Riperimetrazione di aree protette del Gran Sasso, WWF: “I vincoli non danneggiano lo sviluppo turistico, servono modelli ecocompatibili”

Abruzzo – Apprendiamo con preoccupazione dagli organi di stampa dell’incontro tenutosi a Bruxelles tra funzionari della Commissione Europea e Luigi Faccia, Consigliere Comunale di maggioranza a L’Aquila con delega alle politiche della montagna, promosso dall’onorevole Elisabetta De Blasis (centrodestra).

L’incontro si incentrava sulla proposta di riperimetrazione di aree del Gran Sasso incluse in Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), ipotesi nefasta che una certa parte della politica locale promuove ormai da anni sostenendo che i vincoli della Rete europea Natura 2000, cui appartengono SIC e ZPS, comprimono lo sviluppo turistico del comprensorio del Gran Sasso. Visto che questo slogan viene ribadito a spron battuto da buona parte dell’amministrazione aquilana, e anche regionale, ci teniamo a ribattere con alcune considerazioni:

Il massiccio del Gran Sasso è interessato da queste due tipologie di aree protette a livello comunitario perché ospita una biodiversità ricchissima in termini di specie animali e vegetali, nonché di habitat. I confini della rete Natura 2000 sul Gran Sasso sono stati istituiti nella loro configurazione attuale non a caso, ma proprio per tutelare al meglio le popolazioni delle specie di maggiore interesse conservazionistico, alcune delle quali endemiche dell’Abruzzo o comunque della catena appenninica, e le aree interessate dagli habitat di maggior pregio (praterie calcifile, ghiaioni basici, faggete ecc.).

Solo pochi anni fa, la Regione Abruzzo ha stanziato ingenti somme per elaborare i Piani di Gestione dei SIC e le relative misure di conservazione. Studiosi e ricercatori hanno analizzato la presenza di specie e habitat e prodotto nuovi studi e ricerche sui territori e certamente non hanno ritenuto necessario proporre alcuna riduzione del perimetro dei Siti Natura 2000. Evidentemente l’estensione delle Aree protette è quella necessaria per mantenere i rapporti ecosistemici tra le varie componenti naturali e assicurare la protezione prevista per legge a specie e habitat tutelati dalla comunità europea.

L’afflusso di turisti nel comprensorio del Gran Sasso ha visto negli ultimi anni un notevole incremento nonostante i vincoli, ed è importante sottolineare come buona parte di questo aumentato afflusso sia attribuibile al cosiddetto “turismo lento”: escursionismo, “nordic walking”, ciaspolate, trekking someggiato; attività insomma che, se correttamente gestite, possono essere svolte nel pieno rispetto dei vincoli necessari alla conservazione dei tesori naturalistici delle montagne abruzzesi e assicurare la presenza e la frequentazione per tutti i periodi dell’anno. Lo stesso non può dirsi per la tipologia di turismo di massa a cui alcuni esponenti della politica locale sembrano abbarbicati: un turismo concentrato nei mesi invernali e legato principalmente alla pratica dello sci da pista e alle attività ricettive a esso connesse.

Una tipologia di fruizione, quest’ultima, che diviene sempre meno sostenibile in termini economici oltre che di impatto ambientale, nel contesto di un riscaldamento globale sempre più rapido e che, secondo le previsioni praticamente unanimi della comunità scientifica, ridurrà drasticamente nei prossimi decenni i periodi di accumulo di neve in Appennino, così come sull’arco alpino. Il fatto che le società che gestiscono gli impianti di risalita del comprensorio del Gran Sasso abbiano fatto grande fatica a tenersi in piedi in questi anni, nonostante in alcune situazioni ci siano stati ingenti finanziamenti pubblici, è un ulteriore indizio che dimostra come questo tipo di modello di turismo non può di certo essere quello vincente per le montagne abruzzesi, già sul medio termine.

A livello internazionale, l’approccio rispetto al “problema aree protette” è diametralmente opposto a quello portato davanti dall’attuale amministrazione aquilana e regionale (e qui ci riferiamo al recente tentativo di riperimetrazione del Parco Regionale Sirente-Velino). La comunità scientifica globale ha chiaramente messo in evidenza come le aree protette attuali non siano sufficienti ad arrestare il drammatico declino della biodiversità e delle relative funzioni ecologiche (i cosiddetti “servizi ecosistemici”), di cui noi tutti beneficiamo (suolo fertile, depurazione di acqua e aria, riciclo dei nutrienti ecc.).

Progetti internazionali come l’ “Half-Earth Program” (https://www.half-earthproject.org/discover-half-earth/), che mira ad avere almeno il 50% della superficie terrestre convertito in aree protette entro i prossimi decenni, o il “post-2020 Global Biodiversity Framework” fissato nel corso della quindicesima Conferenza delle Parti sulla Biodiversità (COP XV) delle Nazioni Unite tenutasi lo scorso anno, che mira a una più efficiente integrazione della tutela della biodiversità nei piani di sviluppo dei singoli Stati, dimostrano come la strada da percorrere sia tutt’altra rispetto a quella prospettata dalla politica aquilana: bisogna incrementare gli attuali livelli di tutela ambientale attraverso programmi basati su solide evidenze scientifiche, liberi da interessi personalistici e dalla logica del profitto a ogni costo, e nel contempo attenti alle esigenze socio-economiche dei territori. Anche la normativa europea in vigore ci chiede del resto di aumentare e non certo di ridurre l’estensione del territorio tutelato.

Per concludere, ribadiamo come WWF Abruzzo l’impegno a difendere le aree protette che custodiscono la biodiversità delle nostre montagne e a promuovere un modello di sviluppo che sia realmente ecocompatibile e capace nel contempo di evitare lo spopolamento delle aree interne. Non esistono soluzioni facili ai problemi complessi del nostro tempo, ma abbiamo ancora la possibilità, attraverso lo studio, l’impegno sociale e la cooperazione, di costruire un futuro migliore per le nuove generazioni, realmente in armonia con il Pianeta su cui abbiamo la fortuna di vivere.

Fonte: WWF Abruzzo

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