La situazione sembra essere in lieve e progressivo miglioramento, ma è ancora troppo presto per potersi sbilanciare su qualsiasi data o possibilità. Quel che è certo, è che le ultime settimane sono state un vero e proprio susseguirsi di riunioni, incontri e aggiornamenti, a tutti i livelli. La pandemia di Coronavirus ha infatti bloccato l’Italia – e non solo – nella maggior parte dei settori, e gli organi competenti hanno dovuto fronteggiare questo scenario per capire come poter ripartire.
Non ultimo, il calcio. Sono parecchie le federazioni di altri sport che, di fronte a questa situazione, hanno ritenuto opportuno dichiarare la conclusione anticipata e definitiva della stagione in corso. Qualsiasi attività sportiva, ad ogni livello, è stata vietata e annullata su tutto il territorio italiano ormai da un mese e mezzo. Una decisione che non ha però modificato le opinioni in merito al campionato di calcio.
Perché il calcio spinge per ripartire
A differenza di molte altre discipline, per quel che riguarda il calcio c’è una forte volontà di portare a termine la stagione in corso, in tutte le sue competizioni. E dunque, per quel che riguarda semplicemente il territorio italiano e non le sfide internazionali, il campionato e la Coppa Italia. È questa la volontà di quasi tutte le parti in causa: dalla federazione agli organi competenti, dalla maggior parte dei club fino ai giocatori. Insomma, la pressione per tornare al campo è tanta.
Soltanto ieri il presidente della FIGC Gabriele Gravina si è espresso in merito, ed ha lasciato trasparire una posizione piuttosto netta sulla questione: “Non voglio essere il becchino del calcio italiano”. Ma perché? Quali sono le motivazioni che spingono il mondo del calcio a voler ricominciare in maniera, potremmo quasi dire, così ostinata? Sono di varia natura. A partire dalla forte importanza simbolica che questo sport ricopre per la quotidianità di milioni di tifosi in Italia, ogni giorno.
Ma anche, fortemente, economiche. In queste settimane sono state fatte decine di calcoli e previsioni, e le ipotesi consequenziali ad un eventuale stop definitivo per il mondo del pallone dipingerebbero uno scenario di rara gravità: perdite stimate per numeri che potrebbero anche raggiungere il miliardo, per la sola Serie A. Senza considerare le categorie minori, per le quali i danni non sarebbero poi da meno.
Ma come è possibile? Lo è, perché nel momento in cui parliamo di calcio non dobbiamo pensare solamente ai diretti protagonisti, le società e la federazione, che pur registrerebbero danni incredibilmente consistenti a livello di marketing, vendite, pubblicità e – mancati – incassi. Esistono però tutta un’altra serie di figure che attorno alle squadre ed ai match gravita, e vive: dalle emittenti televisive fino a tutti i siti italiani legali di scommesse sportive. Ecco perché uno stop definitivo vorrebbe dire interrompere tutta una catena di luoghi e professioni: non soltanto delle partite.
Le possibili opzioni
Ed ecco perché la maggioranza delle parti desidera tornare in campo. Ad una condizione però. Sarà infatti fondamentale che le attività riprendano solo quando e come il virus ne lascerà la possibilità. In sostanza, c’è grande consapevolezza che in questo momento la salute è molto più importante, e dunque le squadre potranno tornare ad allenarsi – e poi a giocare – solo nel momento in cui ci saranno evidenti cenni di miglioramento dal punto di vista sanitario.
Tutto dipenderà insomma dall’evoluzione della pandemia. Fino a questo momento sono state parecchie le date ipotizzate per la ripresa, ma tutte hanno poi subito delle traslazioni temporali: ad oggi la possibilità più concreta sembra essere quella di un ritorno agli allenamenti che coincida con il mese di maggio, grossomodo, così da poter tornare agli incontri ufficiali – al più tardi – ai primi di giugno. Ma tutto resta da definire.