Fino a qualche anno fa gli studenti delle ultime generazioni non erano in grado di associare alcun evento alla data del 27 gennaio, giorno in cui le truppe sovietiche giunsero alla città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), liberando quei pochi disgraziati che erano ancora rimasti in vita nel famigerato campo di concentramento.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (1° novembre 2005), con la risoluzione 60/7 stabilì di celebrare il «Giorno della Memoria, Giornata Internazionale istituita per ricordare le vittime della Shoah». Anche quest’anno, manifestazioni forse un po’ retoriche e attente soprattutto a non scuotere troppo le coscienze magari mettendo in massimo rilievo l’annientamento delle opposizioni, la conquista del potere del fascismo e la nefasta costruzione dello stato totalitario, rimangono “opportunamente” distaccate da un racconto troppo crudo di una delle pagine più oscure e ignobili della storia del Novecento.
In questo quadro, una lettera indirizzata al Duce, ci permette di riaprire da “storici” il doloroso problema che dette il via all’olocausto attraverso l’emanazione delle leggi razziali del regime fascista nel 1938 e le relative misure esplicitamente adottate per colpire gli ebrei: una svolta agghiacciante intrapresa dall’Italia fascista, con particolare attenzione posta ai processi che attivarono il «Censimento». Infatti, nello stesso anno s’individuarono nel territorio italiano l’esistenza di ben 47.252 ebrei di cui 138 solo negli Abruzzi e Molise.
Da una mole ormai ragguardevole di studi e di analisi empiriche, si ricava l’idea apparentemente ovvia di un capitolo della nostra storia davvero vergognoso ma anche pieno di sfumature e contraddizioni, dove l’ideologia fascista fu chiamata a fare i conti non soltanto con lo stesso governo ma con l’intera popolazione italiana.
È appena il caso di ricordare (ancora una volta) che Mussolini nel 1936 aveva conquistato l’Etiopia, avviando una politica razziale già nelle nuove colonie.
Nel 1938 il razzismo prenderà le forme dell’antisemitismo con il «Manifesto degli Scienziati Razzisti» pubblicato il 14 luglio dello stesso anno, sottoscritto da ben 180 scienziati del regime.
Il 19 novembre, in un clima di terrore e paura, gli ebrei sono espulsi improvvisamente dal partito fascista e nell’arco di pochi mesi giunsero in tutti gli uffici di prefettura nuove restrizioni per loro, con il divieto di accesso a qualsiasi ufficio pubblico; oltremodo, tutti i professionisti israeliti saranno cancellati dagli albi professionali. Addirittura, i testi di scrittori ebrei, scompariranno dalle librerie e dalle biblioteche italiane.
Per loro il colpo sarà mortale: all’improvviso non furono più considerati “italiani”.
I podestà (sindaci) di ogni paese marsicano furono costretti a compilare una «Denunzia di appartenenza alla razza ebraica» comunicando alle autorità fasciste che:«pel disposto dell’art.9 del R.decreto-Legge 17 Novembre 1938-XVII, n. 1728, recante provvedimenti per la difesa della razza italiana, l’appartenenza alla razza ebraica, deve essere denunciata ed annotata nei registri dello Stato Civile della popolazione»
Occorre però specificare che l’antisemitismo era già un fenomeno molto diffuso nelle culture occidentali e risorgerà ancor più forte in Europa, generato proprio dall’ambiente politico dopo la Prima Guerra Mondiale. È anche necessario ricordare che la Germania deteneva il primato e, di conseguenza, in un’Italia fascista protesa verso una solida alleanza con i tedeschi, la questione fu come un elemento di emulazione essenziale (le disposizioni di Norimberga sulle discriminazioni razziali emanate dal 1933 al 1935, avevano escluso gli ebrei dalla vita economica e sociale tedesca).
Oltretutto, una preoccupante superiorità e una diffusa cultura razzista, per esempio, erano ancora elementi e fenomeni molto diffusi in Europa, anche in paesi democratici come la Francia. In tale ottica, come vedremo, la patologia di carattere politico, essendo l’antisemitismo, una costante europea, s’inasprì quando divenne legge.
Nel febbraio del 1938 in Italia c’èra stata una netta svolta del regime fascista verso questa situazione: bisognava inventariare ufficiali ebrei dell’esercito, professori di università e capi di famiglia di qualsiasi altra professione attraverso l’informazione diplomatica numero quattordici, con la quale il governo si riservava di occuparsi anche del 10% degli ebrei iscritti regolarmente al partito fascista. A settembre, in attesa della deliberazione del Gran Consiglio: «Il Consiglio dei Ministri delibera l’esclusione dalle scuole di tutti gli insegnanti ed alunni nati da genitori di razza ebraica». Si tracciava così l’intelaiatura dell’assurda azione organizzativa.
Il 6 ottobre 1938 fu promulgata dal Gran Consiglio del fascismo la Carta della Razza che pose le basi normative della campagna antisemita. Il 10 novembre il Consiglio dei Ministri traduceva, infine, la «Carta» di una vera e propria legislazione approvata dal Parlamento e sottoscritta da Vittorio Emanuele III.
Con il «Regio Decreto-Legge» del 17 novembre si completerà l’orribile operazione riassumendo in ventinove articoli il nuovo status giuridico degli ebrei, che fino a quel momento, tuttavia, avevano contribuito nel campo della letteratura, delle arti librarie e delle scienze a far grande l’Italia.
Dalla raccolta di queste direttive emergeranno struggimento e delusioni cocenti anche nella Marsica, specialmente per alcune famiglie di ebrei che vivevano e operavano stabilmente da anni sul nostro territorio come italiani.
Appena uscite le leggi razziali molti ebrei, prenderanno carta e penna per scrivere al Duce, esprimendo forti preoccupazioni.
La missiva di Dino Melli, ritrovata nell’Archivio Centrale dello Stato, ne rappresenta (come tante altre) un esempio davvero inquietante. Si tratta di un «ebreo avezzanese», che credeva di convincere Mussolini a riconsiderare la sua posizione di fedele fascista:
«Eccellenza
Sono fascista dal 1920, marciatore su Roma, facente parte ad Avezzano, quale capo zona dei Sindacati dell’Agricoltura, attuale mia residenza. Sono israelita ed ho seguito sui giornali le disposizioni riguardanti la tutela della razza e sul Popolo d’Italia ho letto pochi giorni orsono un articolo nel quale un rabbino di Roma ha scritto che non si può chiedere ad un ebreo di essere “Italiano” al cento per cento.
Non è vero!
Io che non ho mai avuto contatti diretti coi miei corregionali, che mi sono fatto uomo alla scuola del Fascismo, che li ho sempre mal demeritati come potranno farne fede i dirigenti, che ho amato ed amo Voi più del padre mio, che adoro la mia Patria l’Italia al di sopra di tutto e di tutti, mi sento orgoglioso di chiamarmi Italiano al cento per cento e di aver servito la causa della Rivoluzione.
La mia dedizione al fascismo e al bene della Patria è stata completa e se anche il destino vuole che per ordine vostro io sia colpito materialmente e moralmente nell’essere licenziato dal che onoratamente ricopro, vi chiedo Eccellenza solamente una grazia.
Quella di essere da ricevuto da Voi per rinnovarvi il mio giuramento di fede e di fascista, sempre pronto a versare il mio sangue per Voi e per la Rivoluzione delle Camicie Nere.
Devotissimo (Melli Dino)
Avezzano, 11-9-1938 XVI°»
Evidentemente, l’avezzanese era convinto che il Duce potesse capirlo e aiutarlo molto di più di quegli che gli stavano intorno, sempre pronti a commettere errori. Il suo fu un accorato tentativo di appellarsi a Mussolini ritenendolo giudice supremo ma buono.
Queste lettere, invece, esaminate oggi, meritano commenti più rigorosi, poiché questo ebreo avezzanese che si era identificato sempre nella rivoluzione fascista in quel momento vivrà un doppio dramma di fascista tradito e deluso e di ebreo italiano emarginato, con provvedimenti restrittivi di vita pratica e quotidiana. Oltretutto, Dino Melli, capirà ben presto, che la strada intrapresa dalle leggi razziali non si fermerà più. Queste norme discriminatorie travolgeranno lui e la sua gente in un vortice di timori e paure concrete.
Sulle diverse lettere inviate a Mussolini, scritte da ebrei italiani ben integrati nella vita sociale, spesso si nota la risposta del Duce siglata con una M, posta sulla missiva a matita rossa, come, per esempio: «State tranquillo»; oppure con una «A», che distingueva un «caso da trattare con riguardo». Ciò, non significò, ovviamente, la salvezza del supplicante, anche se aveva dichiarato con fermezza la sua estrema fedeltà al regime. Mussolini dimostrerà, purtroppo, il suo razzismo convinto, vigoroso, inflessibile.
Alcuni studiosi del settore hanno affermato che forse, a livello privato e personale, qualche problema tentò di risolverlo, ma generalmente il suo linguaggio era ambiguo.
Non si può ignorare, purtroppo, come andò a finire anche la vicenda dell’avezzanese Melli e quella di tutta la sua famiglia.
Con le leggi razziali tutti gli stranieri (ebrei italiani e non solo) dovettero abbandonare il paese entro sei mesi. Chi non lo fece, ormai destituito da ogni incarico militare, civile, impiegatizio, marchiato obbligatoriamente con la «Stella di Davide» cucita sui vestiti, fu relegato nei ghetti, in seguito carcerato, torturato, sterminato e annientato perché appartenente a una «razza maledetta»; infine internato, prima nei campi di concentramento italiani e poi tradotto in quelli terribili sparsi in tutta Europa, dove, com’è noto, trovarono la morte oltre sei milioni di persone di ogni razza e ceto diverso da quella “prescelta”. È importante citare per gli ebrei italiani (come ha rilevato recentemente lo storico Mauro Canali), il campo di concentramento di Fossoli (Modena), poiché da lì poi furono inviati tutti ad Auschwitz, come ben scrisse Primo Levi nel libro «Se questo è un uomo».
NOTE
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale, Demografia e Razza 1938-1944, Lettera di Melli Dino.
La Stampa, Sabato, 3 Settembre 1938, Torino, Anno 72, Num. 209.
S.Schaerf, I cognomi degli ebrei d’Italia con un’appendice su le famiglie nobili ebree d’Italia, Casa Editrice “Israel”, Firenze,1925.
Fermi, Atomi in famiglia, Mondadori, Milano, 1954.
S.Gentile, Le leggi razziali: scienza giuridica, norme, circolari, Ente per il diritto allo studio, Università Cattolica, Milano, Educatt, 2010.
G.Sale, Le leggi razziali in Italia e il Vaticano, Jaca Book, Milano, 2009.
AA.VV., 1938: Leggi razziali una tragedia italiana: 70 anniversario, Tullia Catalan, Ebrei in Italia negli anni Trenta, a c. di M.Pezzetti e B.Vespa, Cangemi Ed., Roma, 2008.