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Raccolta di notizie sulla terra di Opi

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Opi – Nel libro “Le antiche civiltà d’Abruzzo” di Nunzio Febonio, tradotto dal latino da Ilio Di Iorio, emerge che nel territorio dei Sanniti e dei Marsi esistevano città chiamate Milonia, Plistia o Plestinia e Fresilia. Queste città, pur non appartenendo ai Sanniti, erano sotto il loro dominio e si trovavano al confine tra i territori dei Sanniti e dei Peligni. Milonia, Plistia o Plestinia e Fresilia occupavano lo spazio tra il fiume Sangro e le terre dei Peligni.

Tra i paesi della zona, possiamo menzionare anche Valle Regia, Civitella e Rocca. Opi, Pesculum Asserolum sui giochi dell’Appennino presso le sorgenti del fiume Sangro. A due miglia da Pescasseroli, il paese di Opi ospitava una Chiesa Parrocchiale dedicata alla Madre di Dio.

Antica topografia dei Marsi” di Domenico Romanelli – Plestinia, Milonia e Fresilia. Dalla descrizione di Livio apparisce chiaro, che queste tre città fossero state rispettabili fortezze de’ Marsi, dove si rifugiò il loro esercito inseguito dal dittatore M. Valerio Massimo nel 45 di Roma: “Profectus dictator cum exercitu prae uno Marsos fundit, compulsis deinde in urbes munitas, Miloniam, Plestiniam, Fresiliam, intra dies pausos cepit, et parte agri multatis Maesis foedus restituit“. Questo medesimo passo è riportato dal Ciarlanti e dal Febonio.

Viaggio agli altopiani d’Abruzzo agli inizi del 1900”, di Emidio Agostinone che, parlando di Opi, dice: “Opi non è scesa coi secoli, è rimasta sempre in vetta lassù, sopra quella specie di masso sporgente, sopra quel prisma irregolare irto e tagliente che posa con contrasto sul piano più verde e più tenero, fresco di correnti perenni invisibili e popolato di liberi cavalli alla pastura”.

Poi continua: ”Opi non mostra traccia di castello recente, né ruderi di gran tempio pagano dalla Dea dell’abbondanza cui trasse il breve nome. La città marsa, meta di festosi pellegrinaggi in onore della sposa di Saturno, conquistata dai Romani, fu distrutta senza che di lei giungesse un grido agli storici del tempo. Ma a differenza di Pescasseroli, la ricostruzione avvenne nello stesso luogo e il bel nome della deità pagana fu serbato ed esteso all’intero territorio.

La sua storia sicura è breve. Si sa che la maggiore chiesa, quella di S. Maria, esisteva fin dal secolo XII, ma subì gravissimi danni per il terremoto del 1654 e d’antico non ne rimane che il campabile obliquo a cui s’accosta il moderno serbatoio d’acqua, tondo e merlato come un fortilizio. Nell’interno della chiesa non si ha che una sensazione di povertà e di buio. Una Madonnina di legna, arcaica, non la si può fissare tanto è lustra per un’orrida vernice che le ha versato addosso un falegname dei dintorni.

Entro il paesello l’arte non abbonda. Si nota una casa seicentesca dei Dorotea-Rossi, e soprattutto un magnifico panorama chiuso per ogni lato dai boschi. Opi divide con Pescasseroli la maggior ricchezza dei boschi e i loro boschi si fondano insieme. I loro confini sono segnati in buona parte fra l’ombra. La strada che da Opi sale a Forca D’Acero è senza dubbio la più bella e la più ombrosa d’Abruzzo. Un confronto è lecito soltanto con quella che unisce Aquila e Teramo attraverso il Gran Sasso.

Per giungere a Forca d’Acero, allo spartiacque fra le due Regioni, si corre per dieci chilometri nel più fitto e regolare bosco. La strada è levigata come tutte le altre delle montagne abruzzesi, il pendio è dolce, il panorama s’estende sempre più sulla gamma sconfinata del verde. Pare che si vada verso l’infinito. E se il bosco non fosse chiaro, se gli alberi non scendessero regolari, se i tronchi non fossero liberi da sterpi e da viluppi, una sensazione di timore e di sgomento assalirebbe il visitatore estasiato dalla solitudine e dall’immensità dello spettacolo. Dopo dieci chilometri di fuga siamo sullo spartiacque, siamo sulla Forca, incomincia la discesa   verso l’altro versante, verso un secondo spettacolo indimenticabile per contrasto…

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Giacinto Mariani

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