Lecce dei Marsi – Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Elisabetta Gallotti, una 55enne residente a Lecce dei Marsi che, da circa due anni, combatte contro un tumore maligno. “Nel novembre 2022 – racconta la donna – scopro di avere un tumore maligno al quarto grado metastatico ai polmoni. La situazione si presenta con un rischio vita elevato e il policlinico Umberto I di Roma mi prenota cicli di chemioterapia da effettuare tre giovedì al mese, il quarto di riposo. Il programma prevede prelievi di sangue tre giorni prima del trattamento per controllare i valori del mio stato di salute così da sottopormi al trattamento. Come si può facilmente immaginare, già dalle prime somministrazioni di chemioterapia inizio ad accusare uno stato di debolezza fisica che non mi permette di spostarmi nel vicino presidio ospedaliero di Pescina per i prelievi. Dunque, in accordo con il mio medico curante, attivo il servizio ADI (assistenza domiciliare individuale, nel mio caso anche complessa in paziente con gravità di vita).
Dal primo prelievo, ho riscontrato una forte anomalia: l’infermiera si reca a casa mia per il prelievo, però mi chiede di andare, il giorno dopo, a ritirare i referti. Telefono alla responsabile che si trova al presidio ospedaliero di Pescina facendo notare che se io non sto bene oggi non sto bene neanche domani. Mi risponde in modo sgarbato e mi riaggancia il telefono. Molto adirata, ritelefono e mi urla che funziona così. Mi chiude di nuovo il telefono in faccia. A quel punto mi faccio accompagnare a Pescina e parlo con una delle responsabili, ma non riesco a risolvere il problema: devo recarmi a Pescina per il referto.
Aspetto il prelievo settimanale successivo e si ripete la stessa cosa. Pretendono che, se sto male, mando un familiare o un vicino di casa a ritirare i referti. Io non trovo persone disponibili in quanto lavorano e mi reco personalmente a ritirare più volte le risposte delle analisi, malgrado il mio stato di salute. Davanti a quel sacrificio forzato e senza senso decido di sospendere il servizio. Nelle settimane a seguire, raggiungo il presidio ospedaliero di Pescina per il prelievo, ma c’è tanta gente in attesa e il mio fisico è debole. Chiedo la precedenza allo sportello per invalidità, ma mi dicono che non sono provvisti. Non potendo restare ore in attesa, vado via e mi reco presso la clinica Immacolata di Celano dove trovo disponibilità alla precedenza, per regolarizzare l’ impegnativa e per il prelievo. Tra l’ altro mi viene data subito la risposta: in due ore. Nelle settimane a seguire continuo a recarmi a Celano, che da casa mia dista circa 20-25 km, fino a quando una mattina accuso un malore e sono costretta a farmi soccorrere e rinunciare ad uscire.
Mio fratello chiede appuntamento con il responsabile di tutte le ADI e si reca ad Avezzano per delucidazioni sul caso. Davanti a questa richiesta, il responsabile, con tono deciso, telefona a Pescina e redarguisce le responsabili del centro, obbligandole a darmi un servizio completo nel farmi i prelievi e nel darmi i referti tramite mail.
Riattivo il servizio, ma le responsabili non eseguono gli ordini dati ed è un continuo litigio. Stanca di questo trattamento, le invito per l’ ennesima volta a fare il loro dovere o sarò costretta a far valere le mie ragioni tramite giornali e denuncia alla procura. Da quel momento mi inviano su mail le risposte dei referti: dapprima in un giorno, poi in due. Quando si dimenticano sono costretta a sollecitare perché ho dei giorni stabiliti per inviare risposte al policlinico così da dare loro il tempo di valutare gli esami per sottopormi a chemioterapia.
Un altro problema più importante e gravissimo sono le medicazioni. Ogni volta arrivano le infermiere con una scarpa e una ciabatta, come si suol dire. Una volta manca il cerotto, una volta manca la mascherina copri picc, trovata poi sempre all’ultimo momento come stessero facendomi un gran favore. Invece è un mio diritto, molto importante per una igiene sicura. Da sottolineare, inoltre, che i cerotti a me danno allergia e prurito se non cambiati. Se la parte non viene disinfettata c’è il rischio di un’infezione pericolosa come la setticemia. Più volte è successo di dover andare a Roma con una mancata igiene del picc. Io in un primo momento non capivo, visto che vengo comunque medicata settimanalmente.
Il mistero lo capisco un mese fa quando per un problema di salute mi reco al pronto soccorso di Pescina dove un’ infermiera usa il picc per un prelievo e scopre che il talloncino sotto al picc è di una sporcizia indescrivibile. Mi chiede da quanto tempo non me lo cambiamo. Ovvio dico la verità: che non mi e mai è stato cambiato in un anno. L’infermiera si attiva a smontare tutto il picc, mettendo il talloncino pulito e ben disinfettato, e dicendomi di farlo cambiare ogni settimana come tutti gli elementi che lo ricoprono .
Ad oggi dopo un mese mi viene detto che non ce l’hanno e non mi è stato mai cambiato per lo stesso motivo. Mi dice l’ infermiera che manca spesso anche la mascherina copri picc e alla fine per me la trovano facendo salti mortali. Mi ha consigliato di comprare tutto su internet dato che non è in vendita in farmacia. Al suo stipendio non credo manchi un centesimo, nè a chi gestisce e lavora in questa ADI. Io cittadina malata a rischio vita devo comprarmi tutto? È come dirmi: se ti vuoi ricoverare portati il letto da casa.
Oggi questo mio sfogo è determinato dall’ennesimo sfregio ai miei diritti: questa settimana, forse, non mi vengono a medicare perché non hanno l’occorrente per le medicazioni. Cosa devo fare? Il mio pensiero va anche ad altre persone che vivono queste ingiustizie. Mi chiedo: se qualcuno si mettesse per un attimo al mio posto, come reagirebbe? Preciso che mio padre è stato con questi disservizi per anni, fino al 18 agosto dello scorso anno, quando è morto. In quel lungo periodo ha combattuto mio fratello litigando con tutti. Doveva prendere le flebo e altre cose, come il deflussore, in farmacia e cambiarli lui. Cose pazzesche succedono in questo mondo a parte. Chiedo che vengano rispettati i miei diritti e di chi, come me, sta vivendo già un dramma”.