La poesia da sempre rappresenta la speranza come metafora del silenzio che con i suoi metodi di introspezione e insieme di svelamento profetico riesce
a superare le tragedie del presente. Basti ricordare le poesie di Giuseppe Ungaretti che cantano la pace, nel secolo buio delle guerre mondiali, per capire come le analogie possano consentire la scrittura inedita di un mondo nuovo. Basti ricordare i sapienti versi dedicati al padre da un giovanissimo Salvatore Quasimodo per fare, dello sgomento tragico del sisma di Messina, resilienza e coraggio. Basti ricordare la vita dello scrittore Ignazio Silone, drammaticamente segnata dal terremoto che sconvolse la Marsica nel 1915, per celebrare il riscatto dell’uomo dando voce alla bellezza della parola.
Oggi 13 gennaio facciamo memoria del terremoto di Avezzano di 110 anni fa, durante il quale persero la vita 30 mila persone, non potendo ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti, tramite la “scrittura” della “rimembranza” che, come diceva Giacomo Leopardi, è essenziale ad unire le generazioni tramite il sentimento.
In questa lirica la nostra conterranea Maria Assunta Oddi fa della memoria ricordo indelebile degli affetti più cari anche se per sempre perduti. Versi che ci ricordano come ognuno di noi abbia qualcosa di forte dentro di sé che sopravvive al dolore superando le avversità per costruire un futuro migliore.
Tra le macerie
Tra le macerie ho ritrovato cose
che credevo da sempre perdute
Oh padre mio gentile d’affetti
dei tuoi occhi ricordo ancora
la luce d’immenso cielo
Ho ritrovato scamiciate da bimba
con mille pieghe lievi di piume
alle danze su filastrocche antiche
e pur nuove come chiome ribelli
di fanciulli in festoso girotondo.
Ho ritrovato scarpette con suole
bucate sui campi aperti tra l’erba
verde e le spine dei rovi.
Incanti ho ritrovato tra le animate rose
dei giardini sotto l’aureola del sole
e voci gaie correre in gola e urlare delizie
nel biancore glorioso dell’innocenza.
Ho ritrovato nell’oblio di tanta infedeltà
il sacro giuramento dell’amore tra le dita
incrociate su promesse senza fine.
Scherzando nei sorrisi d’intesa
avevo in serbo ardenti ricompense.
Ho ritrovato l’angolo della tua giacca
dove barcollando appoggiavo le mani
incespicando nell’incerto andare.
Quell’orlo di stoffa consunta che ancora
trabocca fiducia sul mondo talvolta
m’affannò il cuore nel lento seguire
il tuo passo leggero di sogni.
Ho ritrovato il tuo parlare offuscato dall’ira
a rimproverare capricci e poco
mancava a morire di paura.
Ho ritrovato subito dopo nel mutevole sguardo
il tepore del tuo abbraccio profumato
di tabacco e clemente di perdono.
Ho ritrovato con te in quei momenti
la dolcezza di mia madre tenera
nel rugiadoso sudore di terra
della nostra ferita terra fucentina.
L’allegra spensieratezza dei fratelli
ricordo con struggente malinconia.
Ho ritrovato nei tuoi racconti tempestosi
le fronde della memoria che leggera
come rondine o nube rasserena
per cogliere tra le macerie il
fiore rinato alla speranza.