A chi, in una intervista di qualche mese fa, gli chiedeva quale fosse il suo cruccio professionale, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, storico difensore di Ottaviano Del Turco, rispondeva che era proprio quello riguardante l’ex Presidente della Regione Abruzzo, scomparso il 23 agosto a Collelongo, dopo lunghi anni di malattia. Diceva Caiazza che Del Turco “è stato un innocente massacrato. Anche se è stato assolto da nove imputazioni su dieci. Anche se la sua condanna è stata ridimensionata in maniera così eclatante da dimostrare che hanno dovuto condannarlo per forza”. Già, quella che era stata pomposamente definita, nell’ambito dell’inchiesta del 2008 conosciuta come “Sanitopoli”, la “montagna di prove” che avrebbe dovuto sotterrare Del Turco e pezzi della sua Giunta e che invece, approfondimento dopo approfondimento, riscontro dopo riscontro, udienza dopo udienza, sentenza dopo sentenza, si sarebbe pressochè del tutto sfarinata, disintegrata, lasciando solo, “altro che montagna di prove -come disse una volta lo stesso Del Turco con una sorta di incredula amarezza- ma solo schizzi di fango”. Quegli schizzi di fango che sono però costati a Del Turco lunghissimi anni di sofferenza, prima vissuti nell’ansia febbrile, e legittima, di una battaglia processuale che ne riabilitasse pienamente la figura, e poi, negli ultimi, anch’essi lunghi anni, vissuti in una sorta di incoscienza, prostrato dalla malattia, e “sfigurati” anche, per un periodo, dalla revoca del trattamento pensionistico, situazione che provocò una forte levata di scudi da parte di molti, ma che -va forse aggiunto- non ha sufficientemente riscattato quella colpevole acquiescenza e quelle impacciate reazioni politiche di fronte alla feroce canea giustizialista che imperversò al tempo dell’inchiesta e che tuttora, per le più svariate situazioni, continua ad allignare in larghi strati della nostra società, nel contesto di un innegabile disequilibrio tra politica e giustizia. Perché è proprio questo il punto che la morte di Del Turco torna, in qualche modo, a riproporre. Se Del Turco era da considerare -come certamente lo era- una cosiddetta “Riserva” della Repubblica, dello Stato, cioè una di quelle figure capaci di rappresentare degnamente le istituzioni, per capacità di dialogo e spiccata visione politica, è stato l’insieme di questo squilibrio politico-istituzionale a decretarne la caduta.
Maurizio Cichetti