Scrivere poesie è accompagnare alla porta dell’anima per vedere ciò che siamo veramente; è accogliere in noi l’alterità dell’altro nel messaggio universale della speranza.
La cura dello sguardo purificato dal narcisismo edonistico permette di tornare a sentire, a sentirsi, a vedere e a vedersi per riscoprire il mondo con i sensi come fanno i bambini per cogliere la meraviglia dello stupore. Anche i simbolisti francesi facevano dell’arte poetica fuoco sacro dello spirito: ”La poesia è la preghiera scritta dai poeti per curare il mondo dalla mancanza d’amore” (A. Rimbaud). L’uomo è costretto a portare il personale dramma della vita e per alleggerirne il peso deve aggrapparsi alla immobile luminosità dell’immenso leopardiano superando la siepe del materialismo. Come scrisse Giovanni Paolo II: “donne, bambini, soldati, tutti si aggirano nei confini di Dio”. Nella nostra epoca travagliata da mille problemi le narrazioni della speranza sono state soffocate nel silenzio atroce dell’indifferenza. Necessita codificare nuovi alfabeti che siano capaci di comunicare i bisogni veri ed essenziali dell’uomo di tutti i tempi per cogliere nella promessa il mistero inesauribile della fede. I poeti e non solo i filosofi da sempre sanno che per essere felici bisogna avere qualcosa in cui sperare guardando più spesso il cielo ma anche gli occhi dei fratelli quaggiù. Come disse il Premio Nobel per la letteratura nel 1998 Josè Saramago nel sostenere che non cercava negli altri il corpo ma i sentimenti: “Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste un’anima”. Il bisogno di credere nella fratellanza solidale ha caratterizzato la poesia del novecento tra le due guerre mondiali. Ungaretti, il poeta soldato, ha fatto dei suoi versi, nati dalla tragedia della trincea, strumento salvifico contro la fragilità umana:
“Di che reggimento siete/fratelli?/Parola tremante/nella notte/Foglia appena nata/Nell’aria spasimante/involontaria rivolta/dell’uomo presente alla sua/fragilità/Fratelli”.
Il fascino senza tempo della sua scrittura continua ad interessare le nuove generazioni che, immergendosi nel suo universo, ritrovano l’attualità nefasta di un mondo senza pace nell’incapacità dell’uomo di sentirsi membro di una stessa famiglia. Dopo la sua conversione al cattolicesimo, Ungaretti coglie il misticismo delle parole con le domande esistenziali alla ricerca di un Dio dove ancorare la sua speranza:
“Dio, guarda la nostra debolezza./Vorremmo una certezza/…/ Non ne posso più di stare murato/Nel desiderio senza amore”.
L’ultimo libro di Papa Francesco titolato “Viva la poesia!” a cura di Antonio Spadaro, direttore della rivista dei Gesuiti, la poesia si fa esortazione apostolica per dare voce a tutto ciò che l’essere umano vive, sogna, soffre per fare del bello, del vero e del giusto armonia divina. Il Pontefice definisce la fatica dei poeti lavoro evangelico capace di comprendere Dio come grande poeta dell’umanità. Infine esprime, in una nota personale al curatore del volume, il desiderio che la poesia ”salga in cattedra in tutte le istituzioni accademiche pontificie” e continua:
“comprendere le metafore aiuta a rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto. Chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore”.
Dalla lettura del testo si evince l’intelligenza letteraria del Pontefice non solo per le sue conoscenze erudite, i suoi studi accademici e gli anni di insegnamento, ma soprattutto per una particolare sensibilità lirica. Il suo cuore addolorato per le nazioni in guerra è tuttavia aperto al miracolo della speranza nella costatazione che il dolore porta al mistero della redenzione:
“come un uccello che vola nella rete delle stelle” (Jaroslav Seifert).
Teologia e antropologia nella luce della poesia rivelano la presenza nella nostra vita di un Dio dalla paterna premura che ci prende per mano con infinita tenerezza sostenendoci nel viaggio esistenziale.
La speranza guida tutti ed ognuno nella certezza di essere amati. Nel sogno di Maria Papa Francesco ci invita, per l’anno giubilare, ad accogliere il dono della speranza a metterci in cammino con lo stupore dei pastori di Betlemme con lo stesso stupore dei poeti nell’innocenza dell’eterno ritorno del bene.
Del resto il Papa nonostante gli anni e la cagionevole salute con il suo esempio invita tutti al coraggio per vincere la sterile rassegnazione, come direbbe Sant’Agostino, sdegnandoci per cambiare le cose che non vanno e per diventare cittadini della città celeste.