L’armistizio dell’8 settembre 1943: l’anarchia nella Marsica e le drastiche misure di repressione

Prigionieri austriaci e indiani nel campo di Concentramento di Avezzano
Prigionieri austriaci e indiani nel campo di Concentramento di Avezzano

Per porre l’attenzione dei lettori su rilievi principali, abbiamo cercato di portare alla luce un’ampia sintesi storica degli incalzanti avvenimenti dell’anno 1942-43, quando, tra l’altro, l’organizzazione spionistica fascista (OVRA) e il Tribunale Speciale lavoravano di concerto senza riposo giorno e notte. 

Ad Avezzano, dove ormai circolavano liberamente confinati, internati politici e delatori, l’ispettore generale Pasquale Andriani svolse, come sempre, la sua azione repressiva verso i soliti: Spina, Palladini, Gualdi, Capitani, Di Filippo, Gamberale, Lanzi, Spallone e altri, sorpresi più volte dalla polizia ad ascoltare radio Londra in una nota locanda del luogo. Furono tutti arrestati e poi tradotti a Roma per essere giudicati. In seguito all’amnistia del ventennale della marcia su Roma, vennero prosciolti dalle accuse. Anche se, amaramente, lo stesso Andriani comunicò alle autorità superiori, che pure «lo spirito pubblico» della popolazione avezzanese e marsicana non era certo esaltante, laddove si riscontrava: «uno stato d’animo di fatalistica rassegnazione, se non di abbattimento, che si andava man mano determinando» in funzione della lunga guerra e dei sacrifici sostenuti (1).

Occorre ancora considerare che i grandi scioperi del marzo 1943, di cui non si poteva misconoscere la portata politica, iniziassero proprio nell’Italia settentrionale, dove centomila operai incrociarono le braccia. Infatti, come afferma Giorgio Vaccarino: «nel primo semestre del 1943, gli insuccessi militari degli eserciti fascisti fecero pensare che l’Italia stesse avvicinandosi alla fine della sua guerra disgraziata. Era l’ora dell’esplosione nazionale dell’antifascismo, favorito ancora di recente dalla dimostrazione di forza delle masse operaie del Nord». 

In realtà, la fatidica giornata del 25 luglio 1943, che portò alla caduta del fascismo, non avvenne per iniziative tentate dagli antifascisti, bensì dal voto di fiducia richiesto eccezionalmente al Gran Consiglio da Mussolini, in un momento di crisi. Questo importante apparato politico gli negò, stavolta, il suo appoggio, portando lo stesso duce a rassegnare il mandato al re, che si ritenne finalmente autorizzato dal meccanismo costituzionale ad accettarlo. In più il monarca fece arrestare Mussolini, dopo aver affidato l’incarico al maresciallo Badoglio per costituire un nuovo governo. Il fascismo cadde dunque: «per esaurimento interno, in un tripudio incontenibile di gioia popolare, senza che le opposizioni democratiche direttamente lo determinassero; ma non senza l’antifascismo militante, specialmente attraverso i moti operai della primavera avesse fatto valere la sua incontenibile pressione. I partiti, così, del Comitato delle opposizioni, uscirono alla luce e richiesero la fine della guerra, l’estirpazione del fascismo e l’immediata liberazione dei prigionieri politici antifascisti. Dopo 45 giorni di attesa gli Alleati, reso pubblico l’armistizio convenuto segretamente con Badoglio, sbarcarono a sud di Napoli. Roma fu occupata dai tedeschi che nel frattempo avevano calato in Italia sino a diciotto divisioni, mentre il sovrano con il governo Badoglio ripararono per via mare a Brindisi estremo lembo della penisola. L’esercito italiano, sorpreso dall’aggressione dei tedeschi si difese come poté» (2).

Dopo la prima riunione del Consiglio dei Ministri (28 luglio del 1943), che determinò la soppressione del Gran Consiglio e del Tribunale Speciale, la liberazione dei condannati politici e la nomina del nuovo prefetto aquilano Rodolfo Biancorosso, ci fu subito un mutamento di direzione dei giornali, che si adeguarono alle esigenze del «nuovo ordine di cose». L’armistizio dell’8 settembre fra l’Italia e gli anglo-americani, dopo tre anni e tre mesi di guerra, venne annunciato alle ore 19,45 da Badoglio alla radio con queste parole: «Non si può esigere da un popolo di continuare a combattere quando qualsiasi legittima speranza, non dico vittoria, ma finanche la difesa, si è esaurita. Occorre soprattutto, in questo grave momento della storia d’Italia, che il senso della consapevolezza responsabile presieda ad ogni atto della nostra vita» (3). La risposta immediata del generale Rodolfo Graziani al discorso di Badoglio non si fece attendere, indirizzando agli ufficiali, ai soldati, ai marinai e ai militi delle forze armate d’Italia, un messaggio che accusava apertamente il re e Badoglio di alto tradimento. Secondo lui, in questo grave momento, avevano lasciato «Così nell’anarchia e nel caos le forze armate che nelle tragiche giornate del 9 e 10 successive, senza guida, senza ordini, senza condottieri e capi, si sono dissolte, hanno abbandonato le armi, subendo così l’onta e la vergogna» (4). Tuttavia, come ben sappiamo, l’armistizio ridusse tutta l’Italia in un campo di battaglia diretto specialmente contro le forze tedesche assai più numerose e meglio armate: «Tutti i combattimenti furono ingaggiati dai comandanti locali e dalle loro truppe di loro iniziativa e sotto la loro responsabilità» (5). 

Di fatto, rimane espressiva la testimonianza dell’antifascista Giulio Butticci di San Potito di Ovindoli: «Ripartii da Roma l’8 settembre, giusto in tempo per sentire alla radio, appena arrivato in paese, la proclamazione dell’armistizio [] Passai la notte tra speranze e timori, ma il giorno seguente, quando vidi giungere per le vie di campagna, in abiti borghesi, i primi soldati che avevano gettato le armi perché la guerra era finita, il cuore mi si strinse [] In serata poi si presentarono in casa mia Remo e Pietrantonio Palladini, che avevano partecipato, nella mattinata, ad un comizio tenuto nella piazza di Avezzano [] Io ne approfittai con altri paesani per portare, quel giorno e nei successivi, soccorsi di viveri ai prigionieri che erano fuggiti dal Campo di Concentramento di Avezzano». 

Per fare chiarezza sullo sbandamento generale, basterà citare alcuni passi dello storico Massimo Salvadori (partigiano antifascista) che, nel suo saggio, descrive il comportamento dei soldati sbandati, scampati alla cattura dei tedeschi, rifugiandosi alla macchia: «Il 12 settembre l’Italia era disarmata. Chi poteva aveva gettato via l’uniforme e si era procurato una giacca civile. Tra l’8 e l’11 settembre la maggior parte dei soldati e degli ufficiali aveva avuto un’idea sola: tornarsene a casa» (6). 

Alla luce di queste dichiarazioni e per inquadrare meglio le annotazioni che seguono in ambito generale (infatti, sarebbe impossibile elencare tutte le fonti), è opportuno tener presenti per una più organica ricostruzione storica, gli episodi più espressivi di un momento tanto convulso. Una messe quanto mai ricca di cronache e di memorie, di cui non è facile fornire un bilancio abbreviato (tanto la documentazione sulla «Resistenza» in Italia si disperde in cento rivoli distribuita in molti archivi), ci permette di cogliere tra il filone di cronache locali, solo quelle più drammatiche sulla resistenza partigiana attivamente svolta nella Marsica. 

Fonti generali importanti, rimangono i quotidiani e i periodici italiani, clandestini e non, come: Il Giornale d’Italia, il Corriere della Sera, Il Mattino, La Gazzetta del Popolo, La Stampa e Il Messaggero, che ormai riportavano dettagliatamente le notizie dello sbarco alleato dei generali Harold Rupert Leofrig George Alexander e Mark Wayne Clark, mentre Mussolini, fuggito sul lago di Garda dal 25 luglio 1943, era già pronto a fondare la Repubblica Sociale a Gargnano (provincia di Brescia), dalla residenza di Villa Feltrinelli, protetto da ben trenta SS. della guardia personale di Hitler. 

A giugno le truppe anglo-americane entrarono a Roma, causando la disordinata ritirata dei tedeschi. Il Messaggero, seppur censurato in parte, riportò nelle prime pagine gli «Atroci misfatti nazisti» (7). 

 In realtà, come lucidamente analizza la situazione lo storico Gabriele De Rosa: «le correnti antifasciste seppero trovare, al momento dell’insurrezione partigiana, quel linguaggio unitario, aderente agli interessi nazionali del Paese […] Ci sembra, insomma, che l’antifascismo militante contribuì notevolmente ad assegnare quel valore di guerra democratica, di guerra fondata nel principio della difesa delle essenziali libertà […] Occorrerà distinguere diverse fasi della lotta dell’antifascismo in esilio e nell’attività cospirativo-clandestina all’interno» (8). 

NOTE

  1. R.Colapietra, cit., p.193.
  2. Un contributo davvero rilevante per tutto questo convulso periodo è stato svolto da: G. Vaccarino, La resistenza al fascismo in Italia dal 1923 al 1945, pp.26-27 in Il movimento di liberazione in Italia, in «Rassegna di Studi e Documenti», NN. 54-57; per la citazione si consulti il N. 54, Fasc.I, Gennaio-Marzo, Milano, 1959. Si tratta di una lucidissima relazione che il professor Vaccarino espose alla «Prima Conferenza Internazionale sulla Storia della Resistenza Europea», organizzata dalla federazione belga dei professori di storia e sotto la presidenza del prof. André Puttemans, che si svolse a Liegi dal 14 al 17 settembre 1958. 
  3. Il Messaggero, Anno 65° – N. 217, Venerdì 10 Settembre 1943. Le ragioni dell’armistizio esposte dal capo del Governo.
  4. Ivi, Anno 65° – N. 230, Domenica 26 Settembre 1943. Forte discorso alla radio del Maresciallo Graziani Ministro per la difesa Nazionale.
  5. Ferruccio Parri (Presidente dell’Istituto nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia), Il movimento di liberazione in Italia, in «Rassegna di Studi e Documenti», N. 55, aprile-giugno 1959, fasc.II, L’armistizio, gli Alleati ed il Governo Badoglio, p.73.
  6. G.Butticci, Sul 25 luglio e sull’8 settembre 1943, in «Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza», Anno IV NN.2-3, luglio-novembre 1983, pp.275-276; Cfr.    M.Salvadori, Storia della Resistenza italiana, Neri Pozza, Venezia 1955, p.67. Max William Salvadori Paleotti fu un militante storico di Giustizia e libertà, dal 1946 docente di storia allo Smith College di Northampton (USA), morì il 6 agosto 1992.
  7. Il Messaggero, Anno 66° – N. 136, Giovedì 8 Giugno 1944. La notizia, per metà sbiancata dalla censura, parlava di Bruno Buozi e i suoi tredici compagni che furono trucidati dai criminali delle S.S.
  8. G.De Rosa, Considerazioni storiografiche sulla crisi dello Stato prefascista e sull’antifascismo in «Il Movimento di Liberazione in Italia», Rassegna di Studi e Documenti, N. 57, Ottobre-Dicembre 1959, Fasc.IV, Genova, Palazzo dell’Università 24 maggio 1959, Relazioni, p.67sgg.

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