Demografia provinciale, Cgil L’Aquila: “10 anni di desertificazione, i giovani scelgono altri territori per il loro progetto di vita”

L’Aquila – Il dato non è certamente una novità, ma la condizione si aggrava ulteriormente se andiamo a confrontare la popolazione residente nella nostra provincia tra il 2012 ed il 2022. In dieci anni, infatti, passiamo dai 306.279 residenti del 2012, ben oltre la soglia psicologica dei trecentomila abitanti, ai 287.151 del 2022, con una perdita netta di 19.128 residenti che, in valori percentuali, rappresenta un -6,2%. Solo nell’ultimo anno nel raffronto tra il 2021 ed il 2022 la perdita è stata pari a 1.805 residenti. Volendo fare un paragone è come se in 10 anni avessimo perso una città che conta all’incirca la popolazione di Sulmona, oppure all’incirca due volte la popolazione di Celano.

Analizzando la composizione della struttura della popolazione residente per fasce di età emerge un dato estremamente preoccupante. Nel 2012 i residenti nella provincia dell’Aquila appartenenti alla classe di età compresa tra i 14 anni ed i 35 anni erano 75.172, questo dato crolla drasticamente nel 2022, quando si scende a 61.018, quindi una perdita netta di 14.154 giovani residenti che, conta in valore percentuale un -18,82%. Confrontando questo ultimo dato con lo stesso delle altre provincie, sempre per il medesimo periodo di riferimento 2012-2022, emerge che la provincia che perde maggiormente è L’Aquila, contro una perdita della provincia di Pescara del -10,01%, di Chieti del -15,7% e di Teramo del -14,6%.

Allargando la comparazione con il dato nazionale, in Italia tra il 2012 ed il 2022 nella fascia di età 14-35 anni la percentuale di riduzione si attesta a -7,9%. Continuando, sempre per il periodo di riferimento 2012-2022, nella classe di età compresa tra 0 anni ed i 13 anni la perdita di popolazione residente nella provincia aquilana in percentuale si attesta ad un -12,61%; tra i 36 ed i 50 anni ad un -7,9%. E’ significativo, invece, che tra i 51 ed i 64 anni ci sia una crescita che rende il dato positivo per un +5,2% e che, infine, tra i 65 anni ed oltre la crescita arrivi a raggiungere la doppia cifra con un + 10,73%. I dati sin qui esposti risentono certamente del basso tasso di natalità degli ultimi decenni. Vi è però di più.

Il flusso migratorio di cui occuparsi e con urgenza al di là della propaganda oramai consolidata è quello dei nostri giovani che scelgono altri territori per il loro progetto di vita. La carenza di giovani fa sì che una ampia fascia del territorio regionale che ricade in prevalenza nella nostra provincia risulti sempre meno attrattivo e difficilmente recuperabile se non si creano diverse condizioni sia occupazionali che di servizi, sia in termini di stabilità e qualità del lavoro, che di servizi dedicati alle persone.

Le dinamiche dell’invecchiamento come rilevato dai dati ISTAT e l’evoluzione dei bisogni prodotti dalla crescente frequenza di patologie croniche sono fenomeni che interessano principalmente i territori con forte spopolamento e che, pertanto, richiedono un ripensamento dei servizi sanitari sempre più orientati verso la presa in carico del paziente. Per questa ragione abbiamo la necessità di un vero progetto di sanità di prossimità che possa rifondare un patto fiduciario tra il sistema di welfare e le comunità locali che dovranno essere coinvolte nelle scelte strategiche delle funzioni sanitarie.

Lo spopolamento colpisce prevalentemente le aree montane e più marginali rispetto ai centri urbani, scontando uno svantaggio in termini di servizi essenziali, quali il trasporto pubblico locale, la restrizione dei servizi sanitari, ormai non più diffusi, universali e di prossimità, la difficoltà di accesso alle scuole ed ai servizi per l’infanzia, i continui disagi dovuti a riduzione di sportelli bancari e postali. Insomma l’assenza o l’evanescenza dello stato. Se la politica che compie le scelte non supera il concetto di sostenibilità economica come unico mantra utile a determinare la sopravvivenza della presenza territoriale dei presidi pubblici, nessuna scelta potrà dirsi efficace. C’è bisogno insomma di visione. C’è bisogno di un progetto di lungo periodo se si vuole invertire la tendenza.

La sanità, il trasporto pubblico e la scuola continuano a subire scelte di programmazione politica ed economica tutte a svantaggio delle aree interne, prive di qualsiasi analisi di contesto e di sistema, umiliando la popolazione e riducendo il diritto di vivere pienamente il nostro territorio. Le iniziative sino ad ora intraprese per contrastare l’incessante dinamica dello spopolamento sono risultate del tutto insufficienti, sporadiche e che guardano al breve periodo o alla prossima scadenza elettorale. Se come tutti crediamo, la salute, la mobilità, la scuola e i servizi all’infanzia rappresentano presidi fondamentali, è dal potenziamento degli stessi che ogni progettualità deve partire.

I nostri paesi montani hanno bisogno di sostegno, di aiuto, di pianificazione e programmazione che riconoscano la loro unicità e le singole vocazioni di cui sono portatori, non hanno certamente bisogno di interventi sporadici e mal coordinati. Ogni abbandono ha bisogno di essere studiato, compreso nelle sue peculiarità, allo stesso modo ogni iniziativa intrapresa di ritorno, di rinascita dovrebbe avvenire partendo da esigenze locali, dalle risorse presenti sul territorio, da politiche e scelte istituzionali mirate, diverse a seconda delle caratteristiche e dalle vocazioni dei luoghi.

Perseguire il concetto della buona qualità della vita, vuol significare avviare un processo di rinnovamento delle aree più periferiche e marginali con una progettualità volta a ricomporre il territorio, restituendo identità ai luoghi e senso di appartenenza a chi li abita e li frequenta, e forse l’occasione perché quei luoghi divengano attrattivi nell’economia di domani connessa, partecipata e democratica, quale noi immaginiamo.

Comunicato stampa Cgil L'Aquila

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