“Mi chiamo Mario, e sono un bambino disabile. Non posso camminare e perciò devo spostarmi seduto sulla mia sedia a rotelle”. Comincia così il racconto di Mario, alunno di una scuola primaria. “Ho 11 anni e frequento la 5ª elementare, mi piace imparare e stare insieme ai miei compagni. A fine ottobre dovevamo andare in gita a visitare una fattoria didattica in un altro paese, ma la scuola ha detto a mio padre che non poteva pagare l’autobus con la pedana per farmi salire e scendere, perciò se volevo partecipare, avrebbe dovuto accompagnarmi lui”.
Il padre di Mario si indigna, ripete la richiesta che suo figlio viva una vera integrazione, che partecipi con gli altri, come la legge prevede, un’integrazione che lui, con tutta la sua famiglia, a partire dalle piccole cose quotidiane, si sforza ogni giorno di realizzare. “La scuola ha deciso di annullare la visita alla fattoria didattica e di mandare me e gli altri bambini, per la terza volta consecutiva, a visitare la faggeta vetusta in alta montagna. Però io non ci posso arrivare, là sopra, perciò avrei dovuto rimanere lungo la strada asfaltata ad aspettare che i miei compagni tornassero dall’escursione”.
Gli insegnanti della scuola si sono opposti a questa decisione, discriminatoria oltreché umiliante per il piccolo e diseducativa per l’intero gruppo degli alunni. L’uscita didattica è stata cancellata.
“Mi sento in colpa”, conclude mortificato Mario, “perché per causa mia adesso anche i miei compagni devono rinunciare alla gita, e ogni anno è sempre lo stesso”. I genitori di Mario hanno chiesto un ulteriore confronto con la dirigenza scolastica, per trovare una soluzione che permetta ai bambini, tutti, di fare un’uscita didattica insieme.
Mario è un nome di fantasia. Tutto il resto è, purtroppo, vero. Mario – continueremo a chiamarlo così – è un alunno di una scuola dell’area sud della Marsica. Un plesso che accoglie bambini di più centri e frazioni. La realizzazione dell’integrazione scolastica è un diritto sancito dalla legge, è la battaglia di tanti genitori, madri e padri che aprono gli occhi a un nuovo giorno sapendo che per il loro figlio lavarsi, vestirsi, fare colazione, seguire la lezione sui banchi di scuola – arrivarci, a quel banco di scuola – atti quotidiani e normali per ogni bambino, ragazzo, saranno già parte di una scalata, perché per il loro figlio ogni salita quotidiana è un po’ – o tanto – più impervia che per gli altri. E allora è festa per ogni gradino, ogni salita superata, ogni giorno.
Sono loro, questi genitori e i loro figli, sconosciuti e silenti eroi del quotidiano, che ci ricordano che è, oltre e prima che una battaglia per diritti riconosciuti dalla legge, una battaglia di civiltà, la stessa che si misura, in una società civile che voglia dirsi tale, dalla sua capacità di non lasciare indietro nessuno, di riconfermare il valore della sua umanità attraverso la tutela e il riconoscimento del valore inestimabile di ogni essere umano, garantendo a quanti sono svantaggiati tutte le risorse e le condizioni per una vita dignitosa, al riparo dall’offesa della ghettizzazione e della negazione dei diritti fondamentali.
L’auspicio è che Mario possa iniziare la sua presentazione, un giorno, con “Mi chiamo Mario, sono un bambino, mi piace imparare e stare con i miei compagni”, non perché possa sparire il problema che lo costringe su una sedia a rotelle, ma perché la sua condizione di svantaggio sia, davvero, in secondo piano rispetto a un quotidiano e a una collettività in grado di accoglierlo e integrarlo realmente. Si può sperare, da una collettività che viene rappresentata, anche, da quei docenti che si oppongono a certe scelte, a certe discriminazioni, come quelli che sono tra i protagonisti di questa storia. Una storia che continueremo a seguire, e di cui vi daremo aggiornamenti.