La strage di Capaci, attentato terroristico mafioso compiuto da “Cosa Nostra” il 23 maggio 1992, che uccise il magistrato Giovanni Falcone con la moglie e gli uomini della scorta, significa ripristinare il bisogno di legalità come osservanza di leggi del vivere civile. Anni prima, nell’aprile del 1985, il giudice Falcone in un’intervista per la prima volta “raccontava” e “si raccontava” con queste parole: “A questa città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte, piccola o grande che sia per contribuire a creare in questa Palermo, una volta felicissima, condizioni di vita più umane. Perché certi orrori non abbiano più a ripetersi”.
Il senso profondo di queste affermazioni è nell’intento di affidare a coloro che gli succederanno un alto testamento morale che induce tutti, nessuno escluso, a operare ogni giorno con il coraggio della coerenza dell’impegno civile per realizzare, come invita Don Ciotti, la giustizia sociale.
Se la mafia cresce nel silenzio e nell’indifferenza solo l’informazione può smuovere le coscienze per un futuro senza illegalità e paura.
Soprattutto alla scuola, come istituzione preposta per dettato costituzionale alla formazione, spetta offrire ai giovani un’esperienza didattica che parli di accoglienza e ricchezza della diversità, di sviluppo eco-sostenibile, di cittadinanza attiva nell’impegno collettivo contro la criminalità. Dando agli studenti spunti di riflessione per orientarsi in una globalità, sovente improntata alla diseguaglianza e all’uso della violenza esercitata dalla delinquenza organizzata, li prepariamo per un futuro di cittadini responsabili.
Nel villaggio globale è necessario “un gioco di squadra” che permetta di saper usare con intelligenza e raziocinio la libertà di cui dispone ogni essere umano nella consapevolezza dei propri diritti e doveri. Combattere l’evasione scolastica, presupposto al precoce reclutamento nelle bande dei giovani, è necessario per vincere l’ignoranza con la cultura della legalità. Quando parliamo di giustizia non parliamo solo della sua amministrazione quotidiana, parliamo anche dei valori di base a cui si ispira la distribuzione equa delle risorse nella condivisione di opportunità ed obblighi. Se si smarrisce questo riferimento pedagogico ideale viene meno il fine principale dell’educazione civica delle nuove generazioni. Il dialogo educativo tra docenti e discenti non funziona se è segnato dall’incomunicabilità che attiva meccanismi di difesa che possono concretizzarsi in atteggiamenti di rifiuto, di fuga o in vera e propria aggressività.
Come dice Gherardo Colombo è necessario proporre ai giovani modelli di società a cui conformare le regole della comunità ispirati non a modelli verticali basati sulla gerarchia e la competizione ma su modelli orizzontali, più rispettosi della persona e orientati al riconoscimento dell’altro. Si può sperimentare tale forma di schemi sociometrici nella quotidianità scolastica per contrastare fenomeni di bullismo che presentano, anche se in forma meno eclatante, le stesse devianze della malavita. Per bullismo, infatti, si intende un insieme di comportamenti violenti messi in atto da chi vuole sentirsi superiore ad un altro in base ad una visione piramidale delle dinamiche del potere per cui gli appartenenti a livelli superiori non si riconoscono affatto in quelli dei livelli presunti inferiori.
La scuola deve farsi “Palestra” nella disciplina della relazione umana nella convinzione che ogni persona è in sé apprezzabile, è portatrice di una dignità da tutelare nella solidarietà.
Mi sia concesso concludere con alcuni versi che la poetessa Alda Merini scrisse in memoria di Giovanni Falcone: “La mafia giura…che la cultura non c’è, che l’uomo non è amico dell’uomo…La mafia accusa i suoi morti. La mafia li commemora con ciclopici funerali: così è stato per te, Giovanni, trasportato a braccia da quelli che ti hanno ucciso”.
Maria Assunta Oddi