Le intolleranze dei «rivoluzionari» fascisti avevano lo scopo di rimuovere nella Marsica le vecchie amministrazioni social-comuniste. In questa situazione, occorre considerare anche l’atteggiamento indeciso di Camillo Corradini, ancora inserito negli apparati governativi ormai diretti da Mussolini. Tuttavia, in questi momenti d’incertezza, l’onorevole seppe pur ammettere con acuto realismo che lo spirito pubblico: «non era ravvivato da nessuna di quelle passioni che conferiscono nobiltà alle agitazioni ma, piuttosto, era oppresso da un incubo che opprime e paralizza ogni sentimento che aspira alla liberazione come in un cattivo sogno», poiché le masse tendevano a ricadere spesso in «uno stato di fatalistico quietismo» (1).
Dobbiamo tener conto che, in mezzo a queste perplessità, emergono altri interrogativi sulla sua partecipazione al «colossale banchetto» organizzato nei primi giorni del dicembre 1922 al Palazzo dell’Esposizione in via Nazionale a Roma. Accanto a lui, intervenne alla grande manifestazione fascista, l’intero Abruzzo, soprattutto per esaltare nei nomi di Acerbo, Paolucci e Sardi «le virtù della razza». Presenti al «tavolo d’onore», oltre all’illustre avezzanese, pure gli onorevoli Sipari, Bottai, il barone Tabassi, il sindaco di Avezzano Nardelli, il giornalista Ermanno Amicucci di Tagliacozzo, il collega Armando Palanza, il conte Lello Resta, Giuseppe Giffi, Fernando Corbi e l’avvocato Angelo Paoluzi (2).
Sommando le conclusioni finora guadagnate, in questo periodo prevaleva un inquietante sfondo socio-politico proteso verso l’esaltazione degli onorevoli Sardi e Acerbo. Da qualche settimana, infatti, si era costituito anche a Luco dei Marsi «La sezione del fascio Nazionale di combattimento nel quale militano oltre a valorosi ex combattenti quelle varie conoscenze intrepide che subito dopo l’armistizio osarono affrontare e ribellarsi a tutto il paese ubriaco di comunismo». Così, la roccaforte più accesa dei social-comunisti in Abruzzo «uno dei rossi focolari ardenti», venne finalmente conquistata dai fascisti, laddove: «I più bollenti spiriti abbassano man mano le ali e le bandiere rosse vennero tutte consegnate spontaneamente, bruciate poi da alcuni squadristi locali» (3).
Il 14 dicembre 1922, il sottoprefetto Sannini e il prefetto Sallicano segnalarono al ministero dell’Interno (con telegrammi inviati alla Pubblica Sicurezza) l’espandersi delle violenze con alcuni gravi episodi perpetrati dagli squadristi avezzanesi. In realtà, i soliti Resta e Panfili avevano purgato dieci ferrovieri e accoltellato alcuni fuochisti dissidenti. In precedenza, non era sfuggito alle sopraffazioni delle camice nere, nemmeno il parroco di Pietrasecca e una decina di donne di Collelongo (madri e vedove dei caduti in guerra), che non avevano molto gradito «veder sfruttato e imbrattato il grigioverde nel loro paese», invocando lo stesso Mussolini ad ammonire gli scalmanati (4).
A Lecce ne’ Marsi, una ventina camice nere di Trasacco, giunti di notte tempo in paese, si erano impossessate di una bandiera rossa «della defunta sezione socialista locale», vessillo tenuto in consegna già dal segretario politico del fascio Cesidio Di Fonzo. Onde evitare «facili equivoci e la possibilità di qualche doloroso conflitto, si decise di contentare le richieste dei baldi giovani trasaccani che non per nulla si erano esposti in quella notte rigida a un viaggio tutt’altro che piacevole». Così: «fra gli evviva al Fascio leccese ed a quello di Trasacco i giovanotti ripartirono nel massimo ordine recandosi come trofeo una bandiera già da due anni accuratamente ripiegata ed imballata» (5).
Riprendendo la cronaca da Cerchio, Felice Ciancarelli, informò l’opinione pubblica dell’inaugurazione del gagliardetto tricolore. La solenne cerimonia ebbe luogo di domenica, con il simbolo donato alla locale sezione dalla: «nobile donna Marchesa Ida Rossi di Caprarica». A mezzogiorno un lungo corteo composto dalla sezione femminile «da tutti i fascisti in camicia nera e da molti cittadini, si recò alla stazione ad attendere i fascisti di Celano, di Pescina, Avezzano, Trasacco, Aielli, Collarmele, Cocullo, che giunsero col treno delle 12,40».
Dopo l’arrivo del treno, il corteo si ricompose e fece sosta nella piazza del municipio, dove era stato allestito un palco addobbato con bandiere tricolori, con accanto le immagini del re e del «Duca della Vittoria». Si alternarono sul podio, per proferire discorsi altisonanti: Ferri (segretario politico del fascio di Avezzano), Cicchetti (segretario regionale dei sindacati fascisti), Vico Della Bitta, Resta, l’avvocato Di Lisio di Pacentro (rappresentante della federazione abruzzese) e Luigi Pietroiusti, fondatore del fascio di Cerchio. Seguì «l’inaugurazione del gagliardetto» dopi i frenetici applausi del pubblico, rilevati dall’inno «Giovinezza» e la madrina marchesa Rossi «ruppe la tradizionale bottiglia di champagne». Di seguito, Pietroiusti «lesse un bellissimo discorso, salutò e ringraziò tutti gli intervenuti e consegnò il gagliardetto al maresciallo Domenico Di Domenico, raccomandandogli di difenderlo sempre con ogni mezzo ed a qualunque costo». Vico Della Bitta lesse la formula del giuramento «e i fascisti presenti, salutando romanamente, risposero tutti ad una voce:lo giuriamo!». In ultimo parlò l’avvocato Di Lisio «che si rivolse specialmente ai lavoratori, sviscerando molto bene la questione agraria del Fucino, concludendo che la terra doveva essere data direttamente ai contadini» (6).
A Ortucchio, invece, al grido di: «Fascisti all’opera!», il sindaco Stefano Contestabile e il consigliere provinciale avvocato Nicola Irti, invitarono nel dicembre del 1922, la sezione del fascio a realizzare un monumento ai quaranta «eroi caduti valorosamente» nella prima Guerra Mondiale. Furono suggeriti, come luoghi per erigere la lapide: «l’antico e storico Castello Piccolomini, o il muro prospiciente a Porta Nuova del progettato Municipio» (7).
Esaminando il resto delle notizie, possiamo osservare anche la situazione di Carsoli, dove, a detta del cronista Corrado Martellacci, il consiglio comunale si componeva: «nella sua quasi totalità, di elementi, che fanatizzati da un venditore di chiacchiere, senza idee e senza partito, ormai morto alla vita pubblica, era arrivato alla conquista dell’Amministrazione agitando la bandiera rossa e gridando Viva Lenin!». Insediatosi nel municipio con la sua giunta: «non riuscì che ad aumentare le tasse, frazionandole tra i cittadini con criteri di sfacciata partigianeria». In due anni l’amministrazione «incapace e dissennata», aveva ridotto il paese in uno stato davvero miserevole: «I pubblici servizi lasciati in completo abbandono; il Comune senza segretario capace e stabile; i malati senza medico; i ragazzi senza locali per le scuole; le strade senza manutenzione, la rovina insomma la più assoluta». Addirittura, per ordine dello stesso Mussolini, fu nominato un commissario, capace di indagare le manchevolezze della giunta municipale. L’avvocato Angelini (fascista), consigliere di minoranza e già all’opposizione, con parole persuasive dimostrò le colpe dei principali amministratori, che con «perfida presunzione avevano ispirata l’autodifesa della Giunta». La seduta si chiuse con una calorosa acclamazione del pubblico a favore dei fascisti presenti: «mentre l’eletta e generosa centuria delle giovani camice nere cantava per le strade gli inni della Patria rigenerata» (8). In seguito (24 dicembre del 1922), si costituì a Carsoli un comitato di donne fasciste per ricevere il gagliardetto. Facevano parte della squadra d’azione «le graziose Signorine: Angelini Elettra, Scafi Ida, De Angelis Raffaelina, Bassani Giulia». Infine, a coronamento di altre manifestazioni nella Marsica, agli ordini del comandante centurione Don Alessandro Massimi (ex capitano del regio esercito e già combattente della Grande Guerra), si radunò a Ortucchio la sezione delle camice nere nella piazza Vittorio Emanuele. Dal palco parlò il segretario politico Aurelio Irti, improvvisando «un poderoso discorso che fu calorosamente applaudito, dopo del quale in bell’ordine ha percorso tutte le strade del paese al canto di Giovinezza e al grido di Eja,Eja, Alalà!». Tra i presenti, venne notato lo squadrista anziano Chiarilli, detto comunemente: «Pantano, il quale pur difettando di eccessiva giovinezza, s’è voluto iscrivere nella squadra d’azione fascista, mostrando così a tutti il suo sentimento di patriottismo e la sua sincera fede nei futuri destini della Patria» (9).
NOTE
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- R.De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere, 1921-1925, Einaudi Editore, Torino 1966, p.641.
- Il Risorgimento d’Abruzzo, Anno IV – Num.270-271, Roma, 3 Dicembre 1922.
- Ivi, Anno IV – Num.267 – Roma, 19 Novembre 1922, Corriere di Luco dei Marsi, Il Fascio di combattimento.
- R.Colapietra, Fucino Ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, pp.128-129.
- Il Risorgimento d’Abruzzo, Anno IV – Num.274 – Roma, 14 Dicembre 1922, Corriere di Lecce nei Marsi.
- Ibidem.
- Il Risorgimento d’Abruzzo, Anno IV – Num.275 – Roma, 17 Dicembre 1922, Corriere di Ortucchio de’ Marsi, Onoriamo i Caduti!
- Ibidem.
- Ivi, Anno IV – Num.277 – Roma, 24 Dicembre 1922, Corriere di Ortucchio de’ Marsi.