Gianni Paris e il Covid-19. “Vi racconto una storia. La mia”, La testimonianza della malattia e parole di speranza verso il futuro

Questa premessa per dire che la sanità italiana sta funzionando a tratti. Ci sono ospedali con più dimestichezza e competenza. Altri che se ti intubano, sei morto. Finito. Caput. Medici da mettere sulle prime pagine, altri da non commentare...
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Gianni Paris

Avezzano – Il noto avvocato ed imprenditore avezzanese Gianni Paris alla guida della società calcistica Avezzano Calcio racconta in un post pubblicato sui social la sua esperienza col Covid 19. Sulla pagina del suo profilo narra la vicenda personale connessa alla malattia accompagnata da un messaggio di speranza per il futuro ed un invito a lottare per un ritorno alla normalità non tralasciando il rispetto delle regole ed il buon senso.

“Vi racconto una storia. La mia. Sono diffidente a farlo. Sempre. I fatti miei restano sempre i fatti miei. Soprattutto sui social, ma il protagonista non sono io, stavolta. Ascoltate. Meglio sarebbe dire, leggete quello che seguirà.
Ho avuto il Covid. Niente gusto. Niente olfatto. Dieci giorni febbre a 40. Una saturazione a 87. A volte 85. Vicino ad essere ricoverato. 14 giorni con ossigeno, non perché avessi difficoltà a respirare, ma perché la saturazione era così bassa che solo con un aiuto potevo farcela a stare meglio. Grazie a quelle bombole accanto a me (del buon Torlonio), sono tornato a vedere i 90, 91, 92 e 93. Ho perso sette o otto chili. Non mangiavo granché. Non ne avevo voglia. Poi sparita la febbre (pregavo affinché ciò accadesse) la saturazione è salita. Ogni giorno. Piano piano.
Dopo 15 giorni dall’inizio del virus ho avuto improvvisamente fame. Tanta fame. Ho ordinato un hamburger da Burgeriamo. Ottimo. Non finito perché enorme (Bomba atomica, il suo nome). E ho rivisto il futuro. La voglia di tornare a vestirmi, di fare.

Tornato il gusto, l’olfatto. Ho ripreso forza. Coraggio. Determinazione. Ho iniziato a lavorare col telefono. Tornavo a mordere i tornanti della salita che ho nella testa. Ho fatto quattro tamponi molecolari nel frattempo, dopo che avevo scoperto di aver contratto il Covid. Uno a settimana. Tre dubbi e uno finalmente negativo.
Ho impiegato due settimane per riprendere la sicurezza. Psicofisica, soprattutto. Quello che nel gergo si chiama equilibrio.
Oggi ho ripreso a lavorare quasi normalmente. Il quasi perché a volte ti svegli la notte e pensi a quello che hai passato e che sei riuscito a farcela. Ti addormenti con difficoltà, ma poi riesci a riposare e tutti i pensieri si mettono in fila…
Spero tanto nei vaccini. Nella loro moltiplicazione. Affinché la popolazione diventi immune per molto tempo e si allenti la presa. Varianti o non varianti.
Questa premessa per dire che la sanità italiana sta funzionando a tratti. Ci sono ospedali con più dimestichezza e competenza. Altri che se ti intubano, sei morto. Finito. Caput. Medici da mettere sulle prime pagine, altri da non commentare…
Ora però la considerazione è che con mascherina e tanta cura del proprio igiene, dobbiamo tornare alla normalità. Dobbiamo rispettare gli altri come rispettiamo noi stessi. Dobbiamo tornare alla normalità perché vedo oramai situazioni al limite con lo Stato che non può sostenere economicamente sessanta milioni di italiani.
Siamo un popolo forte. Molto forte. E non siamo caciaroni… Anche gli assembramenti, tanto vietati, dei nostri ragazzi, hanno un senso. Quel senso si chiama vita. Loro, sono la vita. Sono più forti e anche se positivi al virus, di regola, lo passano in maniera asintomatica. Quello che oggi è necessario, al di là delle zone gialle, arancioni o rosse, è tornare alla normalità. Sembra strano dirlo, ma con gli accorgimenti, possiamo tornare ad andare a cena fuori… Questa frase significa tutto. Dobbiamo avere la determinazione di tornare alla normalità.
Vita, lavoro, cultura, sport.
Vedo lo stadio dei Marsi solo. Troppo solo. Curato nonostante non ci sia nessuno a fargli compagnia.
E sono convinto che se proviamo a tornare alla normalità, riusciremo a superare anche il virus. Rispettare le regole, ma vivere la vita.
Ricordo che la parola assembramento era una parola ai tempi della guerra. Di ogni guerra. Persone che non potevano stare troppo vicine. Persone che potevano essere scomode… Oggi dobbiamo guardarci negli occhi e lottare punto su punto per vincere questa guerra. Dobbiamo dotarci di buon senso, rispetto, altruismo e educazione. Due mesi. Massimo tre. E saremo pronti a tornare a mostrare il nostro sorriso.”

Una testimonianza quella di Gianni Paris che dà la misura di quali siano le tristi dinamiche connesse a questa malattia e al contempo offre spunti di riflessione su come sia forte il sentimento comune di un ritorno alla normalità. (R.F.)

 

 

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