Il principato del Fucino: fiore all’occhiello del regime fascista (1930)

Senza negare il valore del nuovo accordo appena raggiunto dopo il contratto d’affitto del lodo Bottai: «tutta la gente del Fucino era consapevole di questa menomazione di funzionalità padronale, la quale rimarrà vitale e solerte, quasi esclusivamente ai fini dell’esazione dei canoni, anzi, potremmo dire, integralmente rivolta alla vigilanza sull’adempienza di estaglio delle partite risultanti sui registri amministrativi» (1). 

Con riferimento alla problematica, lo storico Costantino Felice specifica: «Unica novità l’inserimento negli estagli, accanto alla bietola, di una piccola quota di grano: 125 Kg per le sarchiate di prima categoria. Con tali dispositivi i Torlonia si assicuravano il monopolio non soltanto sulla materia prima, fissandone quantità, prezzo e modalità di consegna, ma anche su ogni momento del ciclo economico, dalla scelta delle colture alla trasformazione e commercializzazione dei raccolti» (2).

Nonostante queste situazioni oggettive, il Fucino era considerato dal regime fascista il «più grandioso e il più bel tenimento d’Italia e d’Europa», come si rileva dall’Annuario dell’Agricoltura del 1930 che, già nelle prime pagine, mostrava tutto l’orgoglio fascista, rendendo evidenti le fotografie del re e della regina, del principe di Piemonte e Maria José del Belgio, degli onorevoli Augusto Turati, Giacomo Acerbo, Giuseppe Bottai e di Benito Mussolini «Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, Duce del Fascismo e della Battaglia del Grano». 

Queste prime considerazioni che esaltano il regime, non pregiudicano certamente il valore del testo qui di seguito riportato per intero, mostrando con orgoglio al lettore i dati positivi del momento. 

Nel paragrafo riguardante la «Provincia di Aquila degli Abruzzi», si elencano i mandamenti giudiziari di: Avezzano, Carsoli, Celano, Civitella Roveto, Gioia de’ Marsi, Pescina, Tagliacozzo e Trasacco analizzati nel quadro economico.

Tuttavia, il fulcro più moderno del comparto agricolo, era ancora rappresentato dai terreni fucensi, anche se su di essi pesava la noncuranza dell’amministrazione Torlonia quanto ad investimenti in opere fondiarie e impianti: «nel Fucino però la coltivazione della patata e precisamente della varietà a pasta gialla fucense, detta anche patata di Avezzano, acquista un altro indirizzo e diventa coltura di pregio per la sua destinazione a patata di semina preferita nelle provincie meridionali, nel napoletano, nel viterbese e nell’Italia centrale. La produzione unitaria di questa varietà si aggira intorno ai 180 quintali per ettaro; e la totale a quintali 300 mila: di cui 100 vengono attualmente esportati e sono capaci in media di produrre 500.000 quintali di patate primaticce per un valore di circa 70 milioni di lire. Dopo il granturco e le patate che hanno importanza economica preminentemente familiare e industriale la sarchiata che assume la tipica veste della sarchiata nel moderno avvicendamento razionale quale pianta industriale è da noi la barbabietola da zucchero. Viene estesamente coltivata nella Valle del Fucino, dove occupa una superficie di ettari 2400 e nella bassa dell’Aterno con una superficie di ettari 70». 

Il sistema di conduzione dei fondi (secondo i canoni adottati dall’azienda Torlonia), veniva regolato per 1200 ettari con colonie e per ettari 800 con braccianti e pochi salariati fissi. 

Il commissario straordinario della federazione provinciale dei sindacati fascisti agricoltori era Carlo Gerini; il segretario federale, Pietro Ferranti. Mentre, negli uffici zonali di Avezzano, il segretario tecnico risultava Ercole Macarri e il reggente dell’ufficio bieticolo, Francesco Tarquini. La cattedra ambulante dell’agricoltura aveva come direttore provinciale il professor Cosmo Costantino; nella sezione di Avezzano, figurava Rocco D’Alessandro (3). 

Tra i premiati per la famosa «Battaglia del Grano», per il territorio marsicano si elencano: l’azienda a conduzione diretta principato del Fucino; i magazzini agricoli di Alberto Bozzi di Avezzano; Luigi Carretta di Tagliacozzo; Carlo Muzi di Aielli; la Società Anonima Zuccherificio di Avezzano; Carlo Pace di Massa d’Albe; la Cassa Agraria di Pereto e l’Agenzia Agraria di Avezzano. Queste lusinghiere indicazioni non devono farci dimenticare, però, che l’amministrazione Torlonia: «Protetta dalla normativa del lodo Bottai e dei successivi capitolati che, di fatto, precludeva ogni concorrenza e sollecitazione di mercato, non aveva stimoli a funzionalizzare al meglio i fattori della produzione» (4).

Tuttavia, il regime fascista, in queste pagine illustrative, affermò l’importanza assoluta del latifondo fucense: «È certamente il più grandioso e il più bel tenimento d’Italia e forse di Europa posto nel centro della penisola a egual distanza dall’Adriatico e dal Tirreno sulla linea ferroviaria Roma-Pescara, ottenuto col prosciugamento del Lago di Fucino opera grandiosa di concezione veramente romana compiuta dal Principe Don Alessandro Torlonia. Misura ettari 14.000 circa ed è tagliato per lungo dal canale collettore principale e parallelamente e perpendicolarmente a questo da Km 300 di strade, 200 di collettori principali e secondari, 500 di fossi di scolo; il tutto disposto con perfetta regolarità geometrica. La bonifica è integrata da km. 23, di ferrovia 0,75, da 27 Km. di decauville, due centrali idroelettriche per un migliaio di HP; 40 km. di linee elettriche a 10.000 e 2000 V., altrettante linee telefoniche, 6 acquedotti in muratura e a condotta forzata dello sviluppo complessivo di Km. 44. I terreni sono coltivati per 11.000 ettari circa dagli abitanti dei paesi ex ripuari del lago che li hanno in fitto; per 1200 ettari da 56 famiglie coloniche e per altri 800 in due aziende a economia quella di Via Nuova (ettari 500) e quella di Strada 30 (ettari 300). Nelle aziende a conduzione diretta, dotate di ogni sorta di attrezzi e di macchine di animali bovini, da lavoro e da latte, di equini e di grandiosi fabbricati (case fattorali, stalle, fienili, rimesse per macchine, ecc.) i terreni sono coltivati razionalmente e intensivamente a grano specialmente misto duro fucense, a barbabietole da zucchero, a patate (pasta gialla) a erba medica, a vigna, ecc. e molto fiorente vi è anche l’allevamento del bestiame da lavoro e da latte. Le produzioni unitarie sono elevate (fino a 50 quintali per ettaro il frumento, fino a 500 le bietole da zucchero e a 280 le patate) e ciò per la fertilità del suolo, per i metodi perfezionati di coltura, le rotazioni razionali, le sementi scelte e le concimazioni studiate. Le aziende padronali del Fucino sono state e sono tuttora il faro che ha servito e serve a orientare la Regione nei più moderni e razionali sistemi di agricoltura. Le colonie, il cui nucleo principale si trova su quattro strade che fanno capo a Strada 46, sono costituite da tanti appezzamenti di circa 25 ettari, divisi in banconi regolari mediante filari di piante da frutto. Dotate ognuna di una bella casa colonica, di una stalla, di una vasta rimessa, di un porcile, di acqua potabile, sono tenute da famiglie coloniche marchigiane, ivi immigrate da parecchi lustri. La produzione delle terre a colonia sono le stesse di quelle ad economia e cioè: grano, bietole da zucchero, patate, frutta e bestiame da allevamento e da macello, venduto in quantità abbondante oltre che per il consumo locale anche per i mercati di Roma e di Napoli» (5).

NOTE 

  1. A.Pizzuti, cit., p.53.
  2. C.Felice, Azienda modello o latifondo…, cit., p. 661.
  3. R.Colapietra, op. cit.,p.175. Nella sua acuta ricerca, lo studioso accerta una successiva epurazione dal fascio di Avezzano dei professori: Rocco D’Alessandro, Tullio Di Pietro e Francesco Tarquini, con ritiro della tessera.
  4. C.Felice, cit., p.662.
  5. Annuario dell’agricoltura italiana 1930 (VIII), Roma.

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