Un ruolo essenziale nell’ambito dei duri contrasti tra feudatari locali e altre identità religiose zonali, fu sostenuto dall’abate di Santa Maria della Vittoria (Scurcola Marsicana), monastero fondato nel 1274 per volontà di Carlo I d’Angiò dopo la vittoria su Corradino di Svevia. Il re aveva conquistato il regno di Sicilia grazie a due importanti successi: quello di Benevento nel 1266 contro Manfredi e quello dei Piani Palentini nel 1268.
Dopo le sanguinose battaglie, il sovrano decise di far costruire due abbazie destinate ai monaci cistercensi: Santa Maria di Real Valle (Scafati) e Santa Maria della Vittoria (Scurcola Marsicana). Per volontà dello stesso Carlo, la prima risultò originaria dell’abbazia di Royaumont, che era stata fondata da suo padre (re Luigi VIII), mentre la seconda fu d’origine di Le Loroux ducato d’Angiò. Gli incaricati del monastero francese e quelli di Carlo (tra cui il probabile ideatore della costruzione Pietro de Chaule), insieme all’abate di Casanova d’Abruzzo scelsero il luogo più idoneo per il nuovo insediamento, cominciando subito i lavori di costruzione dell’imponente edificio. Così, già dal 1277 i primi monaci furono chiamati a occuparla, seppur l’abbazia non fosse stata ancora terminata e lo stesso può dirsi della chiesa, quando l’anno dopo Carlo I comunque la consacrò. L’edificio fu probabilmente completato nel 1282, ne è prova la costruzione delle vetrate. Grazie all’ottima dotazione di terre e diritti di pesca sul lago di Fucino, l’abbazia divenne ben presto florida aumentando la sua importanza fino al XV secolo, quando i cistercensi francesi, ostacolati dagli Orsini e poi dai Colonna, furono costretti ad abbandonarla per la conquista del regno di Napoli da parte degli aragonesi. Oltretutto, nel 1502 tutto il complesso fu gravemente danneggiato da un forte terremoto; poi abbandonato nel 1550 e demolito in seguito dagli abitanti del luogo per ricavarne materiali da costruzione. Tutt’oggi restano i ruderi dell’abbazia e due portali innestati nelle chiese di Scurcola (1).
Oltre lo scenario socio-politico, una prima indicazione molto importante nell’ambito delle lotte di usurpazione e possessione, interessa la dura controversia che oppose la reale badia cistercense ai Colonna e ai Bovadilla Sforza Cesarini, conti di Celano. In realtà, il grande monastero, costruito sulla piana come fosse una «porta d’ingresso marsicana» e investito di grandi possedimenti dal re angioino, ben presto scatenò l’avidità dei feudatari locali e dei coloni i quali, dopo aver sopportato lunghe vessazioni, aizzati dai signori romani, si ribellarono all’arroganza dei monaci. Gli eventi più importanti si possono leggere in un documento recensito da un anonimo estensore, che riassume appieno le fasi dell’ascesa e del decadimento della badia durante la dominazione aragonese e il viceregno spagnolo: « […] L’Abate di esso monastero prestava il Servizio Militare, e teneva gente Armata, ed era di più Consigliere, e Cappellano del Re. Questo magnifico, e ricco monastero fiorì per molti anni, stando sotto la protezione delli Sovrani Angioini, ma cessata la loro linea, venne pure a mancargli detta protezione; la Corte Ternana cominciò a darlo in Commenda Concistoriale; e così andarono a perdersi i fondi, le Signorie, e rendite dello stesso, e finalmente rovinò o per tremoto, come alcuni vogliono, o come altri dicono per livore, e scelleragine di alcuni Monaci di Vicovaro, che tanto s’indussero per far dispetto ai Signori di Casa Colonna, nel cui dominio erano passati quelli luoghi. Ora si vedono i soli avanzi di pochi muri di sì magnifica fabbrica. Non potendovi più dimorare i Monaci finirono di andare male i fondi, le rendite, e tutti i diritti che godeva; la statua di sì Miracolosa Vergine Maria fu trasportata sopra la Terra di Scurcola in una Chiesa, che prima doveva essere piccola, e poi col corso del tempo si rese bastamente grande […] » (2). Tuttavia, molti segnali negativi già minacciavano i diritti degli abati di S. Maria della Vittoria, quando l’avvocato concistoriale Di Costanzo, ultimo «Commendatario destinato da Roma», cominciò a trascurare la manutenzione della chiesa, permettendo ad alcuni zelanti cittadini di Scurcola, nemici accaniti degli abati, di denunciare al re la sua negligenza. Accertata la grave situazione, dalla «Curia del Cappellano Maggiore» (1758), due anni dopo venne nominato come abate don Domenico Quercia, sacerdote napoletano che ne rivendicò il possesso, seppur ostacolato dalla corte di Roma e dal vescovo dei Marsi, monsignor Mattei. Al momento della vertenza, rimanevano ancora su carta, i beni situati in nove paesi marsicani e sette in quelli della diocesi dell’Aquila. Così, nella lotta per le rendite e i benefici territoriali si scatenò di nuovo una lunga e aspra contesa, che vide l’abate contro il «Gran Contestabile del Regno» e il principe Barberini. Dopo varie difficoltà (21 ottobre 1794), il massimo tribunale ecclesiastico riconobbe a favore dell’abazia: «il diritto di pescare di giorno, e di notte nell’alto, basso, ripe, e in qualunque parte del Lago di Fucino con due barche Caporali con tenere il corredo di venti barche minori (ossiano adiutrici), e il servizio di centotrenta Pescatori patentati, compresi i Solanieri. Tutti godono l’esenzione dal Foro baronale, e restano sotto la giurisdizione di un delegato, e di provvedere di doppi ripari, e di doppi ordigni, e di andare con esse, e colle adiutrici, e patentati a pescare i Mucchi altrui, quando sono chiamate, e la terzeria, ossia la terza parte del pesce che rimane a beneficio della Badia, colla libertà, e diritto di eseguire, e fare tutta la pesca grande, e piccola, come quella del Contestabile Colonna tanto d’inverno che d’estate». La complessa vicenda, legata agli eventi e alle lotte tra le fazioni di grandi casate (si pensi al banditismo aristocratico che vide protagonista Marco Sciarra Colonna), si concentrò su gruppi di potere sempre pronti a ostacolare di diritti della «Regal Badia» anche con la forza, minacciando i pescatori di S.Maria della Vittoria. In seguito, dopo la morte dell’abate Galliani, il nuovo economo regio affittò di diritti di pesca a Pasquale Massaro di Luco dei Marsi, per la somma annua di «ducati 1053, 22», compresa la stanga e tutti i proventi della pesca. Di lì a poco, la contesa riprese sempre più aspra, a causa degli intrighi e degli ostacoli messi in atto dai Colonna fino a quando la «pesa del pesce nella stanga» fu riunita a quella del feudatario romano e affittata a Giuseppe Antonio Di Clemente di Avezzano. Altre lunghe diatribe presentate nei vari tribunali del tempo furono attivate per togliere definitivamente tutti i diritti zonali all’amministrazione badiale e, tra il 1764 e il 1792, vennero sostenute nuove estenuanti cause contro la curia vescovile dei Marsi (poiché da qualche tempo era reggente dei benefici di S.Maria della Vittoria), dagli avvocati dei Barberini, dei Colonna e dei Bovadilla Sforza Cesarini. L’abbondante documentazione prodotta, offre tutt’oggi un interessante scorcio delle aspre controversie giurisdizionali combattute nella Marsica, soprattutto, per accaparrarsi il diretto controllo delle cospicue rendite derivanti dall’affitto e riscossione della terza parte del pescato. In ogni caso, il promotore tenace e ardimentoso delle rivendiche e diritti badiali, rimase sempre monsignor don Domenico Quercia; nel 1767 le dispute furono riprese con vigore dall’avvocato Giuseppe Sorace e nel 1768 dall’avvocato Vincenzo Aloi, che denunciò di nuovo l’appropriazione illecita dei colonnesi. Moltissimi dati inediti emergono anche dalle dettagliate memorie legali dell’avvocato marsicano Pietro Cambise che, oltre ai dati giuridici veramente interessanti, ci informa anche dei metodi di pesca in uso sul lago. Dopo un lunghissimo periodo di contrasti giudiziari e duri scontri tra pescatori appartenenti alle fazioni, finalmente nel 1791 tutta l’intricata questione venne esaminata dall’Udienza aquilana, ormai stufa di quell’eterna contrapposizione e, infine, la vicenda passò nelle mani del «Caporuota dell’Aquila». Nonostante ciò, l’estrema acredine del conflitto giudiziario, condotto con forza senza esclusione di colpi dai potenti feudatari, si protrasse fino all’eversione della feudalità (1809) e a tutto il 1891, anno in cui la badia fu rivendicata dal regio patronato e dichiarata «Palatina» (3).
NOTE
- P.Egidi, Carlo d’Angiò e l’abbazia di S. Maria della Vittoria presso Scurcola, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, XXXVI (1909), pp. 252-291; 732-767 e XXXVII (1910), pp. 125-175;
- Un dei più grandi eruditi del ‘700, Anton Ludovico Antinori, afferma che: «se non tutti i Monaci, almeno l’Abate soleva risiedere in Tagliacozzo» e tra essi cita il nome degli ultimi abati: Niccolò di Gallese (1437) e Niccolò di Valluccio (1442). Si veda in proposito: Biblioteca Provinciale di L’Aquila, fondo Manoscritti A.L.Antinori, XX, 458; XVII, 456; XVII, 54.
- Archivio Diocesano dei Marsi, Fondo C/60/1177, Anno 1800; Ristretto de’ fatti, e ragioni concernenti la Dignità quasi Episcopale,e Giurisdizione attiva Ordinaria nel Popolo, e Clero spettante all’Insigne Real Badia di S.Maria della Vittoria in Sculcula a prò di Monsignor D.Domenico Quercia Regio Abate della medesima, avverso il Promotore della Curia Vescovile di Marsi, 1764; G.Sorace, A pro dell’Insigne Real Abbadia di Scurcola contro l’Illustre Contestabile Colonna, Napoli, 3 aprile 1767; V.Aloi, Dissertazione Storico-Diplomatica sopra le avventure della Insigne Regal Badia di S.Maria della Vittoria in Scurcula, Napoli, 1768; P.Cambise, Per la Real badia di S.Maria della Vittoria di Scurcula coll’Illustre Gran Contestabile Colonna, nella Regia Udienza dell’Aquila, 6 agosto 1791; Archivio di Stato di Napoli, Amministrazione Generale dei Siti Reali (Anni 1712-1861), Abbadia di Scurcola (1813); Archivio Storico per le Province Napoletane, XXXIV (1909), pp. 252-291; XXXV (1910), pp.125-175. Per una storia dettagliata dell’intera vicenda si veda: G.Grossi-R.Colapietra-F.D’Amore, Scurcola Marsicana, Historia, Comune di Scurcola Marsicana, 2005.