Quando tacciono le campane. Il rito del giovedì Santo

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In  un  lontano  passato  era  consuetudine  la  sera  del  Giovedì  Santo,  dopo  la  rievocazione  dell’ultima  cena,  legare  le  campane  in  segno  di  partecipazione  dei  paesani al grande dolore della Chiesa per la Passione di Cristo. Da quel momento nelle  campagne si respirava un’atmosfera di attesa in un silenzio irreale. In quei tempi la  vita dei contadini era regolata dai rintocchi delle campane perchè in molti paesi non  esisteva  I’  orologio  del  campanile.

I primi  rintocchi  erano  alle  sei  del mattino.  Iniziava  la  giornata.  A mezzogiorno  ne  seguivano  altri  per richiamare  i  paesani  dalle  terre  e  in ultimo  l’Ave  Maria  della  sera annunciava la fine del lavoro nei campi. In passato una figura importante nella comunità contadina era rappresentata dal  “CAMPANARO”.  Era  l’unico  a conoscere il linguaggio delle campane da  utilizzare  per  ogni  evento  sia religioso che civile. Il  suo compito era quello  di  comunicare,  attraverso  i rintocchi,  l’inizio  della  Messa,  del Vespro,  del  Rosario,  oppure  “suonare le  campane  a  morto”  quando  si celebrava  un  funerale. 

Il  campanaro interveniva anche durante i  temporali quasi a voler allontanare i tuoni e i fulmini e non di rado usava le campane anche per  chiedere  soccorso…. In quegli anni ogni chiesa aveva la propria voce che i paesani  sapevano riconoscere fra le altre. E il campanaro, con scrupolo, il Giovedì Santo legava   le sue campane con una corda, DA QUEL MOMENTO ESSE TACEVANO ED IL TEMPO  RESTAVA SOSPESO. I fedeli vivevano in raccoglimento la fase della Passione e della  morte  di  Cristo.  Il  Venerdì  di  Pasqua,  mentre  in  chiesa  si  spogliavano  gli  altari,  il  campanaro  rompeva  il  silenzio agitando alcuni  strumenti  di  legno  preannunciando  così, con il loro assordante crepitio, le  funzioni religiose della giornata. Uno dei più  conosciuti  era  la  “RAGANELLA”.  Aveva  un’impugnatura  che  si  faceva  ruotare colmovimento del polso. 

La linguetta di legno che scattava sulle tacche di una piccola  ruota dentata provocava un crepitio che dire assordante era dire poco. Si chiamava  “RAGANELLA” perché Il suono che ne usciva sembrava identico a quello delle rane. Il  campanaro, la  faceva  roteare  ripetutamente e  più la girava  forte e  più lo  strepitio  aumentava  d’intensità.  Un  altro  strumento  di  legno  molto  conosciuto  era  la  “TROCCOLA” Era formata da una tavoletta di legno fissa e da due tavolette di legno  mobili.  Afferrando  lo  strumento  per  l’impugnatura  e  facendolo  ruotare  alternativamente  ora  a  destra  ora  sinistra,  lungo  il  suo  asse,  si  provocava  la  percussione alternata delle due tavolette mobili contro le superfici della tavola fissa.  Esisteva una variante a questa TROCCOLA. Era composta anch’essa da una tavoletta  fissa sulla quale però erano installate delle maniglie di metallo mobili.     

Agitando la TROCCOLA a destra e a sinistra le maniglie percuotevano la parte in legno  producendo  il  suono.  Si  attendeva  il  pomeriggio  del  sabato  Santo  per  far  tacere  Troccole e Raganelle allorquando il campanaro slegava le campane che riprendevano  a suonare con forza l’annuncio della Pasqua. Era il momento più vivo vissuto da quella  lontana e forse dimenticata civiltà contadina. 

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