L’Agenzia Stefani comunicò che in data 12 aprile 1928: «alle ore 10, poco prima dell’inaugurazione ufficiale della IX Fiera Campionaria di Milano un ordigno esplosivo collocato contro la base di un fanale in Piazza Giulio Cesare, è scoppiato». Proprio da quel punto (ingresso principale della fiera), dopo l’esplosione transitò indenne l’automobile del re, preceduta da quella del cerimoniere di corte. L’attentato terroristico causò la morte di venti persone (tra cui bambini e militari) e il ferimento di altri quaranta innocenti visitatori. Immediatamente, Mussolini, telegrafando al podestà di Milano, parlò: «di bestiale criminalità dell’antifascismo impotente e barbaro». Nonostante tutto, il sovrano volle inaugurare l’importante manifestazione, mostrando in quei frangenti, la presenza indiscussa del regime (1).
Unanime esecrazione per l’eccidio di Milano fu esternata in tutta la provincia aquilana. Nel capoluogo, venne celebrata una «messa requiem» nella chiesa di S. Agostino.
In molti paesi della Marsica, dopo la diffusione delle tragiche notizie, alcuni giornali scrissero: «le popolazioni con spontaneo slancio hanno dimostrato tutto il loro sdegno per l’efferato eccidio di Milano e la loro immensa gioia per il pericolo scampato dal Sovrano».
Ad Avezzano, il podestà e il segretario politico del fascio, pubblicarono «vibranti manifesti». Il giorno dopo l’attentato, un imponente corteo, cui parteciparono la popolazione e tutte le autorità, percorse le strade della città; poi, raggiunto il municipio, furono ascoltati i discorsi patriottici degli avvocati Orazio Cambise e Alessandro Resta.
Ad Aschi (frazione di Ortona dei Marsi), un corteo silenzioso attraversò le vie del paese, portandosi alla chiesa parrocchiale, dove fu cantato un «Te Deum» di ringraziamento.
A Capistrello: «Una grandiosa dimostrazione ha percorso le vie del paese recandosi in chiesa ove Monsignor Luigi Vaccari cantò un solenne Te Deum di ringraziamento, pronunciando poi calde parole di occasione». La popolazione, preceduta dalla banda del paese, con in testa il podestà Alberto Vetoli, formò un imponente corteo che sfilò per le strade principali del piccolo borgo.
A Luco dei Marsi: «Autorità comunali, associazioni e popolo, partendo dal Monumento ai caduti, percorse in corteo le vie del paese, recandosi in chiesa, ove dopo l’esposizione del Sacramento, è stato cantato un solenne Te Deum».
A Sante Marie: «Una dimostrazione patriottica si è recata in chiesa ove, dopo un discorso del rev. don Beniamino Vitale, è stato cantato un solenne Te Deum».
A San Benedetto dei Marsi: «Al ritorno dal lavoro dei campi, si è formato un imponente corteo, che ha percorso le vie del paese, acclamando al Re. Ha quindi nobilmente parlato il Segretario Politico» (2).
A Villa S.Sebastiano: «Appena saputo il brutale fatto di Milano, il popolo, le scolaresche, i Balilla e le unitarie Associazioni si sono recati in Chiesa ed hanno elevato al Cielo un solenne Te Deum di ringraziamento per lo scampato pericolo del nostro amato Sovrano. Indi, il rev. don Federico Barile ha stigmatizzato l’orrendo attentato, commuovendo fino alle lacrime questi forti e fedeli agricoltori» (3).
Qualche giorno dopo, mentre il dirigibile Italia al comando di Nobile partiva per un’esplorazione polare, a Roma si organizzò una grandiosa adunanza per ricevere degnamente il ritorno del sovrano nella capitale. Alla stazione Termini, Mussolini, l’onorevole Tittoni (presidente del Senato), l’onorevole Casertano (presidente della Camera), il prefetto Garzaroli, il governatore principe Spada Potenziani, il presidente della commissione reale e altre numerose autorità civili e militari, attesero con ansia l’arrivo del treno. Un chiaro messaggio lanciato dal segretario federale Guglielmotti, invitò tutti i cittadini della capitale ad essere presenti al Quirinale: «Dopo l’orrenda strage antifascista il popolo italiano, in piedi, manifesta la sua fede e la sua devozione al Re e al Regime. Tutti in Piazza del Quirinale a gridare Viva il Re! I gruppi rionali fascisti si troveranno inquadrati in camicia nera alle ore 9,15 precise in Piazza del Quirinale. Nessuno manchi!».
Nel frattempo, furono eseguite serrate indagini con arresti e interrogatori, per scoprire gli autori dell’attentato, mentre il «Tribunale Speciale» era pronto ad emettere la condanna a morte per i responsabili. In queste frenetiche ricerche, il «sovversivo» marsicano Romolo Tranquilli (fratello di Ignazio Silone) appena intercettato dalla polizia mentre tentava di passare il confine svizzero, fu subito arrestato a Como.
A tal proposito vale la pena riportare la cronaca della sua cattura, riportata dai tutti i giornali fascisti: «Aveva in tasca, inoltre, 700 Lire circa ed un foglio con una specie di orario scritto con queste indicazioni: venerdì Como, sabato Milano ore 10,30. Gli fu anche trovato addosso un pezzo di pianta della Fiera di Milano tutta gualcita e precisamente dove figura il Piazzale Giulio Cesare. Gli venne anche trovata in tasca una bottiglietta con un liquido non ancora precisato. Dopo aver subito presso il Comando della Legione la perquisizione, l’individuo veniva tradotto in Questura, dove l’autorità di P.S. lo tratteneva in arresto. Il sedicente Tranquilli che portava una carta d’identità intestata ad un altro, pur non avendo la sua fotografia, non è certamente un individuo che non possa destare gravi sospetti quando a questa circostanza si aggiunga quella della carta della Fiera e dei manifesti sovversivi. Inoltre, ulteriori informazioni da Como dicono che, sottoposto a stringenti interrogatori durati a lungo, l’arrestato ha cercato di sviare le domande dei funzionari, dimostrando grande abilità. Egli verrà certamente tradotto a Milano dal paese di Brunate. Probabilmente intendeva varcare il confine svizzero».
Per il dissidente marsicano, purtroppo, altri gravi sospetti andarono a peggiorare la sua posizione, specialmente quando: «Due donne di servizio della casa tristemente famosa segnata col numero 18, al Piazzale Giulio Cesare, e due signorine abitanti allo stesso palazzo deposero che la notte di mercoledì un individuo sulla trentina passeggiava sul marciapiede della loro casa; accortosi della loro presenza, si allontanò con una cassetta avvolta in un giornale che corrisponderebbe nelle proporzioni e nelle misure, a quelle probabili del tremendo ordigno esplodente».
Le sorelle Bollaro, invece, raccontarono alla polizia che: «la loro attenzione poco prima dello scoppio era stata attirata dal contegno di una misteriosa donna vestita all’antica, con una sciarpa intorno al viso». L’oscura signora, dopo lo scoppio della bomba, venne riconosciuta tra i feriti ricoverati all’ospedale Maggiore.
In questa prospettiva si svolsero le incalzanti indagini rivolte contro tutti i sorvegliati politici della zona (4).
In seguito al grave attentato, seguirono, come abbiamo detto, numerose manifestazioni di solidarietà al regime in tutta la Marsica.
Nella serata di giovedì, 12 aprile 1928: «appena la notizia si sparse nella città di Avezzano, fu un magico fiorire di tricolori sui balconi, sulle finestre, sulle insegne dei negozi e, mentre si attendevano con ansia febbrile i giornali della sera, il Concerto del Dopolavoro Ferroviario percorse le vie della città al suono della Marcia Reale e degli inni fascisti. Lungo il percorso erano battimani e grida di Viva il Re».
La mattina dopo, il podestà di Avezzano fece affiggere il seguente manifesto: «Cittadini, Ieri a Milano, mentre il nostro amatissimo Sovrano si recava ad inaugurare la Fiera Campionaria, che è manifestazione grandiosa e potente di tutta la Nazione, una vile criminale azione terroristica ha colpito gli Italiani che erano accorsi a salutare il Re. Oggi più che mai la Nazione commossa si stringe attorno al Suo Amato Sovrano, ed Avezzano, mai seconda a nessuno per il suo patriottismo, questa sera alle ore 20 si raccoglierà davanti al Municipio per esprimere, in solenne corteo, tutto il suo giubilo per lo scampato pericolo del Re e tutto lo sdegno per l’esecranda viltà». Anche il segretario politico Enrico Panfili (ormai aveva ripreso il suo posto nel partito), rivolse agli iscritti il seguente appello: «Camice nere! La follia terroristica dei nemici d’Italia e dell’antifascismo inconsulto e criminale, ha colpito il cuore della Patria, mentre in Milano si celebrava il rito del Lavoro e della Vittoria. La disciplina fascista ci impone il più significativo raccoglimento ed una novella prova della più completa dedizione ai voleri del Duce, che vigila e opera. Per il Re, per le Vittime, per il Duce, il saluto fascista!». L’invito fu accolto dall’intera popolazione e, alle ore venti del giorno dopo, il piazzale del municipio si riempì di fascisti, militi, sezione femminile del «Fascio, Piccole Italiane, Balilla, Società delle Corporazioni Sindacali», con la solidarietà di numerosi cittadini che sventolavano bandiere al lume delle torce, mentre la banda dei ferrovieri intonava inni patriottici. Un grandioso corteo, cui parteciparono la popolazione e tutte le autorità, aveva percorso le strade della città; poi, raggiunto il municipio, la folla ascoltò i discorsi «di amor patrio» degli avvocati Orazio Cambise e Alessandro Resta.
Dalla balconata centrale parlò per primo Orazio Cambise, rinnovando l’attaccamento alla dinastia sabauda scampata alla strage, seguito dalle parole espresse dal conte Alessandro Resta che: «vibratamente, a nome del Partito, parlò con la consueta eleganza di forma, sintetizzando con frasi scultoree l’inanità degli sforzi avversari contro il destino che sta maturando sicuro sotto gli auspici del Re e del Duce per rendere l’Italia più bella, più grande, più forte» (5).
Alcuni giorni dopo, la notizia dell’arresto di Romolo Tranquilli, suscitò a Pescina viva impressione. Molti non credevano affatto che il giovane si fosse macchiato di un simile orrendo attentato. Nel sottolineare quest’aspetto, i cittadini fecero pubblicare da Il Messaggero, il seguente articolo: «Questa industre ed agricola popolazione è rimasta profondamente scossa per l’attentato terroristico del giorno 12 in Milano, e profonda impressione ha destato in lei la notizia dell’arresto di un suo concittadino. Il giovane Romolo Tranquilli fu Paolo di anni 24, in occasione dell’attentato stesso perché gravemente indiziato. Per quanto costui fosse biasimato e deplorato dagli stessi suoi parenti per le sue idee sovversive, pure è opinione che egli non possa essere un complice o l’autore dell’attentato» (6).
In tempi recenti, a proposito della disgraziata vicenda, Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese hanno scritto: «È certo che Silone fece il possibile per il fratello, chiedendo aiuto a quanti conosceva: a Guido Bellone in Italia, a diverse personalità internazionali, quali il ministro laburista inglese Arthur Henderson, presidente dell’Internazionale Socialista, Henri Barbusse e Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura. L’accusa comportava la pena di morte. Silone racconta che il tribunale si trasferì da Roma a Milano per pronunziare la sentenza di morte e farla eseguire. Mentre il tribunale era in viaggio, intervenne Henderson su Mussolini assicurando di avere le prove degli spostamenti di Romolo che escludevano Milano. D’Onofrio, Longo e Silone si dissero disposti a testimoniare per rogatoria presso qualsiasi consolato italiano all’estero. Il tribunale così se ne tornò a Roma. La commissione istruttoria del Tribunale speciale si pronunciò il 23 gennaio 1929 dichiarando l’estraneità degli otto comunisti e di Romolo (che non conosceva affatto gli altri imputati)». Altre importanti informazioni sono state raccolte dallo studioso Alberto Vacca, che ha consultato documenti di prima mano presso l’Archivio Centrale dello Stato (Roma) e alcuni giornali d’epoca.
Tuttavia, le prove d’innocenza presentate dall’avvocato di Romolo Tranquilli, non attenuarono certamente la sentenza della commissione istruttoria emessa dal «Tribunale Speciale» nei riguardi del carcerato e di altri tredici imputati, che richiese al momento il «non luogo a procedere per insufficienza di prove». In effetti, si trattava di esaminare attentamente: un telegramma cifrato del prefetto di Milano in cui si evince che furono eseguiti centinaia di arresti tra anarchici, comunisti e repubblicani; un primo interrogatorio di Tranquilli da parte del questore; il rapporto del funzionario di Genova sul soggiorno dello stesso a Nervi sotto falso nome di Iginio Zuppi; il rapporto del questore di Venezia sul soggiorno del prigioniero nel dicembre 1927; le relazioni del questore di Milano del 17 e 18 aprile 1928; la testimonianza di don Luigi Orione del 22 aprile 1928 (che nel 1919 aveva ospitato Romolo a Tortona); il memoriale dell’imputato redatto tra il 18 e il 23 aprile 1928, nel quale riferì delle circostanze del suo arresto e dell’interrogatorio; l’intervento di Ignazio Silone al comitato di difesa delle vittime del fascismo e quello dei comunisti che pubblicarono clandestinamente articoli a favore di Romolo. Nonostante ciò, dopo il ricorso dell’avvocato difensore, il successivo verdetto inflisse all’imputato dodici anni di reclusione in isolamento e tre di vigilanza speciale per istigazione a mezzo stampa, per iscrizione al «Partito Comunista d’Italia» e per uso di carta d’identità falsa. Il severo giudizio fu notificato al giovane marsicano nel carcere di «Regina Coeli» in data 3 aprile 1929, quando già le sue condizioni fisiche cominciavano a essere compromesse; oltretutto, occorre specificare che, la serrata corrispondenza con il fratello Ignazio, venne ripetutamente sequestrata dalla polizia fascista.
Resta inteso che il dissidente pescinese scampò alla sicura fucilazione, altresì per la correttezza del capo della polizia Arturo Bocchini. Il 30 giugno 1931, Romolo Tranquilli fu tradotto nelle carceri di Perugia; poi, nel 1932, in quelle di Procida e, infine, viste le sue gravi condizioni di salute, venne trasportato al sanatorio giudiziario di Pianosa, dove morì il 12 novembre 1932 (7).
In effetti, dopo molti anni, su tutta la vicenda rimangono dubbi ed incertezze caratterizzate da zone d’ombra ancora non chiare. Nel solco delle indagini svolte nel 2009 da Carlo Giacchin, si scorge la necessità di indirizzare una plausibile ricerca verso le fazioni avverse del fascismo milanese. Certamente, l’attentato rimase un mistero inestricabile, nel quale non si riuscirono a individuare responsabilità e moventi, ma ben si percepiscono azioni organizzate da antifascisti pentiti e corrotti, fascisti dissidenti o stabilizzatori, faccendieri, provocatori e spie.
NOTE
- Il Messaggero, Anno 50° – N.89 – Venerdì, 13 Aprile 1928, Un attentato terroristico a Milano.
- Ivi, Anno 50° – N.91 – Martedì, 17 Aprile 1928, p.6, Unanime esecrazione per l’eccidio. Cfr. Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.790 – Roma, 29 Aprile 1928, p.2, Corriere di Capistrello. Grandiosa ed entusiastica dimostrazione per S.M. il Re.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.788 – Roma, 22 Aprile 1928, p.2, Corriere di Villa S.Sebastiano. «Te Deum» per lo scampato pericolo del nostro Re.
- Ivi, Anno 50° – N.90 – Sabato, 14 Aprile 1928, Dopo l’orrenda strage antifascista.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.788 – Roma, 22 Aprile 1928, p.2, Corriere di Avezzano. Per il nostro Re.
- Il Messaggero, Anno 50° – N.97 – Martedì, 24 Aprile 1928, p.6, Da Pescina. L’impressione per il delitto di Milano e per l’arresto di un concittadino.
- G.P.Di Nicola e A.Danese, Ignazio Silone. Percorsi di una coscienza inquieta, Effatà Editrice, 2011, Cantalupa (Torino), p.208. Cfr. A.Vacca, Il fratello di Silone Romolo Tranquilli. Il processo e la morte in carcere (1928-1932), pp.1-147; C.Giacchin, Attentato alla fiera: Milano 1928, Mursia, Milano, 2009. Cfr. R.Colapietra, Fucino ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, pp.160-171.