La nevicata del 1956

Doveva essere il 18 di febbraio, quando, l’Abruzzo e la Marsica in particolare, furono colpiti da una tremenda bufera di neve ancora impressa nella memoria di tantissimi. Pescina, a causa della forte e proverbiale tramontana, rimase bloccata.

Per tutta la notte il vento fortissimo lasciò dormire poche persone: sembrava il finimondo! AL mattino furono non pochi coloro che dovettero aprirsi letteralmente un varco per uscire da casa, tanta era la neve caduta il Comune, in tali eccezionali situazioni si serviva di spalatori per liberare strade e stradine; è cosi chi aveva la volontà e necessità di guadagnarsi la ”stozza”, si portava in Piazza Mazzarino e aspettava di essere inviato a spalare neve davanti alle scuole o dove necessitasse.

nevicta-1956-2Quella tremenda mattinata, ci ritrovammo in pochi in piazza, vestiti come ci si poteva vestire in quegli anni, cappotti ripassati, sciarpe avvolte fin sotto gli occhi, scarpe anche basse, stivali di gomma, guanti di lana e spesse volte bucati. Il freddo e la forte bufera ci avevano già quasi congelati, ma eravamo lo stesso li, armati di pale e buona volontà. Mentre eravamo nell’attesa di essere chiamati, al riparo dal vento e dalla neve addossati ai muri della vecchia caserma dei Carabinieri, giunse dagli altoparlanti della Chiesa la voce del parroco don Nazzareno Baroni, che invitava chi n’avesse la volontà a raggiungere la Stazione FF.SS. per portare soccorso ai passeggeri di un treno colà rimasto bloccato dalla sera precedente. Che fare? Alcuni tornarono a casa, altri andarono a procurarsi pane, salsicce e vino e corde; in gruppo c’incamminammo verso la Stazione, distante 3 Km e tutti in salita.

Raggiungerla fu una vera impresa, poiché alcuni tratti della strada erano bloccati da vere e proprie montagne di neve. Ricordo perfettamente che vicino la casa di ”Giacchinitto” ci trovammo in tale difficoltà da non sapere come andare avanti, e dire che avevamo percorso appena 1 Km! Tornammo indietro di un centinaio di metri, e trovato un varco c’inerpicammo su di una collinetta battuta da un vento fortissimo che ci rendeva il cammino difficoltoso. In cima all’altura si staccò dal gruppo il più giovane per fare da battistrada, ma ben presto dovette arrendersi e lo trovammo accovacciato dietro una pianta di mandorlo.

Che momenti tremendi! Però pur consapevoli della pericolosità della situazione, non ci passò neppure per un istante nella testa il pensiero di dover tornare indietro. Riprendemmo lo stesso il cammino, e dopo tanto tempo e fatica, giungemmo in vista della Stazione avvolta dal bianco della bufera. Da essa ci separava un breve rettilineo ed un ponte, ma quella mattinata sia il ponte sia la valletta sottostante erano tutto una piana di neve. Dovemmo aprirci un passaggio su di una spalletta del ponte stesso, col rischio concreto di precipitare giù. Raggiungemmo finalmente la stazione portandoci nella sala d’aspetto. Per fortuna la corrente non era mancata ed il treno era riscaldato. Il bar, gestito dal compianto amico Pasquale Angelone, era stato letteralmente preso d’assalto dai passeggeri, e quel poco che avevamo portato con noi servì a chi era rimasto senza.

Le foto che corredano questa testimonianza furono scattate da un giornalista di una rivista nazionale, che me le trasmise accompagnate da una lettera di ringraziamento per la nostra abnegazione e generosità. Dopo due giorni tornò a splendere il sole, e molti pescinesi si recarono alla stazione a spalare la neve. Anch’io e la maggior parte dei soccorritori del 18, tornammo su a cercare di guadagnare qualcosa, ma erano già tanti quelli che si erano presentati che rimanemmo a bocca asciutta. Tra le stazioni di Pescina e Carrito, però, i binari scorrevano tra due pareti di roccia. Quel corridoio era talmente coperto di neve, che questa arrivava fin sopra i fili della linea elettrica.

Ci radunammo in circa 200 e provvedemmo ad aprire un varco per dare possibilità al locomotore di allargarlo il più possibile. completato che fu il lavoro, ci portammo ai bordi della muraglia di neve. Il locomotore iniziò a sbuffare e partendo dal ”Ponte della Valle” si faceva largo a tutta forza tra la muraglia di neve. Sbuffando e fischiando si avvicinava sempre più. All’improvviso uno spalatore, sportosi incautamente, rotolò vicino ai binari. D’istinto gli allungammo un badile perché lo afferrasse, lo prese lo tirammo su quel tanto perché il treno non lo maciullasse.

Furono dei secondi terribili che mai riuscirò a dimenticare. Questa la cronaca quella drammatica giornata del febbraio ’56 tra i tanti che partecipammo alcuni non ci sono più, altri sono emigrati in terre lontane. A tutti va il mio pensiero affettuoso.

         Andrea Parisse

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