Proseguendo su questa linea d’attenzione riassumeremo in forma sintetica anche l’annosa questione della pesca sul lago di Fucino: «in assoluto una delle più importanti rendite dei feudi marsicani e una delle poche merci locali che fanno oggetto di scambio realmente profittevole, sistematico e di ampio raggio» (1).
Sotto questa visuale si evidenzia che in soli quattro paesi la pratica della pesca costituiva davvero un’attività di preminenza: Luco, Celano, Ortucchio e il piccolo borgo di S.Benedetto dei Marsi; mentre, completavano la multicolore geografia economica delle sedi comitali, altre minori comunità di pescatori tra cui Cerchio, Trasacco e Avezzano.
Per di più, non bisognerà omettere dall’intera argomentazione tutta la manovalanza impiegata a fornire beni e servizi per la pratica della pesca, la costruzione e manutenzione delle barche, dei mucchi, delle reti, ecc., con grande partecipazione di pescatori, contadini e artigiani.
Anche se la documentazione dell’Archivio di Stato di Napoli e quello di L’Aquila, è a maggioranza di carattere feudale (sicuramente ricca e importante ma frammentata), i risultati finora raggiunti sono stati abbastanza fecondi. I migliori esiti di là da tutte le pubblicazioni infarcite da miti e leggende, sono stati quelli di Sergio Raimondo. Infatti, l’obiettivo della ricerca dello studioso è stato quello di ricostruire la storia di un ecosistema, quello del Fucino, nel lungo periodo, dall’Età Moderna fino alla seconda metà del XIX secolo, basandosi maggiormente su documenti colonnesi dell’archivio Colonna di Paliano, una famiglia che tenne saldamente per oltre tre secoli in feudo la Marsica occidentale e metà del lago. La sua ricerca si colloca dentro la storiografia ambientale, condividendone questioni, metodologie e approcci. Oltretutto, Raimondo ha tentato di mettere in qualche modo ordine a una bibliografia molto ampia e articolata che è andata arricchendosi fino ad oggi (2).
Una particolare riflessione va fatta sulla complessa struttura di riscossione fiscale utilizzata nelle «stanghe», con relativo personale doganale addetto alla pesatura del pesce e su parte dei lavoratori impegnati nelle operazioni di trasporto e smercio del pescato fuori dai confini marsicani. Le «stanghe», dove era ritratta la terza parte del pesce, erano quelle dei feudatari romani e collocate presso le sponde di Celano, Venere, Ortucchio; Avezzano, Luco, Trasacco e Paterno di pertinenza del ducato di Tagliacozzo; Caruscino e Luco, come istituzioni badiali (S.Maria della Vittoria, Scurcola).
Il dato conferma lo «Jus piscandi» sugli introiti feudali che variava secondo le annate ma, facendo un calcolo generico estratto sulla consultazione di svariate fonti, possiamo desumere una media generale sul provento delle stanghe di circa 3.000-3.500 ducati annui (3).
In effetti, lo studioso Di Domenico chiarisce ulteriormente il quadro emergente, dando per certo che: «L’amministrazione del Fucino era tipicamente feudale e si basava su concessioni di pesca o di tributo favorite dal re ora dai monaci, con numerosi conventi nei dintorni, ora ai signori delle rive. In conclusione tra dispute e accordi erano queste le due classi, che assorbivano maggiormente sulla produzione lacustre» (4). Tuttavia, rigide restrizioni gravavano sulla vendita del pescato, come si rileva sempre dagli statuti avezzanesi: «Così, chiunque abbia venduto del pesce in qualche casa o in qualche taverna di Avezzano e delle sue pertinenze in frode del presso stabilito dai predetti Catapani [calmieri] o in frode del peso, sia obbligato ad andare in piazza, ed ogni volta sia tenuto a pagare la multa predetta. Al pescatore poi sia permesso vendere a salma e a decina al peso generale» (5). Proprio per questo, la pesca fucense divenne di rimarchevole entità, soprattutto per i feudatari zonali, grazie alle notevoli rendite derivanti dall’immediato controllo sull’affitto e riscossione della terza parte del pescato. La copiosa documentazione sull’argomento, anche se incompleta, offrirà allo studioso un’interessante prospettiva di ricerca sui molti conflitti giurisdizionali di maggiore rilevanza economica e non solo (6).
Non può allora sorprendere che Strabone, vedendo il lago di Fucino, scrisse: «di grandezza pare un mare: di esso si servono assai i Marsi, e tutti quelli del Paese vicino dicono, che qualche volta egli cresce fin alla montagna, e poi torna ad abbassarsi tanto, che restano scoperti i luoghi, che erano allagati, finché si possono coltivare» (7).
NOTE
- L.Piccioni, La Marsica vicereale. Territorio, economia e società tra Cinque e Settecento, Aleph editrice, 1999, p. 91. Lo studioso riprende: R.Pasqualoni, La pesca del lago Fucino dal XIX° secolo al prosciugamento, tesi di laurea, Università di Roma, facoltà di Scienze Politiche, AA.1972-73, come ricerca assolutamente nuova e innovativa per i tempi.
- S.Raimondo, La risorsa che non c’è più. Il lago di Fucino in età moderna (secc.XVI-XIX), Manduria-Bari-Roma, 2000.
- Archivio di Stato di L’Aquila, Inventario Archivio Colonna, Ducato di Tagliacozzo (pp-1-40) dal 1625 al 1863, vol.15, 1653-1657.
- M.Di Domenico, Gli Statuti antichi di Avezzano, Roma, 1989, p.98. Per esempio, il conte di Celano Ruggiero, concesse l’uso gratuito della pesca nel lago alla certosa di S. Benedetto di Trisulti in data 19 novembre 1402 (per questo si veda: B.Tromby, Storia critico-cronologica diplomatica del Patriarca S.Brunone e del suo ordine cartesiano, compilata da P.D. Benedetto, Tomo sesto, Appendice II, Napoli MDCCLXXVII, pp.154-230); cfr., Certosa di Trisulti. Cenni storici per un monaco benedettino, ed. Tournai Tip.des Prés, 1912.
- T.Brogi, Frammenti degli Statuti Antichi della Università di Avezzano colle conferme della Curia Baronale, tradotti e annotati, Erede Battisti, Roma, 1894; cfr., M.Di Domenico, cit., p.195.
- Lo studioso Sergio Raimondo si sofferma anche sulla pratica della pesca, attuata spesso con tecniche distruttive, tanto nei suoi risvolti eco sistemici quanto nelle sue caratteristiche socio-economiche e giuridiche.
- Raccolta di Memorie Istoriche delle tre Provincie degli Abruzzi dell’archivescovo di Matera D.Antonio Lodovico Antinori, Tomo I, in Napoli MDCCLXXXI., p.371. Cfr. La prima Parte della geografica di Strabone, di Greco tradotta in volgare italiano da M. Alfonso Buonacciuoli Gentilhuomo ferrarese, In Venetia, Guidi MDLXII, Libro Quinto, p.99.