Quarantacinque anni fa la Cooperativa cinematografica “Centofiori” con sede in Roma, via Accumoli 18, presentò un progetto cinematografico sul paese di Opi e sulla sua popolazione che, però, non venne mai realizzato. Voglio raccontare cosa prevedeva l’intero progetto. Prima di iniziare, mi piace dire che nella nostra zona sono stati girati tanti film tra cui uno dei più belli dell’intera cinematografia italiana facente capo al neorealismo: “Uomini e Lupi”. Pellicola diretta dal regista Francesco De Sanctis e che annovera tra i suoi interpreti la bellissima e brava Silvana Mangano, Yves Montain, Irene Cefaro, Pedro Armendariz, Guido Celano, Giulio Carli, Giovanni Matta e Euro Teodori.
Opi era un paese di montagna, una comunità di quattrocentocinquanta abitanti assediata e circondata dalle bellezze del Parco Nazionale d’Abruzzo (oggi Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise). Oggi tra gli abitanti di questo piccolo centro e la natura circostante sembra essersi rotto il vecchio rapporto d’amore che c’era un tempo. La vita sociale ed economica di Opi, basata su un’economia “agro-silvo-pastorale” si è trasformata in un’economia “turistica”.
Il progetto cinematografico voleva dare voce alla memoria per raccontare le matrici sociali e culturali della popolazione di Opi. Voleva raccontare il passato, con testimonianze raccolte in paese. Tra le testimonianze c’era quella dedicata all’attività svolta dalla popolazione di Opi alle “Pagliara”, un nucleo di stalle sorte nel 1700 a valle di Opi centro; un vecchio carrettiere che conduce alla abbandonata “Segheria” della Val Fondillo (oggi Museo della Foresta); l’ultima squadra di Boscaioli del paese che raccoglie la legna per “Uso Civico”.
Inoltre una discussione durante una pausa di lavoro, nell’ora del pranzo, sulle scelte ecologiche dell’Ente, raccontando la storia dei boschi e dei pascoli, delle montagne; un vecchio bracconiere che introduce i misteri del Parco e conduce, con il suo racconto, lungo le piste degli Orsi; il mulattiere costretto a percorrere le infinite stradelle dei boschi racconta, da cavallo, i pericoli, i sacrifici e anche le disgrazie che di tanto in tanto capitano; il pastore che con il suo gregge si mette a raccontare quante “tribolazioni” occorre fare per poter sopravvivere.
Una comitiva di giovani che fa visita ad un vecchio pastore in un rifugio di alta montagna che ricorda la cena attorno al fuoco, le canzoni del folklore locale che parlano di tristezza, di malinconia e di emigrazione o si legge L’Orlando il Furioso, La Gerusalemme Liberata, La Divina Commedia, l’Iliade e l’Odissea. Un anziano del paese ci conduce a Pescasseroli, ci mostra gli Alberghi e le Ville alla cui costruzione ha lavorato come manovale al tempo del Boom Economico. L’anziano però non è del tutto soddisfatto, e ricorda quando poteva andare nei boschi e nei campi senza curarsi della busta paga, né delle ore di lavoro realmente svolte.
Accanto alla memoria si avverte la tensione del nuovo, tra incertezze e difficoltà, verso un futuro da costruire qui ad Opi e non un futuro, come è stato finora, realizzato emigrando oltre Oceano o al di là delle Alpi e in altri luoghi d’Italia. La volontà di non rinnegare le proprie radici, di restare all’interno della propria Comunità e di lottare per rinnovarla, non è servita. L’emigrazione è continuata e non si arresta nemmeno oggi che siamo nel 2020.