In seguito all’approvazione della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia e con il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza nel 1931 (firmato dal re, dal ministro Rocco e Mussolini), l’articolo 2° specificava in proposito: «Il Prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica». L’articolo 18°, invece, puniva con l’arresto fino a sei mesi i promotori di riunioni o assembramenti in luogo pubblico. Oltretutto, il questore, a suo giudizio personale, poteva vietare, per ragioni di ordine pubblico o di sanità, le funzioni, le cerimonie, le pratiche religiose e le processioni. Ulteriormente, l’articolo 180° stabiliva le condanne per i sediziosi: «Il confino di polizia si estende da uno a cinque anni e si sconta, con l’obbligo del lavoro, in una colonia o in un comune del Regno diverso dalla residenza del confinato. Possono essere assegnati al confino di polizia, qualora siano pericolosi alla sicurezza pubblica: 1° gli ammoniti; 2° le persone diffamate ai termini dell’art.165; 3° coloro che svolgono o abbiano manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, o un’attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali» (1).
Precisa in proposito lo studioso Francesco Filippi: «In quest’ambito, enorme e affidato all’arbitrio dei questori, finirono tutte le notizie considerate disfattiste: mala gestione degli affari pubblici, scandali, inadempienze del governo; ma anche reati insoluti, perché mettevano in cattiva luce le forze dell’ordine, e disservizi dei servizi pubblici, come i casi di malasanità» (2).
Nella Marsica, sostanzialmente, furono allontanati attraverso queste nuove leggi i maggiori nemici del regime (in prigione o al confino sulle isole italiane), procedendo così verso un «culto del Littorio» di sfondo socio-politico, fatto d’importanti iniziative locali. Sicuramente poteva definirsi una “sacralizzazione” accentuata di fanatismo, secondo le circostanze e le organizzazioni dipendenti dalla sede centrale di Avezzano, che incitava alla promozione e al «perfetto inquadramento dei nostri giovani sotto le insegne del Littorio». Insomma, una «magnifica nuova fucina, ove si temprano le fresche energie della Nazione», come scrisse il corrispondente Osvaldo Rinonapoli (23 luglio 1931). Secondo lui, ancora una volta, i meriti principali della pianificazione fascista del territorio, andavano riconosciuti al segretario politico Umberto Iatosti, che dimostrò «finissimo fiuto nella scelta dei due camerati succedutisi nel comando del locale Fascio Giovanile». Era spalleggiato dal «primo camerata» Francesco Sferra, capitano già in trincea nel primo conflitto mondiale, fascista sin dal 1920 che manifestò dall’inizio una: «bella attività per i lavori preparatori, poi per ragioni di famiglia fu costretto a dimettersi; l’attuale è assai noto nell’ambiente fascista per il suo passato di completa dedizione alla Causa Rivoluzionaria». Una insistente azione di propaganda, fu attuata anche da Lamberto Del Rosso, un legionario fiumano amico di D’Annunzio: «e uno dei fondatori nel 1920, di questo Fascio primogenito della Regione, non appena chiamato dalla fiducia delle superiori gerarchie a sostituire il camerata Sferra, con tenacia senza pari, con amore sconfinato, ha speso per inquadrare il Fascio Giovanile nella nostra città, le sue migliori energie, dimostrando ancora una volta le sue non comuni doti di organizzatore e animatore».
Al momento, il fascio giovanile avezzanese era composto di circa trecento iscritti: «nella quasi totalità completamente equipaggiati, divisi in tre centurie, la prima delle quali è composta di elementi forniti di mezzi celeri». Ogni domenica, giovanotti in camicia nera, si radunavano nelle piazze marsicane per le indispensabili esercitazioni ginniche. Tra l’altro, l’articolo poneva l’accento che, ai bisognosi, si procurò subito un lavoro; ai meno abbienti
lo stesso comando fornì le divise acquistate con il ricavo di alcune serate di beneficenza, aggiungendo la seguente motivazione: «La camicia nera e il fazzoletto giallo-rosso distruggono le distanze sociali e formano un’unica, grande, amorevole famiglia. I giovani fascisti cantano le strofe di marcia dei veterani, continuano la tradizione squadrista e frementi attendono l’ora, in cui il Duce li chiami per cementare la loro fede nel nome della Patria» (3).
In questo periodo, senza mezzi termini, la retorica fascista dette notizia della nomina dell’avvocato Loreto Marcangeli che, dopo qualche mese di commissariamento del comune di Carsoli diventò, a furor di popolo, podestà. L’articolo trattava la sua figura come guerriero indomito e uomo di profonda cultura: «L’avv. Marcangeli, che nel nostro Comune gode di una popolarità tale da renderlo a tutti benvisto e a tutti caro per le sue raffinate doti, è un autentico combattente. Capitano di artiglieria, gregario fascista di fede indiscussa, ha riscosso la fiducia, oltre che di S.E. il Prefetto, anche del Segretario Federale che lo ha nominato Ispettore delle Federazione» (4).
La banda dei fasci giovanili marsicani
Nella stessa prospettiva «eroica» si svolsero le grandi manifestazioni dell’8 ottobre 1931con soldati ben motivati, pronti a marciare ordinatamente contro un prossimo nemico. Per questo, circa centoventi marsicani «facendosi distinguere per la disciplina, l’ordine mantenuto, l’ottima preparazione e grande entusiasmo», comandati da Lamberto Del Rosso, presenziarono a Roma uno dei tre reparti come rappresentanti della provincia aquilana. Mentre, la sera dello stesso giorno, a San Benedetto dei Marsi, il segretario politico Francesco Cerasani: «interpretando bene i voleri delle superiori gerarchie, ha rivolto loro la parola trasfondendo nella massa dei giovani fascisti quel ritmo di pensieri e di azioni a cui la Patria e il Duce affidane la continuità della rivoluzione fascista». Erano presenti alla manifestazione tutte le autorità civili e militari, tra cui: Nicola Tarquini (comandante la centuria della milizia locale); il dottor Giuseppe Abrami; il comandante della stazione carabinieri e tutti «componenti il Direttorio dell’O.N.D. [Opera Nazionale Dopolavoro]». Chiuse l’adunata, l’aiutante del fascio giovanile, Vittorio D’Onofrio, che sciolse la riunione «lanciando ancora una volta il grido di devozione e di fedeltà a Benito Mussolini» (5).
NOTE
- Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia (parte prima), 1056, Relazione e Regio Decreto 18 giugno 1931, n.773, Anno IX, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
- F.Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri editore, Torino 2019, p.121.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno IX – Roma, 26 Luglio 1931, p.2. Le organizzazioni dipendenti dal Partito ad Avezzano. Il Fascio Giovanile.
- Ibidem, Il nuovo Podestà di Carsoli.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno IX – Roma, 18 Ottobre 1931, p.5. I giovani fascisti marsicani all’adunata di Roma. La celebrazione dell’annuale dei fasci giovanili. Cfr. Gente Nostra, Illustrazione Fascista, Organo Ufficiale dell’O.N.D., Anno III – N.37, 13 Settembre 1931-IX.