La formula «la terra ai combattenti», intesa come totale socializzazione del suolo e in questo momento soprattutto come ripartizione dei latifondi del Fucino tra piccoli coltivatori, divenne il centro di lunghe polemiche e di ardenti contrasti, salvo restando la convinzione generale che, il latifondo Torlonia, causa prima della rovina economica della Marsica, era un anacronismo destinato a scomparire.
D’altronde, da questi importanti rilievi la critica moderna ha affermato come con l’avvento del fascismo cadde «qualsiasi prospettiva di esproprio, come pure di un diverso assetto proprietario». Resta inteso che, gli interventi concretizzati dal governo fascista, come il «mercimonio delle subconcessioni» e la parcellizzazione in affitti da un ettaro a testa, furono talmente imprudenti e infausti da esasperare maggiormente una realtà di disoccupazione strutturale già diffusa in tutto il territorio, che rappresenterà piuttosto un pesante retaggio per l’Italia repubblicana.
Del resto, la proprietà fondiaria nel Mezzogiorno, che era ancora la prevalente fonte di ricchezza, nel primo ventennio del secolo era ancora accentrata in mano di pochi ricchi proprietari come Torlonia (1).
Al riguardo, preziosissime sono le informazioni che ci offre lo studioso Mimmo Franzinelli, in un saggio dedicato a Ignazio Silone. Il famoso «fuoruscito» marsicano scrisse che, tra il 1920 e il 1921, i sindacati fascisti per conquistarsi il favore degli ex soldati, avevano accolto le leggi che autorizzavano l’occupazione abusiva dei terreni del Fucino. Di fatto, però, un’ordinanza fascista emanata l’11 gennaio 1923 annullò il «decreto Visocchi, che regolamentava le occupazioni, dichiarando non valide quelle fino allora effettuate, anche nel caso in cui esse fossero state legalizzate dalle commissioni provinciali. Perciò, in base a tale decreto, tutti i contadini poveri, e gli ex combattenti, fra cui molti soldati fascisti, che si erano stabiliti sulle terre incolte dei grandi proprietari terrieri, furono cacciati dal proprio appezzamento. Ne derivarono per loro danni ingenti, poiché avendo occupato terreni di provenienza ignota ed essendo dunque certi di poterne usufruire per il numero d’anni stabilito dalla legge, li avevano coltivati in perdita per renderli più produttivi e trarne in un futuro prossimo gli adeguati profitti».
Ai proprietari, invece, grazie a questa deliberazione fascista, piovvero guadagni inattesi. Infine, una decisione del 10 settembre 1923: «abrogò tutte le norme che proibivano ai proprietari terrieri di mandar via dalle loro terre i fittavoli e i fattori senza l’autorizzazione di una commissione paritetica, e restaurò i loro antichi privilegi» (2).
Oltre lo sfondo socio-politico, che è attenuato secondo le circostanze nei confronti di Torlonia: «ci si limita ad auspicare una più diretta armonia nella fiducia che egli debba prima o poi rivedere le tabelle, e soprattutto assicurandolo nel senso di riconoscere che il fascismo nella Marsica ha trovato già la via preparata dai combattenti e perciò si dispone a seguirne la via fiancheggiatrice di collaborazione» (3).
Tuttavia, siamo in grado di conoscere, attraverso una lettera apparsa alla fine di dicembre del 1922 sul giornale Il Risorgimento d’Abruzzo, la reale situazione dei contadini marsicani durante il regime fascista. Non v’è da stupirsi se, nella missiva inviata al direttore del giornale, il cronista abbia firmato il testo come «Un agricoltore fucense».
Di conseguenza, l’anonimo autore, dopo aver raccolto da tutta l’area fucense utili informazioni «sulle pratiche» che si erano svolte per accaparrarsi la coltivazione delle bietole seguite da grandi promesse fatte al gruppo degli agricoltori, intese aggiungere una nota critica riepilogativa: «Gli Agricoltori del Fucino non sono nuovi a tali manovre e sono anzi esperti circa i risultati; basterà riconoscere i ben quattro tentativi fatti in passato agli stessi scopi. Prima venne al Fucino l’Eridania, carica di promesse per impiantare uno Zuccherificio a Celano. Poi venne fuori il progetto della Fabbrica di Chieti; in seguito le Distillerie Italiane promisero mari e monti ed infine lo Zuccherificio di Rieti promise di pagare le bietole a prezzi strepitosi! Nulla di positivo in tutto questo! Non una bietola venne portata via, nemmeno di un centesimo gli Agricoltori furono beneficiati!».
Dopo queste lucide constatazioni, l’ignoto agricoltore, aggiunse che in quei frangenti si era proposto un quarto concorrente: si trattava di un potenziale compratore preceduto, purtroppo, da notizie non troppo rassicuranti. Oltretutto, fu rilevato che il nuovo concorrente doveva trasportare le bietole a centinaia di chilometri di distanza: «e i prezzi dei trasporti ferroviari sono oggi assai gravosi, mentre i tempi della cuccagna accennano a finire! Pagherà, al momento del raccolto, questo illustre ultimo venuto le bietole a prezzi contrattati? Oppure verrà fuori all’ultimo momento una delle solite manovre industriali e aggiustate le proprie faccende con altre Società zuccheriere, non ritirerà il prodotto e il povero agricoltore si troverà senza un compratore, con la magra soddisfazione di aver fatto il gioco d’interessi degli altri? Tutti sono buoni a far delle promesse quando si tratta di chiamar gente, ma il difficile sarà di mantenerle quando l’agricoltore si troverà con le bietole a terra e con la necessità di avere il danaro!». Ben considerando le ultime vicissitudini degli agricoltori del Fucino, spesso le bietole invendute finivano come foraggio per il bestiame.
Questa esplicita denuncia, formulata da un testimone presente ai fatti, rimane decisamente nella linea di pensiero del cronista anonimo. Egli, infine, terminò l’articolo manifestando il suo fermo diniego per la drammatica situazione nel Fucino: «Io sono molto diffidente e fanno bene gli agricoltori Celanesi ad essere altrettanto! Non ho mai visto i Signori industriali a mangiarsi l’uno con l’altro ed ho sempre visto che fra i due litiganti il terzo non ha mai goduto! Attenti quindi, Agricoltori di tutto il Fucino; apriamo bene gli occhi!» (4). Con l’aiuto di questi rilievi di carattere cronachistico, si può delineare un quadro d’insieme, se non sicuro almeno verosimile, della piattaforma rivendicativa portata avanti dai contadini del Fucino.
Al contrario, nell’Archivio Centrale dello Stato (Archivio Torlonia, b.205), in una relazione annuale intitolata «Brevi osservazioni sul bilancio 1928», redatta da uno dei più insigni collaboratori di Torlonia (Gaio Sallustio Crispo), si può osservare la scarsità della rendita rispetto al valore reale dei terreni fucensi. È d’altronde difficile stabilire al momento se le entrate dell’Amministrazione erano passive per i bassi estagli (forma di retribuzione basata sulla quantità di lavoro) o per i debiti accumulati dai fittavoli, laddove neppure i sindacati fascisti, per quanto favorevoli alla proprietà, potevano sottrarsi a bruschi contrasti e alle dure opposizioni in atto (5).
NOTE
- C.Felice, Azienda modello o latifondo? Il Fucino dal prosciugamento alla riforma, in «Italia Contemporanea», dicembre 1992, n.189, p. 657. Per quanto riguarda l’intera problematica attinente al problema del latifondo si veda: M.Rossi Doria, La riforma agraria ed azione meridionalista, Bologna 1948, p.41.
- Il Fascismo, Origini e sviluppo, a c. di M.Franzinelli, Cap. IX, Il fronte comune della borghesia. Il governo fascista contro i contadini, Oscar Mondadori, Milano 2003. Per altri dettagli sul decreto Visocchi si veda: Critica Sociale, Rivista Quindicinale del Socialismo, N. 23 – Milano, 15 Dicembre 1922. Achille Visocchi, Ministro dell’Agricoltura, aveva emanato un decreto che favoriva la concessione di terre ai contadini reduci dalla Prima Guerra Mondiale.
- Quest’aspetto si incontra nelle tesi di R.Colapietra, Fucino Ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, p.129, con affermazioni riprese dal giornale Il Risorgimento d’Abruzzo, Anno IV, Roma, 10 Dicembre 1922, Il fascismo e le organizzazioni sindacali.
- Il Risorgimento d’Abruzzo, Anno IV, Num.277, Roma, 24 Dicembre 1922, Corriere di Celano.
- A.C.S., Archivio dell’amministrazione Torlonia, inventario, a cura di A. M. Giraldi, Roma, 1984, pp.178 (Quaderni delle Rassegna degli archivi di Stato,52).