La conflittualità nella Marsica tra baroni, università e clero (1707-1734)

Soldati austriaci nella Marsica
Soldati austriaci nella Marsica

All’interno della lotta politica e dinastica internazionale, la storia dei viceré impegnati nel governo di Napoli e province sotto il sigillo degli Asburgo d’Austria può essere ricostruita anche attraverso molte vicende conflittuali in atto nella Marsica. 

Tuttavia, occorre precisare che in questo periodo il viceré Luigi Tommaso Harrach tentò di avere rapporti di amicizia con la grande feudalità delle province napoletane (notoriamente ostile), giacché fu strenuo oppositore di privilegi e immunità consacrati nel tempo. La sempre latente ma spesso aperta litigiosità territoriale, tra comuni, clero e baroni andrà tenuta continuamente presente in questo periodo, paragonabile a una miccia disinnescabile non solo con la reciproca accettazione dello «status quo» ma, altresì, nella quotidianità dei rapporti tra cittadini delle università confinanti spinti allo scontro diretto soprattutto per condizioni di grave crisi economica (1).

Nel nostro caso, i «Notamenti» riportano un sunto di quanto avveniva nelle sedute consiliari del Collaterale, che fungeva sia come magistratura di prima istanza sia come «Giudice di Appello» avverso le decisioni dei Tribunali provinciali (Udienza aquilana). Questi importanti resoconti conservati nell’Archivio di Stato di Napoli in volumi divisi per semestri, rappresentano una fonte documentale di primaria importanza, non solo per la preziosa quantità d’informazioni tecniche giuridiche rinvenibili ma, soprattutto, per la varietà degli argomenti in essi affrontati come: questioni di politica e di economia, di amministrazione, di ordine pubblico e di cause giudiziarie. Per questo, rappresentano informazioni preziose capace di svelare la realtà sociale della Marsica e di tutto il regno di Napoli (2).

Lo studio concreto dei contrasti zonali ci fa immergere, direttamente, nello scenario del tempo. Le difficoltà già riscontrate ovunque per questioni territoriali, in questo caso tra i cittadini dei comuni limitrofi di Avezzano e Capistrello, emersero di nuovo e ancor più aspre nel 1707, quando gli avezzanesi, ormai stufi delle continue rappresaglie dei vicini, decisero di farla finita, risolvendo la questione con le maniere forti. Si trattava di: «una fierissima lite, suscitata dall’Università di Capistrello per cagione dei territori, selve, e pascoli, nella quale vi si consumarono con poco profitto quattromila, e più ducati, e con incomodi, et eccessi continui nella venuta di più, e diversi Regi Ministri, ai quali non riuscì di poterla concordare, et ultimare, a segno, che nel mese di Maggio dell’anno 1707 antecedentemente alle suddette tribolazioni, ammutinatosi improvvisamente tutto il popolo di Avezzano, a causa di alcune violenze praticate dalli Capistrellani nelle selve controverse, contro li legnaroli di Avezzano, fece consegnarsi, con minacce di fuoco, dai renitenti, e tutti li cittadini, tutte le armi, e con gran impeto, si portò armato verso Capistrello per diroccarlo, e trucidarne li abitanti». La popolazione di Capistrello, messa in fuga dall’intensa fucileria avezzanese, scampò al massacro solo per l’autorevole intervento delle parti in causa. Tuttavia, la grave controversia durò per parecchi anni ancora e, tra il 1750 e il 1753, il comune di Avezzano con «un versamento sui legnami di sei ducati annui», mise fine alla scabrosa vicenda (3). 

La tendenza a limitare il potere e l’influenza politica del baronaggio, che continuava a essere prepotentemente costante sul territorio, costrinse il viceré austriaco Althan a intensificare controlli severi dei «Commissari di Campagna» e dei «Presidi» delle regie Udienze provinciali, per sorvegliare l’attività dei giudici e degli armigeri baronali (il Colonna ne aveva circa trenta sparsi nella Marsica) (4). Sempre leggendo i processi dei «Notamenti», che riportano denunce inviate dalla «Curia vescovile di Pescina» si riscontrano altre innumerevoli liti e tumulti di piazza, scoppiati tra fazioni avverse per vecchi rancori e inimicizie, pronte a riaccendersi al primo segnale di provocazione.

Stavolta, i paesi di Aschi, Trasacco, Gioia, Lecce, Celano, Cerchio, Pescina, Collarmele e Castelvecchio Subequo si trovarono al centro di duri contrasti. L’episodio più importante fu sicuramente quello che vide contrapposte le famiglie feudali dello «Stato di Celano» e baronia di Pescina, ossia i Savelli contro gli Sforza Cesarini Bovadilla. Di conseguenza, nel 1718, per ordine del «Sacro Regio Consiglio», fu inviato per dirimere la questione Don Donato Gallarano, come perito sopra le parti, affinché eseguisse la stima e l’accatastamento delle relative proprietà. L’Apprezzo di questo tecnico ebbe parte risolutiva nelle diverse dispute tra confinanti, fino a quando fu decisa la divisione e lo scioglimento delle promiscuità tra i due contendenti e le università limitrofe (5).

Nel 1724 scoppiò un’altra controversia tra gli amministratori del comune di Luco dei Marsi (massari) e gli eredi di Felice Antonio De Angelis. Il municipio rivendicava il diritto di pagamento delle «Collette» per i beni posseduti quali beneficiati o patroni della «Cappella dello Spirito Santo». Come risposta a tali pretese, la famiglia De Angelis si oppose, sostenendo a spada tratta che i privilegi della cappellania erano «bene ecclesiastico», quindi già esente dal pagamento della tassa. Chiamato a giudice il vescovo dei Marsi che, naturalmente sostenne i diritti della Chiesa, dopo aver esaminato le carte d’archivio, dichiarò: «La detta Cappella anticamente era tutta disfatta, vi stava solamente una figura di Madonna, e l’Altare scalcinato, e nudo, e detta Cappella dal quondam Felice Antonio de Angelis fu restaurata» (5).

Altro episodio importante, estrapolato dalla panoramica marsicana delle dispute tra ecclesiastici, è quello riguardante il «Capitolo» della chiesa di Albe. In proposito, la contesa vide schierati da una parte sette canonici con relative «prebende» contro otto canonici non residenti in un vero groviglio di posizioni avverse. La diatriba si era già attivata nel 1710, quando il canonico Cesare Antonio Bartolieri (non dimorante) affermò di avere gli stessi diritti dei domicilianti. Il sacerdote, sebbene appoggiato dal vescovo dei Marsi non riuscì nell’immediato a spuntarla, poiché la causa rimase insabbiata negli archivi della «Curia Romana» per molto tempo. In seguito, le parti contrapposte giunsero a transazione ma poi si attivò un’altra lite, quando i residenti in forza di un indulto pontificio, ottennero l’uso di portare la «cappa magna». Stavolta l’intera questione fu rimessa al cospetto della «Sacra Congregazione dei Riti» e risolta solo nel 1716 (6).

NOTE

  1. Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli 1707-1734, a c.di Attilio Antonelli, Arte’m, Prismi editrice politecnica Napoli, 2008, p.12. Cfr. A. Di Vittorio, Gli Austriaci e il Regno di Napoli 1707-1734. Ideologia e Politica di Sviluppo, Giannini editore, Napoli, 1973. Per la problematica generale del periodo, si veda: G. Galasso, Storia del regno di Napoli, vol.III, Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco 1622-1734, Utet, 2006.
  2. I. Ascione, I “Notamenti” del Collaterale redatti da Niccolò Fraggianni, n. (1725-1733), in «Frontiera d’Europa», n.1-2 (2008), pp.113-305.
  3. F.D’Amore, Il manoscritto inedito della nobile famiglia Aloisi di Avezzano. Strutture familiari e rapporti sociali in una comunità marsicana tra Trecento e Settecento, Edizioni Kirke, Cerchio, febbraio 2011, pp.101-102.
  4. R.Feola, Aspetti della giurisdizione delegata nel Regno di Napoli. Il Tribunale di Campagna, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», anno XII (1974), pp. 28-49.
  5. Archivio di Stato di Napoli, fondo Esteri, vol. 4820. Si tratta di una relazione tecnica composta da ventitré fogli. Un estratto dell’Apprezzo della contea di Celano e baronia di Pescina a cura di Donato Gallarano 1718-1723, si trova in A.Pecilli, Cerchio nella storia dell’arte, 1962, p.18; e ancora riportato da altri studiosi come: Pansa, Manna, Tollis e Amiconi.
  6. Archivio Diocesano dei Marsi, Fondo C, b.25, fasc.571 «Pro Caietano clerico coniugato, et Josepho de Angelis contra Universitatem Terrae Luci, eiusque maxarios, et alios de regimine», ms., in «Civilia Luco». Il termine «prebenda» indicava un beneficio ecclesiastico, solitamente derivante dalla gestione di un canonicato e, in alcuni casi, veniva intesa come «beneficio privo di cura d’anime».

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