Seconda Guerra Mondiale: giovani prigionieri indiani aiutati dagli abitanti di Villa San Sebastiano

È il 1943 e alcuni prigionieri indiani riescono a scappare dal Campo di Concentramento di Avezzano, quel campo che nel 1920, con la fine della Grande Guerra, era stato parzialmente smantellato ma che torna a essere riutilizzato nella Seconda Guerra Mondiale per accogliere prigionieri inglesi, indiani e neozelandesi. Nell’agosto del ’43, dunque, un gruppetto di soldati indiani riesce a fuggire a piedi attraverso una terra che non conosce. I tedeschi li avevano catturati in Libia e trasferiti nella Marsica. Erano in cinque e in piena notte raggiungono Villa San Sebastiano.

Un paese marsicano piccolo e, al tempo, piuttosto povero. Gli anni di guerra hanno ridotto le persone alla fame. La povertà concede a mala pena il necessario per sopravvivere eppure a Villa San Sebastiano avviene un piccolo miracolo: le persone riescono ad aiutare i cinque ragazzi indiani. I tedeschi sono ovunque e li cercano con tenacia. I fuggitivi trovano riparo tra le vecchie case del paese della Marsica. Si nascondono come possono e in loro soccorso arriva Romano Berardi.

Il paese è atterrito dalla presenza dei tedeschi eppure nessuno dice una parola e, nel contempo, si mette in moto una piccola macchina della solidarietà. Berardi è un giovane fornaio e sceglie di proteggerli. Lui e la gente di Villa San Sebastiano, nonostante la miseria, le difficoltà e il pericolo, decidono di portare loro da mangiare, anche di notte. Possono offrire poco ma lo fanno con il cuore. L’importante è muoversi con attenzione, in silenzio, al buio, senza farsi vedere.

Gli indiani si nascondono tra le bestie, nelle stalle. Romano Berardi a un certo punto, considerata la situazione, li sposta in una grotta. Eppure i tedeschi riescono a sapere e a capire. Fermano Romano e con le botte cercano di farsi dire la verità, cercano di costringerlo a parlare. I nazisti lo minacciano di morte ma Romano tace e continua a mantenere il segreto. Tutta Villa San Sebastiano tace per proteggere i giovani prigionieri indiani.

In tutta la Marsica, in quegli anni, ci furono più di duemila fuggitivi che trovarono riparo tra le case, le cantine, i fienili e le stalle. Giovani in fuga dalla Guerra, dai nazisti e dalle barbarie di un’epoca che non dovremmo dimenticare mai. I nostri conterranei furono pronti a proteggerli, a sostenerli e a offrire loro l’aiuto necessario a rimanere vivi. I marsicani hanno custodito e soccorso chi aveva bisogno, dimostrando di possedere un cuore grande che somiglia molto a una terra aspra ma immensamente gentile.

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