“La speranza oltre le sbarre ” Viaggio in un carcere di massima sicurezza di Angela Trentini e Maurizio Gronchi

Avezzano – Laici e religiosi condividono lo stesso percorso: quello di non negare a nessun uomo la propria dignità. Questo vale anche per coloro che hanno commesso i crimini peggiori. Il reinserimento deve necessariamnete passare attraverso una riabilitazione morale che implica un rapporto con chi quel crimine lo ha subito: i parenti delle vittime. Si potrebbe sintetizzare così il lungo e intenso intervento del Procurazione Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho nel corso dell’incontro formativo svoltosi a Chieti su cui si è sviluppato il dibattito nato intorno al libro-inchiesta “La Speranza Oltre le Sbarre” della giornalista della Rai Abruzzo Angela Trentini e il teologo sistematico Maurizio Gronchi presenti all’evento insieme al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e  l’Arcivescovo della Diocesi Chieti-Vasto Monsignor Bruno Forte. Appuntamento che venerdì 15 giugno si ripeterà, con altre voci grazie all’Odg, l’Ordine degli Avvocati e la Diocesi dei Marsi, ad Avezzano presso Castello Orsini Colonna a partire dalle ore 9.00 con la presenza, tra gli altri, del Vescovo Pietro Santoro.

Se da una parte, ha sottolineato De Raho, la pena e anche il carcere duro rappresentano un elemento fondamentale per la punizione di chi ha commesso il reato per far sì che resti lontano da quelle realtà del malaffare di cui fa parte, dall’altra la tutela della dignità deve essere garantita così come la possibilità di intraprendere un percorso di riabilitazione che se nel profondo si può manifestare solo agli occhi di Dio, agli uomini deve essere trasmesso tramite segnali di ravvedimento tali da manifestarsi come vero. “Un libro – ha sottolineato – quello oggetto delle riflessioni di oggi, complesso e profondo perché tocca molteplici aspetti riuscendo ad approfondirli tutti”. Lontano da ogni forma di indulgenza e perdonismo, “La Speranza Oltre le Sbarre” dà voce per la prima volta a quei “vuoti a perdere”, come li definisce Gronchi, che si sono macchiati dei peggiori omicidi e delle peggiori stragi del nostro Paese. Sei killer responsabili delle morti dei giudici Falcone, Borsellino e Livatino che, per la prima volta, si confessano e si confrontano con i parenti delle vittime. Toccante anche il messaggio giunto da Maria Falcone che ha ricordato le parole del fratello Giovanni: “non bisogna mai dimenticare che in ognuno degli assassini c’è un barlume di umanità”. Questo significa, ha aggiunto, “ da un lato tener desta la capacità di discernimento nel bambino/adolescente attraverso la fondamentale azione di educazione alla legalità nelle scuole perché i giovani non possano più dire di non sapere che cosa è la mafia. Allo stesso tempo – ha aggiunto rivolgendosi alla platea – è essenziale il ruolo di informazione svolto dai giornalisti che possono scegliere di raccontare la giustizia alla società civile non solo come sistema, ma anche come apertura a percorsi di riparazione”.

            Un invito a guardare quel “barlume di umanità”, perché, come hanno sottolineato De Raho, Legnini e Mons. Forte “la pena abbia un senso. Quello della speranza e dunque quello di giungere ad una vera e propria riabilitazione morale”. Processo che, hanno aggiunto tutti, passa inevitabilmente per quella riforma del sistema carcerario che, temono, non si farà mai, e che invece dovrebbe garantire a tutti una vita dignitosa anche dietro le sbarre permettendo ai detenuti di lavorare e soprattutto, ha tenuto a dire Legnini, far sì che la loro cultura si accresca tanto da permettergli di comprendere che un’altra scelta era ed è, per i giovani che vivono quel disagio e troppo spesso causa di un “percorso obbligato”, come uno degli assassini stessi afferma, possibile.

            “Molti detenuti in regime di 41bis – ha infatti raccontato De Raho a distanza di 15-20 anni dall’arresto, parlando con i familiari e incontrandoli affermano: se avessi pensato che per me poteva esserci una vita diversa certamente non avrei scelto la vita che ho fatto. La perdita dei beni più preziosi è la più grande”. La pena è il debito che si paga per i propri errori, ma non per questo deve impedire il ravvedimento, purché profondo, che passa per la riconciliazione con i parenti delle vittime e una nuova inclusione sociale. Se la Chiesa “scomunica” i mafiosi, ha ricordato citando Papa Francesco, la giustizia “condanna”. Perché l’esclusione torni ad essere inclusione serve, insomma, una piena presa di coscienza di aver commesso reati atroci. E tutti, ha concluso, abbiamo un ruolo importantissimo in questa società e, dunque, anche nel modo in cui ci rapportiamo a queste realtà.

Il dibattito su pena e giustizia e su questo nuovo sguardo che anche la cronaca deve saper volgere al crimine e i criminali trovando il coraggio di indagare le ragioni che hanno spinto questi uomini a sviluppare una coscienza così “sbagliata”, proseguirà dunque mercoledì ad Avezzano con il Vescovo Santoro, i due autori del libro, Ottaviano Gentile, membro del Corecom Abruzzo, il giornalista direttore di “Voci dentro” Francesco Lo Piccolo, il Vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati Franco Colucci, il Presidente dell’Odg Abruzzo Stefano Pallotta e Maria Teresa Letta, Responabile regionale della Croce Rossa Italiana.

Per approfondire e consultare tutti gli appuntamenti è possibile consultare il sito www.lasperanzaoltrelesbarre.it

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