Tra le tante feste religiose della nostra zona ce n’è una particolare che ogni anno, a maggio, si celebra nel paese di Cocullo . E’ un antichissimo rito, risalente agli albori del tempo trasformatosi oggi in una festa sacra e, al tempo stesso, profana. Tutto ha inizio con i serpari, uomini di tutte le età che, tra marzo ed aprile, si recano nei boschi intorno al paese in cerca dei serpenti. Una volta catturati, vengono custoditi ed accuditi con riguardo in scatole di legno (anticamente dentro dei contenitori di terracotta) per 15-20 giorni nutrendoli con topi vivi e uova sode.
Questa usanza è legata alla civiltà dell’antico popolo marso, che però i cocullesi rievocano in onore di San Domenico protettore dal mal di denti, dai morsi di rettili e della rabbia. San Domenico era un monaco benedettino originario di Foligno che attraversò il Lazio e l’Abruzzo fondando monasteri ed eremitaggi. A Cocullo si fermò per sette anni. Quando se ne andò di lui rimasero un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, che divennero delle reliquie. In memoria di questo la mattina della ricorrenza, nella chiesa a lui dedicata, i fedeli tirano con i denti una catenella per mantenere i denti stessi in buona salute e poi si mettono in fila per raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del Santo. La terra sarà poi tenuta in casa come protezione contro il maligno, sparsa nei campi per allontanare gli animali nocivi oppure sciolta nell’acqua e bevuta per combattere la febbre. Tale festa per alcuni studiosi è legata alla dea Angizia, venerata presso gli antichi Marsi. Per altri invece, la si attribuisce alla mitologia di Eracle o Ercole. Infatti nella frazione di Casale sono stati rinvenuti bronzetti votivi raffigurante proprio Eracle che strangolò nella culla i due serpenti mandati da Era per ucciderlo .
Si racconta che il santo, cavandosi il dente e donandolo alla popolazione di Cocullo, fece nascere in essa una fede che andò a sostituire il culto pagano della dea Angizia, protettrice dai veleni, tra cui quello dei serpenti.
Nell’Eneide è presente la figura di Umbrone, giovane serparo dei Marsi: alleato di Turno nella guerra contro Enea, venne ucciso dal capo troiano in persona.
Perchè a Cocullo i serpenti vengono considerati sacri e vengono addirittura benedetti prima di essere offerti al patrono? Eppure nella tradizione giudaico-cristiana il serpente è considerato simbolo del male e della tentazione, a partire dall’episodio biblico del peccato originale.
Bisogna scavare tra le antiche consuetudini del popolo marso, in epoca precristiana.
E’ vero che gli antichi Marsi,erano guerrieri valorosi e lottatori imbattibili, che non a caso vennero ingaggiati dai Romani per combattere come gladiatori.
Ma è anche come maghi e guaritori che i marsicani divennero famosi nell’antica Roma, grazie alla loro fama di conoscitori di erbe a scopo terapeutico, e soprattutto grazie alla loro abilità nella preparazione di antidoti e veleni.
Secondo il greco Licofrone e più tardi anche secondo Plinio il Vecchio, i Marsi avrebbero appreso tali poteri taumaturgici dalla stessa maga Circe, maestra per eccellenza nel manipolare le erbe e nell’ incantare i serpenti.
Anche la venerazione dei Marsi per Angizia, divinità di probabile origine frigia, il cui culto si lega al mondo ctonio dei serpenti, sembrerebbe ricollegarsi alla tradizione e al culto di Cocullo.
Vari ritrovamenti archeologici documentano l’esistenza di un antico culto dei serpenti in queste zone. Basti pensare al famoso manufatto rinvenuto nel bacino lacustre del Fucino, presso le cui sponde gli antichi Marsi si erano insediati, che raffigura la dea frigia con in mano un rettile.
Contribuisce a spiegare la devozione per i serpenti di Cocullo anche il moderno nome di Luco dei Marsi, che deriva dal latino lucus , ovvero “bosco sacro”, in questo caso dedicato alla dea Angizia, la cui esistenza è testimoniata anche da Virgilio nell’Eneide.
Sappiamo che un tempo Luco dei Marsi era un centro politico e religioso nonchè città santuario federale dei Marsi, che durò fino albellum marsicum, ovvero fino alla guerra sociale degli inizi del I secolo a.C., che portò poi alla nascita del municipio romano di Anxa-Angitia.
Il legame tra la dea, la cultura marsica e l’arte di ammaestrare i serpenti, si spiega maggiormente alla luce del mito: Angizia, figlia di Eete, era sorella di Medea e di Circe, ma delle tre figlie di Eete, Angizia fu l’unica a ricevere gli onori divini, proprio grazie alla sua conoscenza delle erbe e della magia a scopo terapeutico.
Il poeta abruzzese Silio Italico scriveva che : “Angizia, figlia di Eete, per prima scoprì le male erbe, così dicono, e maneggiava da padrona i veleni e traeva giù la luna dal cielo, con le grida i fiumi tratteneva, e chiamandole spogliava i monti delle selve” .
Tutto ciò contribuì ad accrescere la fama dei Marsi come guaritori e a diffondere la leggenda secondo cui loro erano immuni dai morsi velenosi.
La loro arte, trasmessa di padre in figlio attraverso i secoli, si è così conservata fino ai giorni nostri, seppure trasformata.
Con la diffusione del cristianesimo, nella Marsica come altrove, molti riti precristiani non vennero abbandonati, ma continuarono a sopravvivere nel mondo rurale e pastorizio per lungo tempo. Con San Domenico si è mantenuto in vita arrivando fino ai nostri giorni.
E’ una visita da fare per scoprire un mondo lontano dal fascino forse inquietante ma senza dubbio trasudante tradizione. Dopo la celebrazione religiosa i serpari vanno verso la statua del santo, sistemando con cura e delicatezza i rettili intorno alla testa e al collo del simulacro. Il corteo sfila poi per le vie del paese con i serpenti che si muovono lentamente, attorcigliandosi e scivolando sinuosi lungo la statua. E’ ancora viva l’antica credenza secondo cui le forme assunte dal groviglio dei serpenti permetterebbe agli abitanti di Cocullo di sapere se i futuri raccolti saranno abbondanti oppure no. Allora a maggio tutti a Cocullo per celebrare San Domenico ed i suoi serpenti.