Debiti insoluti, prevaricazioni e rivendiche della contea di Celano e baronia di Pescina (1736-1764)

Carta topografica Rizzi-Zannoni (1783)
Carta topografica Rizzi-Zannoni (1783)

Siamo in grado di ricostruire attraverso la successione dei feudi e della politica finanziaria seguita dal regno di Napoli, un emozionante spaccato dei numerosi contrasti giudiziari avvenuti sotto il governo di Carlo di Borbone. Resta inteso, infatti, che seppur l’amministrazione del ministro Bernardo Tanucci intese ordinare le dinamiche del sistema fiscale, non portò certo a miglioramenti in tutto il territorio marsicano. Anzi, la vita sociale del Regno con la sua vecchia politica burocratica, mostrò tipologie, modo e tendenze appena sfiorate dalla qualità delle riforme in atto, poiché incontrarono spesso la resistenza dei baroni e degli ecclesiastici, decisi a non perdere i loro privilegi. D’altra parte, sullo sfondo rimasero ancora protagonisti assoluti delle strutture esistenti sul territorio marsicano i Colonna, gli Sforza Cesarini Bobadilla (sicuramente sbagliato Bovadilla) e il vescovo dei Marsi con i loro atteggiamenti dispotici, mentre emergevano sempre più famiglie facoltose del luogo a discapito della popolazione che gemeva sotto il peso di un permanente servilismo.

In conformità a una documentazione prevalentemente meditata, attinta da archivi locali, provinciali e nazionali, stiamo dimostrando da più pagine questo nostro asserto. Per convincersene basta esaminare le cause esposte nel tribunale della «Regia Camera della Sommaria», pronto a esaminare alcuni memoriali di veri o presunti abusi. Di grande interesse, a questo proposito, è una supplica inviata nel 1736 al commissario Coppola in cui venne fatto presente che il benestante Antonio Vetoli di Corcumello «per essere il più potente, e ricco fra i cittadini» aveva imposto una gabella, costringendo la popolazione di Corcumello e di Villa S. Sebastiano «a pagare Carlini venti ogni anno per fuoco, oltre i pesi forzosi, regi e baronali, e le solite imposizioni, che i miseri soffrivano senza che a far ciò si fusse pubblico Consiglio convocato». In realtà, il conte Vetoli fu accusato di aver falsificato il libro del catasto pubblico, avendoli in custodia come Cancelliere del comune. L’azione giudiziaria si svolse a Napoli il 28 luglio 1736. Tra l’altro, negli atti processuali si legge che il conte aveva fatto cancellare «la partita di Gio: Filippo Minicucci [di Avezzano] congiunto del Vetoli, cassata dal libro dell’imposizione della Bonatenenza» (1).

Non possono nemmeno trascurarsi altre lotte interne per il potere, i crediti cumulativi e le successioni tra convenzioni e surrogazioni. Ci informa di tutto ciò lo storico Enrico Celani che, a suo tempo, ben documentò la vendita dello Stato di Celano con i suoi borghi nominati: «le Foraggini, S.Angelo, Borgo nuovo e le Fontanelle, coll’intero lago di Fucino; le terre di Aielli, Cerchio, Colle Armele col suo feudo nominato di Luna; S.Iona, S.Potito, Ovindoli e Rovere col suo borgo; Pescina col suo borgo nominato di Lecce e Villa di S.Benedetto e con la distrutta Terra di Venere e altre otto terre; cioè Ortucchio, con i suoi feudi dell’Arciprete e di S.Rufino, Spromasino col suo borgo e casale denominato il Castello: Lecce coi sei casali denominati Macchia, Colle Mezzano, Sierro, Vallemura, Castelluccio e Taroti; Gioia col suo casale detto Manaforno; Bisegna, S.Sebastiano, Aschi col casale di Vico e di Cocullo». Bisogna tener conto che nel 1742 le rendite della contea di Celano ascendevano a 9120 ducati. Come si evince dalla documentazione, tra i numerosi ricorsi, l’assenso reale per la vendita di Celano e Pescina tardò ad arrivare, costringendo il duca Sforza a mandare in Spagna un nuovo memoriale per ottenere gli attestati di libero possesso. Risulta, però, che l’anno dopo, la pratica era ancora ferma. Tanto è vero che l’avvocato del conte Sforza-Cesarini, rivolgendosi alla «Camera di Santa Chiara», finalmente riuscì ad avere il decreto di possesso dopo aver depositato al «Banco di S.Eligio della Pietà» una certa somma (10 maggio 1743). In ogni caso, quando il conte credeva di aver risolto l’ingarbugliata situazione, altri creditori pretesero il possesso del feudo portando in giudizio il principe (erano gli eredi dei Savelli-Peretti) ben decisi a reclamare gli antichi diritti sui beni «burgensatici» sin dal 1620. Questi lunghi e intricati dibattimenti terminarono con una transazione stipulata il 15 agosto 1747 tra Don Filippo Savelli e il duca Don Nicola Riario Sforza «per la quale il primo accordava all’altro la somma di ducati 10000 da prendersi sul prezzo residuale di Celano, sempre però che il Real Consiglio ne desse con sentenza l’assenso»; in altre parole, in campo prettamente giudiziale si scontrò la «Gran Corte della Vicaria opposta al Sacro Consiglio». Infine, il 16 ottobre 1748, il duca Don Filippo Sforza Cesarini, vincitore della lunga diatriba, prese possesso personalmente della contea di Celano e della città di Pescina: «Incontrato dalla maggior parte dei nobili di questa città due miglia circa fuori di essa, fu ricevuto con suoni di campane e tamburi, sparo di cannoni e moschetti». All’ingresso dell’antico borgo fu ricevuto dai sindaci Paolo Migliori, Pomponio Cerquigni e Benedetto Petrucci insieme al luogotenente rappresentante del governatore. Tutti prestarono giuramento di obbedienza consegnando le chiavi della città al feudatario: «Si portò quindi il duca nella chiesa cattedrale di S.Maria delle Grazie e nel portico vi fu ricevuto da tutto il Capitolo, canonici e clero». Poi, il potente signore, venne introdotto nel palazzo di Giannantonio Tomassetti, dove fu di nuovo eseguito il solenne atto di vassallaggio: «ammettendo i presenti al bacio della mano. Dopo il pranzo seguì la formalità della presa di possesso, uscendo il duca dalla porta delle Moniche e percorsa tutta intorno Pescina, rientrando da quella dell’Orologio». Negli atti amministrativi del 1744, redatti in seguito da «Donna Maria Giustiniani», possiamo leggere i dati analitici del bilancio redatto da Giuseppe Angeletti, che mostra dettagliatamente i conti e le cifre del feudo: «Stato dei capitali del maggiorasco Cabrera-Bovadilla e loro fruttato amministrato da Donna Maria Giustiniani dal dì 12 agosto a tutto dicembre 1744». In realtà, fu stilato una sorta di libro mastro, dove si registrarono le entrate e le uscite dello Stato di Celano e quelle della baronia di Pescina «zecca, portolania, adoa, imposta dell’erba, della pesca, Colletta di S.Maria, terze baronali, terreni feudali, terreni gentileschi» e quanto altro. Tuttavia, fino alla morte di Don Filippo Sforza Cesarini (1764), altre cause interessarono la contea che, al momento, permisero agli avversari il sequestro dei beni soggetti al «maggiorasco», togliendo al duca Cesarini la percezione dei frutti. Tanto è vero che il 7 settembre 1759 intervenne di nuovo nella contesa il «Sacro Consiglio» fino quando, la contea di Celano e la baronia di Pescina, passarono al secondogenito Don Gaetano. L’amministrazione dei beni fu affidata a Nicolò Ciofani, compresi i diritti di pesca sul lago di Fucino (in quel momento affittati al barone Carlo Barbati), tenendo ben presenti i confini tra Celano e Paterno «e sulla riva opposta tra il fondo rustico di Santa Rufina appartenente ai conti di Celano e Trasacco appartenente al Colonna» (2).

NOTE

  1. Archivio Diocesano dei Marsi, Fondo E, b.2, fasc.31, Anno 1736
  2. E.Celani, Una pagina di feudalesimo. La signoria dei Peretti, Savelli, Sforza- Cesarini, sulla Contea di Celano e Baronia di Pescina (1591-1806), Città di Castello, S. Lapi 1893, pp. 134 sgg. Cfr., Archivio Sforza Cesarini, Inventari 412, a c. di F.Ferruzzi, C.Genovese (1998-2005), S.Musilli (2016-2017), Soprintendenza archivistica per il Lazio, 1992, Archivio di Stato Roma, Sezione Archivi di famiglie e di persone, 2018. (bolle, diplomi, pergamene, affitti, cessioni, cappellanie, patronati, miscellanea).

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