terreni che anche dopo il ritiro restavano impraticabili.
Gli agricoltori pativano fortemente l’instabilità del lago che li costringeva a periodi di carestia in un contesto di vita al limite della sopravvivenza. Inoltre, il deflusso lasciava ampie sacche di acque stagnanti, con zone paludose e melmose che favorivano l’insorgere della malaria. Per questi e per altri motivi ancora, già gli antichi romani si erano impegnati nel tentativo del prosciugamento del lago.
Dopo un primo progetto di Giulio Cesare, mai realizzato, per volere dell’imperatore Claudio, tra il 41 e il 52 d.C., furono edificati i famosi ”Cunicoli di Claudio”, una rilevantissima opera idraulica formata da un lungo canale sotterraneo, sei cunicoli e trentadue pozzi per fornire aria ai lavoratori. Svetonio racconta: “Compiuto l’emissario, dopo 11 anni di incessanti lavori, con l’opera di circa 20.000 schiavi e circa 10.000 tra carpentieri, muratori, specialisti, ecc.. l’imperatore volle celebrare l’avvenimento con solennità che superasse ogni altro splendore.”
Lo storico si riferiva allo straordinario spettacolo di naumachia voluto dall’imperatore, prima che il lago fosse svuotato, in modo che tutti potessero ammirare la gigantesca opera idraulica realizzata. Tacito così la descrive negli “Annali”: Sub idem tempus, inter lacum Fucinum amnemque Lirim perrupto monte, quo magnificentia operis a pluribus viseretur lacu in ipso navale proelium adornatur…”. “In quello stesso periodo di tempo, fu eseguito lo scavo del monte che sta tra il lago Fucino ed il fiume Liri e, affinché la maggior moltitudine di spettatori potesse ammirare l’opera grandiosa, venne allestito sulle acque dello stesso lago un combattimento navale…”. (TACITO; ANNALES; XII, 56, 1).
La galleria era lunga 5640,54 metri; parte dello scavo interessò roccia calcarea con zone anche durissime, di roccia, concrezioni calcaree e, infine, argilla pura e sabbia. L’apertura dell’emissario di Claudio, secondo Tacito, ebbe luogo verso la metà del 52 d.C., ma le acque smisero di defluire verso la fine del 55 d.C. per difetto di manutenzione e per la sospensione dei lavori di scavo del canale che riceveva le acque dell’emissario. Comunque il canale non permise più al lago di subire delle alterazioni, facendo rimanere costante il livello delle acque e quindi evitando le inondazioni.
Quando a Claudio successe il figlio Nerone, questi non manifestò più alcun interesse per la sua manutenzione, tanto che il canale si ostruì. Successivamente, Adriano fece abbassare ancora il tunnel e promosse anche la costruzione di un canale verso il centro del lago; grazie a queste attività si riuscì ad ottenere un deflusso continuo che durò più secoli e diede prosperità alle popolazioni rivierasche.
Con la caduta dell’Impero e le invasioni barbariche degli Unni, dei Goti e degli Ostrogoti, venuta meno ogni manutenzione, l’emissario divenne rapidamente inefficiente e a nulla valsero i successivi tentativi di restauro condotti dall’imperatore Federico II di Svevia. Altri tentativi di restauro furono condotti più tardi, verso il principio del XVII secolo, e anche il principe Colonna, che possedeva gran parte della regione marsicana, tentò l’impresa con l’aiuto di vari comuni. I lavori iniziarono ma non furono mai portati a termine per la mancanza di fondi. Solo nel XIX secolo, con il principe Alessandro Torlonia, si arriva al definitivo prosciugamento del Lago.