Abruzzo – Ci sono oltre centomila cinghiali in Abruzzo con una concentrazione media di un esemplare per ogni sette abitanti, numero che peggiora nelle zone più interne dove la fauna selvatica scorrazza maggiormente e da anni indisturbata. Lo dice Coldiretti Abruzzo ricordando che, con l’arrivo della stagione calda, si acuisce una problematica vecchia e purtroppo irrisolta che sta mettendo a dura prova l’agricoltura regionale, in un periodo già delicato a causa dell’emergenza coronavirus.
Giulio Federici, Direttore Coldiretti Abruzzo, spiega “i cinghiali, che una volta erano relegati nelle zone interne e meno abitate, oggi sono residenti effettivi ma indesiderati di centri abitati e di campagne coltivate. Il risultato? Campi distrutti, mesi di lavoro persi, aziende che devono ricominciare daccapo e senza garanzie, anzi con la paura di vedere vanificato ancora una volta il lavoro svolto. Questi animali per l’agricoltura sono peggio del coronavirus“. In questi ultimi giorni, l’allarme riguarda in particolare i cerealicoltori: campi di grano, farro, orzo e mais vengono letteralmente rasi al suolo dalla potenzia devastatrice di branchi di cinghiali, anche da un quintale e mezzo ciascuno, che arrivano in gruppi anche di 50 esemplari.
Per Coldiretti si tratta ormai di un’emergenza sociale e non bastano le misure finora approvate, né la grande disponibilità comunque dimostrata dai sindaci e dalle diverse amministrazioni sia provinciali che regionale. “È passato quasi un anno dall’ultima grande manifestazione che abbiamo fatta a Roma per denunciare la situazione – aggiunge Federici – ma nonostante il grande sostegno avuto da amministrazioni e istituzioni le cose non sono cambiate. È necessario dare una sferzata concreta che non può limitarsi agli indennizzi agli agricoltori per i danni ricevuti, che comunque sono pochi e tardivi. Bisogna limitare al massimo i danni, puntare sugli abbattimenti e valorizzare la filiera della carne di cinghiale trasformando in opportunità un problema ormai troppo vecchio“.