A metà del 1927 il regime fascista fu costretto ad adottare una serie di provvedimenti molto rilevanti: «per cercare di impedire l’aggravarsi della situazione economica e per affrettarne l’assestamento. Urgente era soprattutto sostenere la produzione, favorire la riduzione dei costi e dei prezzi, adeguare quelli al minuto a quelli all’ingrosso, promuovere i salari e porre un freno alla disoccupazione». Nonostante ciò, nei mesi successivi, la situazione peggiorò notevolmente e la congiuntura non mostrava segni di miglioramento. In questa prospettiva, i principali provvedimenti presi dal governo furono tre: «la riduzione dei canoni d’affitto, l’alleggerimento del carico fiscale e la riduzione dell’indennità caro-vita e dei salari […] Oltre a ciò i Comuni furono autorizzati a fissare i prezzi dei principali generi di consumo» (1). Nonostante ciò, il prezzo dei generi di prima necessità continuava a essere elevato e non poteva competere con i salari percepiti: «malgrado la tenace azione calmieratrice degli organi tecnici e delle Autorità». Rimasero comunque fiduciosi gli industriali, quando il governo emanò finalmente la «Carta del Lavoro», stabilizzando la moneta a quota novanta (2).
Di fatto, i dazi interni, specie nei centri urbani, rappresentavano un complesso di tributi peculiari che colpivano il consumo dei beni di prima necessità, di consumo generale ma non necessario, di lusso e perfino le materie prime (ferro, acciaio, legnami, materiali laterizi, marmi, pietre, calce, gesso), con saggi diversi secondo la natura degli oggetti tassati e delle facoltà concesse dalla legge ai municipi. Gli effetti, quindi, furono i più disparati. I dazi sulle carni, sulle bevande, sui commestibili, sugli oli vegetali, sul carbone, sulla legna, rappresentavano altrettante tasse di «capitazione o duplicazioni d’imposte inversamente progressive»; quelli sul vino e sui prodotti alimentari non necessari ne contraevano il consumo.
Queste indicazioni e la necessità di trattare tutto il complesso di problematiche almeno nei suoi aspetti più espressivi e più legati alle vicende territoriali, indusse un’inchiesta giornalistica intitolata: «Per la riduzione dei prezzi nella Marsica», al fine di ribadire che «La crociata contro la vita cara è in marcia». Tale procedimento giustificò un’indagine a tutto campo promossa da Nicola Amore De Cristofaro. Il segretario generale della delegazione mandamentale fascista dei commercianti, richiamò quindi alla mobilitazione i volenterosi marsicani che producevano e che consumavano, con queste esplicite parole: «Tutti gli egoismi debbono essere combattuti con tutti i mezzi. I commercianti della Marsica, sono nei confronti di simili battaglie dei veri eroi. Essi sono sempre i capri espiatori della lotta contro la vita cara; ad essi sono imposti sacrifici sconosciuti; nondimeno essi marciano alla testa delle altre collettività dando il loro contributo di sacrificio con slancio e con sincera devozione alla Patria!». In realtà, egli credeva che, se ogni attività fosse stata disciplinata e debitamente controllata nei suoi introiti e nelle sue uscite (come il commercio di Avezzano), la città poteva essere un luogo: «più a buon mercato, dall’onestà commerciale la più rigida! Ma nella presente lotta il commerciante di Avezzano non può dare più di quello che ha già concesso, assecondando le direttive provvide e sagge del Governo Nazionale. I commercianti della nostra Regione in un ordine del giorno votato presso l’organizzazione fascista dei commercianti di Avezzano dichiararono che avrebbero effettuati altri ribassi, qualora si fossero ribassati anche fitti, luce e tasse».
L’attento relatore toccò in questo momento critico, un argomento davvero urgente e delicato, almeno per chi credeva di puntare il dito accusatore: «soltanto sopra la categoria dei commercianti, sul cui patriottismo non vi è alcun dubbio, perché si sono sottoposti volenterosamente a tutte le discipline che avvantaggiano l’economia nazionale, e quindi loro stessi, ed hanno già dato prova del loro alto spirito Nazionale, facendosi in primissima linea nella sottoscrizione al Prestito Littorio. È quindi naturale che le Autorità considerino con obiettività che il sacrificio che oggi si richiede deve essere comune». Tuttavia, occorreva al più presto raggiungere un giusto e necessario accordo attraverso: «un’intesa tendente a stabilire la giusta misura del corrispettivo da parte del commerciante e l’onesta interpretazione da parte degli appaltatori della Legge e dei regolamenti sul Dazio di Consumo». Sicuramente, c’erano ancora altri punti da chiarire, dopo diversi reclami presentati dai commercianti a proposito dell’applicazione dei diritti accessori, laddove: «l’intera classe dei commercianti di Avezzano, che prendono vivo interesse nell’importantissima questione che aggrava di molto il nostro commercio, e quello che più conta l’interesse dei consumatori, i quali debbono pagare molti generi di prima necessità con un doppio dazio». Poi, De Cristofaro aggiunse: «Riferendomi specificatamente ad un caso prospettato da un nostro socio, osservai che l’Amministrazione Daziaria applica i diritti accessori nella stessa misura dell’importo del Dazio, di modo ché gli appaltatori hanno applicato nella stessa misura l’importo su tutti gli altri generi soggetti a Bollo, come ad esempio sul baccalà, conserve, sapone, pesci in scatola, ecc.». Il problema appena posto dall’insigne rappresentante in merito al vigente regime tributario subito dai commercianti del circondario di Avezzano, rivestì particolare importanza, poiché, secondo la sua serrata indagine, tutti si lamentavano per l’eccessivo fiscalismo degli agenti delle imposte e, appunto per questo, egli cercò di richiamare la vigilanza: «di chi di dovere perché la questione venga esaminata con ogni attenzione. Spesse volte, anzi tantissime volte gli Agenti delle Imposte, nei riguardi di tassazione a carico dei commercianti sono stati senza alcun riguardo. In nessun conto viene tenuta a natura dell’esercizio gestito ed il conseguente gettito in reddito. Ma se ciò non bastasse, semplicemente perché un commerciante ha un negozio, viene tassato per un reddito enormemente superiore a quello effettivo senza considerare la natura dell’esercizio, la quantità di merce che si vende, il numero limitato della popolazione che poco o quasi nulla può spendere ed infine la contingenza e gli usi derivanti dalla povertà, nella quale si assommano tutti coloro che spendono, o che comprano a credito». Per il segretario della delegazione mandamentale, tali sistemi andavano aboliti, come pure gli accertamenti dovevano: «essere larghi e meditati, perché è dovere degli Agenti delle Imposte di rendere la loro vita, all’infuori delle necessità pratiche, studiosa osservativa dei fatti e dei metodi economici». D’altronde, consultando l’elenco dei contribuenti marsicani stilato dal ministero delle Finanze, egli rilevò con grandissimo stupore: «la sperequazione negli accertamenti. Un commerciante di Roma di generi alimentari, in proporzione non paga un reddito superiore ad un Commerciante di Avezzano. Questa non è una mia asserzione gratuita, ma ripeto è un rilievo che io ho fatto osservando l’elenco dei contribuenti privati possessori di redditi incerti e variabili». Per lui era inconcepibile che gli agenti delle tasse non avessero tenuto conto dei controlli praticati in altre città d’Italia, dove il commercio era sicuramente più florido e la crisi minore. Oltretutto, si augurò che nella Marsica intera si potesse ritornare: «alle norme di una buona e santa giustizia distributiva ed all’equità ed alla considerazione delle particolari difficoltà del commercio e dell’industria», con la convinzione che queste sue osservazioni non costituivano affatto una disubbidienza civile «ma, si rassicurino i sigg. Agenti delle Imposte, la classe commerciale di Avezzano, come quella di tutta l’Italia, non è tale da ricorrere all’illegalismo e si contenterà, come lo fa, di tutelare ogni suo interesse e diritto con i mezzi consentiti a chi disciplinatamente fa parte delle organizzazioni sindacali fasciste». Infine, augurando una prossima rinascita del commercio marsicano, ribadì: «L’organizzazione di Avezzano non sarà seconda a nessun’altra nel comprendere le elevatissime e lungimiranti finalità del Governo Nazionale, con la sua assoluta dedizione all’opera veramente romana del Duce magnifico. E le nostre fatiche di oggi riusciranno efficaci per il benessere di domani» (3). Evidentemente, le osservazioni del segretario generale De Cristofaro, portate alla ribalta per alleggerire il carico fiscale dei municipi marsicani, non caddero nel nulla.
Il consiglio direttivo della «Delegazione Mandamentale Fascista dei commercianti di Avezzano» si riunì in seduta straordinaria il giorno 14 maggio 1927, allo scopo di discutere sul ribasso dei prezzi al consumo ed esaminare così una sollecita attuazione di provvedimenti diretti a favorire: «l’opera del Governo Nazionale per la rivalutazione della Lira e per la diminuzione del costo della vita». Il giorno sedici, invece, furono convocate dal presidente di delegazione (Pietro Camathias), tutte le categorie dei commercianti, alla presenza del segretario circondariale De Cristofaro e del rappresentante del commissariato di pubblica sicurezza Bruni. Caffè, bar, negozi alimentari e di confezioni «accettarono disciplinatamente la riduzione dei prezzi per contribuire all’opera che il Governo Nazionale aveva intrapreso» (4).
L’anno dopo (1928) l’onorevole Cesare Genovesi, riprendendo le proposte di Giovanni Celesia, nel suo intervento alla Camera dei Deputati, affermò: «Può pensarsi a trasformare il dazio di consumo in un’imposta generale sui consumi da pagarsi al momento in cui avviene o si presuppone avvenga il primo trasferimento di proprietà delle merci tassate; oppure ad estendere la tassa di bollo sugli scambi ai generi ora esistenti, distribuendola parzialmente ai comuni, in ragione di popolazione ed importanza dei comuni stessi» (5). In effetti, forse questa era la soluzione da adottare per sgravare anche i municipi marsicani dall’oppressione degli agenti del fisco.
NOTE
- R.De Felice, Mussolini il fascista, II. L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Giulio Einaudi editore, Torino 2019, pp.239-241. Per i commenti fascisti più appropriati all’evolversi della situazione si veda: A.De Stefani, Colpi di vaglio. Commenti sulla finanza del 1927, Milano, 1928
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Direzione Affari Generali e Riservati (1927), b.109, nel fascicolo intitolato: Statistica mensile delle agitazioni e astensioni dal lavoro si leggono i dettagli di un lungo rapporto, nel quale si raccomanda alla Pubblica Sicurezza di reprimere con prontezza «qualsiasi atto inconsulto che possa menomamente turbare l’ordine pubblico».
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno IX – Num.716 – Roma, 30 Giugno 1927, Per la riduzione dei prezzi nella Marsica. La legge dei dazi di consumo era stata approvata con regio decreto 16 gennaio 1927, n.126 (Gazzetta Ufficiale n.39 del 17 febbraio 1927).
- Il Messaggero, Anno XLIX – N.117 – Giovedì, 19 maggio 1927, p.6, Corriere di Avezzano. Per il ribasso dei generi, Avezzano, 18.
- Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, 1ª Sessione, Discussioni, Tornata del 23 Maggio 1928, p.9075.