“Pasmeva i callaron”, correva l’anno 2009″. A Collelongo la festa di Sant’Antonio Abate nel folklore tra sacro e profano: riflessioni della scrittrice dei Marsi Maria Assunta Oddi

Nella galleria fotografica abbiamo selezionato le immagini dell’edizione 2009 della festa di Sant’Antonio Abate a Collelongo, per accompagnare le riflessioni della scrittrice Maria Assunta Oddi.

Il 17 gennaio si celebra Sant’Antonio Abate una delle figure più amate della cristianità e della vita popolare agro-pastorale. Venerato come protettore degli animali domestici è raffigurato con essi nell’iconoclastia religiosa. Non c’era stalla, pollaio o rimessa delle derrate alimentari che non avesse in bella mostra la sua immagine. Anche nei paesi marsicani il Santo è festeggiato tramite vari riti e tradizioni : con “focaracci” accesi in suo onore, con la benedizione degli animali domestici e delle trattrici agricole, con la distribuzione di “panette” e di granturco cotto nelle antiche “cottore” i famosi “cicirocchi” dal latino cicer crocus, con canti corali sovente in vernacolo, con l’esibizione in processione delle conche in rame addobbate dette “rescagnate”, con la visita agli altari dedicati al monaco eremita e con la partecipazione a messe solenni.


Una inusitata convivialità apre le porte delle abitazioni con un’ospitalità gentile e generosa per celebrare il santo anacoreta. Per le strade affollate insieme alle autorità civili ed ecclesiastiche si incontra un folto pubblico di persone che partecipa attivamente alla festa vivendo momenti di socializzazione a volte goliardica. Il famoso antropologo Alfonso di Nola ricordava nei suoi scritti che il rituale delle cosiddette “cottore”, presente in tutti i paesi marsicani , all’inizio era praticato solo dalle agiate famiglie patriarcali per ostentare l’opulenza e nel contempo in riparazione dei peccati tramite la donazione ai poveri di un cibo essenziale condito con lardo. Lo storico Angelo Melchiorre invece fa derivare l’origine delle “ panette” alla remunerazione del lavoro svolto per organizzare la festa sia dai paesani che dal sacerdote.

Oggi, al di là delle motivazioni socio-economiche legate alla crisi meridionale dopo l’unificazione dell’Italia, al brigantaggio, all’indigenza di una popolazione uscita dalle guerre mondiali, la festa sopravvive anche se innovata nelle finalità e negli intenti. Basti pensare a come Giovanni Bronzini, da esperto filosofo, mostri la dinamicità della cultura tradizionale che, se per un lato sopravvive in modo reviviscente nella vita collettiva, dall’altro celi un dinamico “rapporto tradizione-innovazione”.

Del resto come diceva Antonio Gramsci dai “Quaderni del carcere” la tradizione svanisce nel tempo se non viene storicamente dimensionata, perché è la storia a condizionare la funzione e i valori, non eterni del “popolare”: “ Il folclore non dev’essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio”. A mio avviso a questo punto è necessario auspicare nuova e perenne vita alle nostre tradizioni popolari, a tutte e in particolar modo a quella di Sant’Antonio Abate, capaci nel mondo virtuale di promuovere vera relazione sostanziata nei problemi reali dell’operare umano.

Lasciatemi concludere con alcuni versi in dialetto in rima baciata del poeta di Collelongo, nato il 19.10.1903, Pasquale Cianciusi.

Mò i tempe so cagnate
ma pe Sant’Antonnie Abbate
ce sta sempre, cesta ancora
la panetta e la cuttora
”.

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