Il barone Don Sisto Sforza Bovadilla, padrone dell’osteria di San Benedetto e della cartiera di Celano (1717-1792)

Affresco nel refettorio del convento di S.Maria Valleverde di Celano
Affresco nel refettorio del convento di S.Maria Valleverde di Celano

Si è visto come il «Sacro Regio Consiglio» nel ‘700 agiva perlopiù quale tribunale di ultima istanza ma, per le cause di maggior rilievo, era competente anche in primo grado. 

Le decisioni del Consiglio, pur essendo soggette a gravame, potevano essere controllate da un presidente, nove consiglieri e due assistenti, fu suddiviso in seguito in quattro ruote con ben venti membri, un segretario, un sigillatore, alcuni mastrodatti, scrivani e tavolari (o periti). Quest’organo assorbì gran parte delle competenze della «Gran Corte della Vicaria» come pure tutte le vertenze sia civili sia criminali feudali e tra baroni. 

Dopo aver esaminato nell’Apprezzo del «tavolario Don Donato Gallarano» (o Gallerano), alcune cause di promiscuità tra confinanti della contea di Celano e baronia di Pescina, rileviamo altro contrasto in atto contro lo stesso feudatario Don Sisto Sforza Bovadilla. Il perito riportò, ad onor del vero, le affermazioni di alcuni importanti cittadini del piccolo borgo di S. Benedetto dei Marsi, scrivendo: «[…] Vi è una villa chiamata S. Benedetto nella quale dimorano diversi naturali che pescano nel Lago, per stare detta Villa nella ruina di detto Lago, e per essere luogo di passaggio, particolarmente per quelle persone che vanno a comprar pesce, li Sindaci, per comodo di dette persone di passaggio vi fanno stare una casa aperta dove possono ricoverarsi la notte in caso di permanenza, detta l’Osteria, però, pubblicamente, da tutte quelle persone che abitano in detta Villa si vende il vino, e si da mangiare a chiunque ne vuole, non essendoci proibizione alcuna […]». Oltretutto, l’università di Ortucchio, mise in discussione lo Jus Prohibendi sulla pesca nel lago, presentando due certificati che attestavano la libera vendita del pesce ai cittadini di Pescina, senza essere mai stati sottoposti ad alcuna tassa. Confermarono l’assunto, i paesi di Ortona, Aschi e Collarmele. Da sempre, senza alcuna proibizione, si poteva liberamente mangiare e bere in paese e cuocere il pane in casa dei benestanti Don Pietro e Camillo Tomassetti, nel monastero delle monache di S. Chiara e nel seminario «senza proibizione alcuna» (1). 

Degne di nota in questa nostra ricerca settecentesca (1731- 1784 – 1792), sono anche i protocolli notarili di: Giovanni Maria Paolini (Celano), Giovanni Sorgi (Avezzano), Antoniano Pietro Grisogono che riportano interessanti notizie sulla cartiera di Celano, appartenente al corpo feudale del duca Don Sisto Sforza Bovadilla (2).

L’intera documentazione comprende un intervallo di tempo che va dagli anni 1669 al 1809. Nel 1731, la cartiera, ubicata fuori le mura di Celano, fu affittata a Coccia e Girolamo Tucci, coadiuvati da Giuseppe Iacovitti e Bartolomeo Cerone definiti: «lavoranti assistenti» (3). I padroni dell’edificio «acconsentirono, e convennero nel prezzo di Carlini quindici la risma» a vendere ai forestieri Nicola Mascio alias Carbone e Gaetano Arista un certo quantitativo di carta. Nel 1784 fu di nuovo affittata a Luigi Tomassetti e Nicola Montagliani, come registrò il notaio Giovanni Sorgi di Avezzano. Un accurato inventario dei mobili ci informa che, all’interno della fabbrica, esistevano: «tre tavolini di pioppo per stender la carta, tutte le stese di fucilli, legnami per sostenerli all’uso di arte, un bacile, un bancone di legno. Le viti con un tinaccio di legno cerchiato colla sopressura per incollare la carta. Un calderone murato da far la colla per la carta, la secchia dove si piglia la pasta in ordinata, un banchetto dove si tagliano li stracci […]».Il precedente locatore (Simplicio Di Renzo), consegnò le chiavi ai nuovi locatari: «qual possesso fu dato con tutta la pace e quiete e senza alcuna contraddizione»; tanto è vero che, stipulato il contratto, il gruppo dei contraenti si portò a casa del mediatore Antonio Catalani dove si consumarono cibi succulenti e abbondanti. Infine, nel 1792 la cartiera venne concessa al dottore in fisica Francesco Di Giovanni e a Lelio Seritti, con l’anticipazione di 525 ducati, per un estaglio di 160 ducati e il permesso di «incettare li stracci nell’intero Stato di Tagliacozzo». Lo stabilimento, che produceva carta piuttosto ruvida, subì sicuramente delle soste di attività con alterne vicende per tutto il secolo XVIII e parte del secolo XIX, anni nei quali cessò definitivamente la sua produzione (4).

 NOTE

  1. F.Amiconi, Una relazione tecnica della Marsica nel ‘700, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, a. LXXXI, L’Aquila 1991, p. 309-337. Cfr. A.Pecili, Cerchio nella storia e nell’arte nel centenario del martirio dei protettori SS.Giovanni e Paolo, 26 giugno 1962, A. D’Amato, Sulmona 1962, p.18; C.Tollis, Storia di Celano, Tip.Fabiani, Pescara 1967, pp. 121-153.
  2. U.Speranza, Notizie storiche sulle cartiere di Sulmona e di Celano, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», L’Aquila 1975, vol. I, Cartiera di Celano, pp.341-349. 
  3. L’ubicazione della cartiera è ben visibile in una «Pianta e veduta dello Stato di Celano ne’ Marsi adì e Febraro 1720». 
  4. U.Speranza, cit., p.317.

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