Luigi Federzoni, riprendendo in parte gli argomenti esposti al «Consiglio dei Ministri» (8 ottobre 1925), spiegò che l’introduzione del «Podestà» era giustificata dalla condizione disastrosa in cui versavano moltissimi comuni, i quali avevano in pratica smesso di funzionare a causa delle continue dispute scatenate dalle fazioni rivali in lotta sul territorio (si ricordi che Avezzano aveva avuto ben quattro commissari prefettizi). Secondo il suo parere, il legittimo accentramento del potere nelle mani di un solo individuo, immune dalle passioni di parte, sarebbe stato in grado di mettere fine alle discordie, personificando così la figura di un pubblico ufficiale irreprensibile. Naturalmente, tutto ciò avrebbe rappresentato: «un restringimento dell’autonomia locale e, tuttavia, richiamando talune non meglio precisate nuove correnti dottrinali, il ministro contestava il principio secondo cui l’autarchia risiedesse esclusivamente nella elettività degli amministratori» (1).
Nel lungo dibattito parlamentare, intervennero anche Maraviglia, Salerno, Pisenti e infine il deputato Luigi Maccotta, perfettamente solidale con gli argomenti esposti da Federzoni. In particolare, egli smentì ogni pregiudizio sul nuovo podestà, che non era concepito come un despota «che concentrava in sé tutti i poteri feudali, ma come un capo autonomo e indipendente, che ricongiungeva alla tradizione del Rinascimento».
Il 20 gennaio 1926, dopo una lunga discussione, fu presentato in proposito il disegno di legge dal relatore Angiulli. L’onorevole, alla presenza di Mussolini, affermò che: «i rapporti tra Stato e comuni non dovevano essere antitetici ma armonici sul piano ideale e quello pratico […] Occorreva far rivivere questa figura nelle forme richieste dai nuovi bisogni della vita sociale» e non come una contrapposizione basata fra tradizione amministrativa romana e quella germanica (2).
L’istituzione del «Podestà», quindi, che sostituì la tradizionale figura del sindaco, venne introdotta con la «Legge n. 237 del 4 febbraio 1926» e, inizialmente, si applicò soltanto ai comuni con popolazione sino ai cinquemila abitanti. Qualche mese dopo, invece, con il «Regio Decreto Legge n. 1910, 3 settembre 1926», la figura del «Podestà» fu estesa a tutti i comuni d’Italia. In tal senso, la riforma podestarile voleva cambiare, secondo i dettami ideologici del regime, il «falso concetto dell’autonomia locale»; ovvero, impedire che il potere locale fosse rivolto contro lo Stato.
Di là dai buoni propositi, fu evidente che questa innovazione andava a colpire direttamente la democrazia comunale ma si configurò, secondo l’interpretazione fornita dallo storico Loreto Di Nucci, anche come un «momento della costruzione dello Stato totalitario» (3).
Nel mese di giugno 1926, la nuova problematica provocò serie discussioni fra i vertici cittadini di Avezzano, i quali cominciavano «a fare anche dei nomi e a formulare delle aspirazioni per la nomina del Podestà». Qualcuno, durante le intense polemiche, fece rilevare che la città in passato ebbe: «numerosi amministratori che, senza mantenere intatto lo spirito di rigida intransigenza di ogni buon fascista, serbò inalterati legami di devozione a passate situazioni». C’era bisogno, quindi, che il municipio di Avezzano fosse «affidato in mano ad una persona d’intelletto e di fede, capace, colta, attiva e soprattutto d’indiscutibile fede fascista». In particolare, secondo il parere di personalità ben note in città, il fascismo aveva: «i suoi uomini per poter scegliere e pertanto tutti erano certi che la scelta delle superiori gerarchie del Partito e del Prefetto saranno certamente felici».
Come già detto, in conseguenza delle modificazioni apportate alla legge sull’istituzione del podestà, fu stabilito che la norma: «sarebbe stata estesa anche ai Comuni con una popolazione ai 5.000 abitanti, ma che si trovino in zone terremotate ed abbiamo avuto il bilancio integrato dello Stato». Il giornalista di turno aggiunse all’articolo queste parole: «anche nella nostra città dovremmo avere il Podestà. La legge è venuta propizia». Tuttavia, il primo podestà di Avezzano fu nominato solo più tardi nel 1930, nella persona di Orazio Cambise. Seguirono in ordine crescente: Nino Paolini nel 1933, Silvio Bonanni nel 1937 e Aurelio Irti nel 1943 (4).
Anche l’avvocato Mameli Tarquini di Pescina, fascista conosciuto e apprezzato «per le sue doti di cuore e di mente, per il suo carattere franco, per la sua dirittura morale, per la fede ardente di umiltà di devozione e di dedizione», fu nominato podestà nei primi giorni di marzo 1927. Il partito lo premiò, soprattutto, per i suoi trascorsi, quando era stato nominato fra i massimi dirigenti della provincia: «Così Mameli Tarquini riprende oggi il suo posto, meritato; esce dal riserbo; dal silenzio che disciplinatamente si era imposto, per nuove battaglie, verso nuovi ideali con fede immutata. E noi con fierezza di camerati, con gioia d’amici, salutiamo Mameli Tarquini che, siamo sicuri, continuerà il suo cammino, guidato anche dall’ombra luminosa del genitore che tutto sacrificò per la famiglia e per la Patria». Questo furono le parole espresse con orgoglio dai vertici del regime (5).
Commentando le nomine più importanti espresse nel comprensorio marsicano, Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, dette ampio spazio alle richieste dell’intera cittadinanza di Tagliacozzo, che volle come suo podestà «il rag.Domenico Amicucci, fratello dell’onorevole Ermanno, Deputato in parlamento». D’altra parte, scrisse il redattore dell’articolo: «Domenico Amicucci, appena ventisettenne è stato un vero fascista serio, equilibrato, di fede incrollabile e intelligente. Nel 1922 fondò il Fascio di Tagliacozzo, di cui fu il primo Segretario Politico. Rivestì per due volte la carica di Consigliere Comunale. Magnifico squadrista partecipò alla Marcia su Roma quale comandante di Centuria. Propagandista e fondatore di molti Fasci nella provincia, ebbe incarichi delicati e di fiducia. Nel 1922 era stato Vice Segretario generale dei Sindacati fascisti per la Provincia di Aquila e organizzò forti nuclei sindacali. Nel febbraio del 1923 venne nominato Centurione della M.V.S.N. [milizia volontaria sicurezza nazionale] e assunto in attività di servizio presso la 132ª Legione. Nel settembre del 1923 partì volontario con la 132ª legione per la Tripolitania. Nel 1923 fu anche Commissario al Comune di Tagliacozzo. Giovane coraggioso, energico, intelligente e soprattutto modesto, rinunciò a parecchi incarichi importanti e onorifici. Ultimamente, ad esempio, alla carica di membro della Federazione fascista aquilana. Ora Tagliacozzo ha, nel rag. Domenico Amicucci, un Podestà giovane, operoso, fattivo, che si prefiggerà, ne siamo certissimi, solo e unicamente il bene del Comune e della cittadinanza. Tagliacozzo si attende dall’opera intelligente e sagace del nuovo Podestà, la risoluzione di molti importanti problemi di capitale interesse. Siamo certi che il ragioniere Amicucci, coadiuvato da pochi ma volenterosi elementi, saprà efficacemente condurre a compimento un sano programma di amministrazione e ricostruzione cittadina». La sua nomina, voluta a clamore di popolo, fu salutata con simpatia soprattutto per i suoi meriti politici.
Altri podestà designati nella Marsica, furono: Carlo Valente a Carsoli, Corrado Martellacci a Pereto e Rocca di Botte, Tullio Di Pietro a Trasacco, l’avvocato Alfredo Tomassetti a Magliano, Orazio Rossi a Collelongo, Giacomo Colacicchi a Villavallelonga e Stefano Mercanti a Cerchio (6). Ampia risonanza ebbe la nomina dell’avvocato Tullio Di Pietro, definito: «Un autentico combattente fascista, che per ben quattro anni al fronte col grado di tenente di fanteria, ha preso parte ai più forti attacchi col nemico». Oltretutto, in seguito: «Durante lo sciopero generale proclamato dai Rossi, fu nominato Membro del Comitato antibolscevico arruolandosi come fattorino unito ad altri suoi amici, durante lo sciopero». All’atto dell’insediamento al comune di Trasacco (16 maggio 1926), fece pubblicare il seguente manifesto: «Cittadini! Fiero dell’alta fiducia concessami, chiamo a raccolta la profonda fede fascista ed il luminoso spirito patriottico che animò nei momenti di maggior cimento questa cittadina unica, senza macchia di rossi esperimenti. La forza della Nazione non può prescindere da voi, e voi risponderete con le tradizionali nobiltà del lavoro, della fede e della disciplina che vi misero all’avanguardia della rivoluzione fascista. Per un nuovo luminoso cammino della nostra Patria. A noi!».
Anche per il podestà di Cerchio furono organizzate manifestazioni di forte consenso popolare, terminate con un sontuoso banchetto: «Il 23 maggio i maggiorenti del paese vollero festeggiare il neo-podestà Signor Stefano Mercanti preceduto da fama di valoroso capitano in guerra ed integerrimo amministratore» (7).
Chiuso l’excursus necessario per illustrare sommariamente questa nuova figura introdotta dal governo fascista, riportiamo altre due interessanti notizie a completamento delle vicende avezzanesi: il sindacato forense espulse dalla propria organizzazione il procuratore Augusto D’Andrea, poiché aveva svolto attività contrarie alle direttive del partito nazionale fascista «partecipando alla formazione di una lista di opposizione, ispirata da noti sovversivi e composta di elementi antinazionali».
Invece, i ferrovieri di Avezzano, che per i loro sentimenti patriottici di sobrietà e rettitudine avevano destato unanime ammirazione, riuscirono finalmente a costituire un dopolavoro ferroviario in maniera ammirevole (8).
NOTE
- Atti Parlamentari, Camera, Legislatura XXVII, Sessione 1924-25, Documenti, Disegni di legge e relazioni (n.609-A), seduta del 21 novembre 1925, pp.1-39.
- Atti Parlamentari, Senato, Legislatura XXVIII, I Sessione 1924-1926, Documenti, Disegni di legge e relazioni (n.308-A), pp. 1-2-9.
- L.Di Nucci, Il podestà fascista. Un momento della costruzione dello stato totalitario, in «Ricerche di Storia Politica», n.1, 1998, pp.12-21.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno VIII – Num.616 – Roma, 6 Giugno 1926, Corriere di Avezzano, Per il Podestà.
- Ivi, Anno IX – Num.687 – Roma, 10 Marzo 1927, Il Podestà di Pescina: Avv.Mameli Tarquini, p.2.
- Ivi, Anno IX – Num.688 – Roma, 13 Marzo 1927, Il Rg.Domenico Amicucci, Podestà di Tagliacozzo, p.3. Cfr. Il Messaggero, Anno XLIX – N.125 – Sabato, 25 Maggio 1927.
- Il Messaggero, Anno XLVIII- N.123- Martedì, 25 Maggio 1926, p.8; Id., Anno XLVIII-N.130, p.8, Mercoledì, 2 Giugno 1926, Da Cerchio. In onore del Podestà.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno VIII – Num.616 – Roma, 6 Giugno 1926, Corriere di Avezzano. Nel Sindacato Forense. La Casa dei Ferrovieri.