Avezzano – Lo incontro in un bar e mi offre un caffè. Così un’intervista di lavoro diventa con Danilo Sacco una piacevole chiacchierata insieme ad un amico. Perché lui è così, un cantante, un autore, un “artigiano” , così ama definirsi, piuttosto che un artista, vicino alla gente e al pubblico che quotidianamente gli dimostra affetto e gratitudine per la musica che compone o i testi che realizza. Ed è questo quello che contraddistingue Danilo Sacco da molti altri artisti che invece si mostrano un gradino più in alto rispetto a quella folla cui in realtà devono tutto. “Sono troppi i colleghi che trattano il pubblico come denaro e non con rispetto, in fondo, la gente è quella che ti permette di non andare a zappare la terra, o no?”, commenta.
Classe 1965, Sacco raggiunge la fama nel 1993 quando entra a far parte della storica band dei Nomadi, al posto del fondatore scomparso Augusto Daolio. Dopo circa 20 anni di successi, il cantautore, divenuto monaco laico nel 2004 con il nome Kakuen (“zingaro perfetto”), decide di intraprendere la strada da solista e nel 2012 pubblica il suo primo album “Un altro me”, seguito nel 2014 dal secondo album solista “Minoranza Rumorosa”.
Manca poco all’uscita del suo nuovo lavoro e abbiamo deciso di incontrarlo per parlare dei suoi nuovi progetti, dell’Abruzzo, del calore della gente e della Marsica che diversi anni fa lo ha accolto e adottato come un figlio.
Terzo album da solista in arrivo, ci puoi anticipare qualcosa?
È in programma un terzo e un quarto album solista. Più che solista mi sento un componente di una band un po’ particolare insieme ad Andrea, Marco e Valerio con cui ho concluso due album. Il primo, che uscirà a breve, è composto esclusivamente da circa 13 inediti, fra cui uno del maestro Massimo Bubola e forse una sorpresa molto importante che per scaramanzia non svelo fin quando non sono certo della sua realizzazione. L’altro disco che volevo fare da tempo sarà composto da canzoni che mi sono reso conto di non aver mai inciso, quindi parliamo di brani di Guccini, reinterpretati e riarrangiati, fra cui la “Canzone della bambina portoghese”, mia icona in assoluto. Un disco di cover ma un disco di amori. Volevo fare un omaggio a questo grande, Francesco Guccini, da cui ho avuto davvero tanto, forse tutto. Per cui è un omaggio a lui ma è anche un regalo che faccio a me stesso.
Che uomo è, oggi, Danilo Sacco?
Sono un uomo semplice. “Prima ero giovane e stupido, adesso sono solo stupido”, ed è la verità. Non mi sento nient’altro che uno che deve ancora imparare tanto. Alla mia età ho scoperto di dover apprendere ancora molto ed è una bella cosa, perché se senti di essere arrivato in cima, in realtà sei morto, soprattutto per un “artigiano”. Io mi sento tale. “Artista” era Mozart, noi facciamo un buon artigianato (ride ndr) e l’artigiano ha sempre bisogno di nuovi stimoli. Sto già pensando al quinto lavoro. Devi restare sempre in movimento. C’è una bella frase che diceva sempre un maestro giapponese: “Osserva sempre l’anatra sullo specchio dell’acqua, sembra ferma, ma in realtà le sue zampe si muovono” .
Sicuramente avrai parlato del tuo rapporto con i Nomadi tantissime volte e ti avranno chiesto in che rapporti siete rimasti, ma ti chiedo, c’è stato un momento in cui hai pensato di tornare a far parte della formazione?
No, non c’è mai stato un momento. C’è stato un riavvicinamento dopo molto tempo, ma ormai la mia identità è un’altra e la loro è un’altra. Io personalmente non ho mai contattato a nessuno per dire che sarei voluto tornare. Non so se loro l’hanno mai pensato, non lo so.
C’è una canzone o un testo al quale sei particolarmente affezionato?
Ce ne sono tanti. Adoro “Canzone di una bambina portoghese” di Guccini, “Stranamore” del maestro e amico Roberto Vecchioni, tutto “Doppio Lungo Addio” di Bubola. Avessi dovuto scrivere una canzone avrei voluto scrivere “Biko” di Peter Gabriel, “Learning to fly” di Tom Petty…..ce ne sono tante.
Artisticamente parlando, c’è qualcosa che rimpiangi di non aver ancora fatto e che vorresti realizzare?
Rimpiango molte cose, anche se è meglio avere rimorsi che rimpianti. Rimpiango di non aver compreso, spesso, il fatto di essere stato usato quando invece pensavo di far bene il mio mestiere. Rimpiango di non avere capito al volo determinati personaggi, che mi hanno fatto perdere la poesia, di non aver pensato molto a me stesso. Sai, si pensa che chi faccia questo mestiere pensi solo a sé, in realtà, almeno per quanto mi riguarda, non è così. Ti annulli per far in modo che gli altri stiano bene. L’applauso è la tua vita quindi tu ti devi annullare. Dimostrazione del fatto che anche chi fa il mestiere più bello del mondo, in realtà, è una persona normale. Chi dice il contrario, mente! Siamo persone molto fragili, forse vorremmo essere tutte donne. Noi uomini non possiamo procreare, che è la cosa più importante dell’universo. Allora, sublimiamo questa voglia di creare con la musica. Crei qualcosa, che prima non c’era. Anche se non sarà mai la stessa cosa.
In realtà non sei abruzzese, ma ormai, da molti anni, sei marsicano d’adozione. Solo l’amore è stato galeotto per la tua permanenza?
“Nec sine marsis ne contra marsos triumphari possa”. La gente è eccezionale, a volte chi è marsicano non si rende conto di questo. Io provengo da un posto all’estremo nord dell’Italia, amo la montagna, amo il freddo, questo è il mio posto! La gente mi piace, è molto simile a noi piemontesi del sud. Per me non è cambiato nulla, mi è sembrato di essere a casa da sempre. Ho scoperto di essere più abruzzese di molti abruzzesi (ride ndr), magari in una vita precedente ero un marsicano!