Il “luparo” era il cacciatore di lupi. Di tale attività faceva un vero e proprio mestiere. Armato di fucile, percorreva le montagne alla ricerca della preda da uccidere. Il lupo, si sa, veniva ritenuto molto pericoloso per gli animali al pascolo in montagna. Quando il “luparo” riusciva ad abbatterne uno, per tradizione i pastori gli dimostravano gratitudine. Egli scuoiava il malcapitato lupo, ne tirava fuori le interiora e ne riempiva il corpo di paglia per farlo apparire integro.
Portava la carcassa in giro per le vie dei paesi casa per casa a questuare offerte, doni, beni in natura e talora compensi anche in denaro, di cui tutti lo gratificavano, soprattutto i pastori, che ritenevano una vera e propria disgrazia quando il loro gregge veniva assalito dai lupi, in quanto ciò metteva in pericolo la sopravvivenza delle proprie famiglie. Per attirare l’attenzione delle persone il “luparo” urlava il fatidico grido “Ecco il luparo!”.
Talora per evitare di portare troppo peso issava la sola testa dell’animale su di una pertica a mo’ di stendardo. Così, infatti, si è visto uno degli ultimi lupari a Trasacco nei primi anni del 1940. Girava le strade del paese con una testa di lupo issata su di un lungo palo. Molti concittadini gli davano doni in riconoscenza. (“Biabbà” Q. Lucarelli)
E’ inutile specificare che oggi le cose sono completamente diverse. Il lupo è uno degli animali più protetti e si sta sfaldando anche il mito negativo del lupo cattivo. Sappiamo anche che l’uomo si è dimostrato troppo spesso molto più cattivo del lupo.