La domanda che senza dubbio poniamo più spesso noi farmacisti ai nostri pazienti e che paradossalmente risulta anche la domanda di cui gli stessi ignorano maggiormente la risposta è quella di indicarci se preferiscono il Farmaco originale o quello generico.
Una delle cose più “divertenti” è vedere le espressioni dei pazienti ogni volta che viene posto loro questo quesito. Grossi punti interrogativi appaiono sui loro volti, alcuni si indispettiscono, altri sgranano gli occhi e iniziano ad agitarsi facendoci sentire degli inquisitori.
Da qui lo spunto per fare chiarezza al riguardo.
Tutti hanno il diritto di conoscere, in modo da poter scegliere serenamente, perché il paziente ha il diritto di decidere se prendere il farmaco originale oppure il generico, ovviamente eccetto nel caso in cui il medico non indichi sulla stessa ricetta l’insostituibilità del farmaco.
Un medicinale, tranne che in rare eccezioni, è composto da una o più sostanze attive o princìpi attivi e da uno o più eccipienti. La sostanza attiva è quella dotata di un effetto farmacologico, cioè la sostanza che nel medicinale esercita l’azione terapeutica. Gli eccipienti sono invece quelle sostanze che, anche se non dotate di un’azione farmacologica, sono importanti perché, unite in vario modo alla sostanza attiva, conferiscono al medicinale una forma idonea ad essere somministrata.
Gli eccipienti sono sostanze inerti e non hanno proprietà terapeutiche. Ciononostante, un certo numero di eccipienti possono avere rilevanza per la sicurezza di un medicinale. Per esempio farmaci contenenti saccarosio devono essere somministrati con attenzione ai pazienti diabetici. Per tale motivo i foglietti illustrativi dei medicinali riportano sempre specifiche avvertenze per determinati eccipienti, in ottemperanza ad un’apposita linea guida predisposta dalla Comunità europea.
Un eccipiente può, però, anche avere un’influenza sull’assorbimento del farmaco e di conseguenza l’attività dello stesso.
Un medicinale equivalente (o generico) è, in parole molto semplici, una copia del suo medicinale di riferimento (medicinale “di marca” o “originale”) presente sul mercato già da molti anni (in Italia normalmente 10 anni) e, cosa fondamentale, il cui brevetto sia scaduto. Infatti, un farmaco equivalente (o generico) non può essere messo in commercio se il brevetto del medicinale di marca è ancora valido.
In termini legali il medicinale generico viene definito come
“un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità”.
I medicinali generici e quelli equivalenti sono la stessa cosa.
La parola generico, infatti, è soltanto la traduzione italiana dell’inglese “generic name”, termine con cui i popoli di derivazione anglosassone chiamano i farmaci-copia dei medicinali di marca non più protetti da brevetto. In Italia si è preferito definire questi medicinali “equivalenti”, con esplicito riferimento al concetto di bioequivalenza, una condizione in assenza della quale questi farmaci non possono ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC).
I requisiti che un farmaco deve soddisfare per essere considerato “equivalente” al corrispondente medicinale “griffato” sono diversi.
Volendo elencare i punti fondamentali vorrei ribadire che il medicinale equivalente deve rispondere essenzialmente ai seguenti quesiti:
- 1 AVERE LO STESSO PRINCIPIO ATTIVO, ossia la sostanza responsabile del suo effetto farmacologico.
- IL PRINCIPIO ATTIVO NON DEVE ESSERE PROTETTO DA BREVETTO;
- AVERE LA STESSA FORMA FARMACEUTICA E VIA DI SOMMINISTRAZIONE (per es. compresse, capsule, soluzione iniettabile etc.);
- AVERE LO STESSO DOSAGGIO UNITARIO;
- ESSERE BIOEQUIVALENTE AL MEDICINALE DI RIFERIMENTO;
- AVERE UN COSTO DI ALMENO IL 20% INFERIORE RISPETTO AL CORRISPONDENTE MEDICINALE DI RIFERIMENTO.
I tre requisiti fondamentali che consentono a un medicinale di ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) sono la qualità, la sicurezza e l’efficacia e devono essere dimostrati per tutti i medicinali, non importa se “di marca” o equivalenti. Questo perché tutti i medicinali autorizzati all’immissione in commercio devono rispettare la legislazione europea in materia di medicinali.
Prima che un medicinale possa essere somministrato all’uomo, è necessario dimostrare che le sostanze di cui è composto, e in particolare il principio attivo, non siano dannose alle dosi che saranno impiegate nella pratica clinica. La dimostrazione della sicurezza è un requisito richiesto per ogni nuova sostanza attiva, ma anche per un eccipiente se questo non è mai stato usato in precedenza per fabbricare un medicinale. Per fare ciò, la normativa sui farmaci impone che il farmaco sia prima sperimentato su un certo numero (almeno 2) di specie animali idonee (per es.: topi, ratti, cavie, cani e scimmie). Questi test, detti anche prove precliniche, sono propedeutici alla conduzione degli studi sull’uomo (prove cliniche). Di conseguenza il dossier per l’autorizzazione di un nuovo medicinale dovrà contenere tutta una serie di sperimentazioni e studi condotti sugli animali al fine di accertare la sicurezza dei principi attivi (uno o più di uno) che lo compongono. Gli esperti dell’AIFA hanno il compito di valutare i risultati di questi studi, in genere assai numerosi quali tossicità acuta e cronica, mutagenesi e cancerogenesi, riproduzione.
Perciò la normativa farmaceutica comunitaria, come quella di gran parte dei Paesi del mondo, ha ritenuto non etica la ripetizione delle prove precliniche già effettuate con una sostanza ai fini registrativi che sia già nota da cinque anni.
Il decreto legislativo 219/2006 prevede per la registrazione di un equivalente una procedura semplificata. L’articolo 10 dispone che il richiedente (azienda farmaceutica) non è tenuto a fornire i risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche se può dimostrare che il medicinale è un medicinale equivalente di un medicinale di riferimento che è autorizzato o che è stato autorizzato da almeno otto anni in Italia o nella Comunità europea. Per quanto riguarda l’efficacia la documentazione è costituita invece da uno studio di bioequivalenza
La bioequivalenza tra due farmaci è l’equivalenza terapeutica tra due formulazioni, essenzialmente simili, contenenti lo stesso principio attivo. Due farmaci sono bioequivalenti quando, con la stessa dose, i loro profili di concentrazione nel sangue rispetto al tempo sono così simili che è improbabile che essi possano produrre differenze rilevanti negli effetti di efficacia e sicurezza. Gli studi di bioequivalenza sono, in sostanza, degli studi di farmacocinetica la cui finalità è quella di confrontare la biodisponibilità di due prodotti, ove per biodisponibilità si intende la quantità di farmaco che passa nella circolazione generale dopo somministrazione in relazione alla velocità con cui questo processo avviene. Gli studi di bioequivalenza servono a dimostrare che le differenze di biodisponibilità tra due prodotti essenzialmente simili non superino un certo intervallo di variabilità ritenuto compatibile con l’equivalenza terapeutica.
Il medico ha l’obbligo di indicare sulla ricetta il principio attivo del farmaco ed eventualmente la specialità medicinale (l’originale), il farmacista ha il dovere di chiedere al paziente cosa preferisce, ma è il paziente che ha il diritto di scegliere tra farmaco originale e generico.
Con le giuste conoscenze il paziente può quindi fare una scelta più serena e consapevole.
I dottori Farmacisti dello staff della Farmacia Stornelli sono lieti di fornire tutti i consigli e ulteriori info sull’argomento.
A cura della Dott.ssa Alessandra Iacutone