Avezzano – La nuova produzione del TSA –Teatro Stabile d’Abruzzo – ha puntato su uno spettacolo inedito presentando “Per ciò che è Stato”, scritto da Mauro Santopietro che ne cura la regia, in scena al Teatro dei Marsi per la stagione di prosa 2018.
Un storia che, come tante lette sulle cronache nazionali, parla della tragedia vissuta dagli imprenditori in attesa che lo Stato effettui il pagamento per le commesse evase. Una denuncia che il Teatro, nella sua grande espressione artistica, ha formulato con una indiscussa attualità.
L’interpretazione di Antonello Fassari colpisce per la naturalezza con la quale impersona il dramma di un padre di famiglia, imprenditore, che ha dedicato la propria vita esclusivamente in funzione dello sviluppo della fabbrica per il futuro dei propri figli. Ma come si è potuto assistere in questi anni, l’ indifferenza dello Stato nell’assolvere i propri doveri di debitore, porta al tracollo. Fausto Boi (Antonello Fassari) vive il dramma nel dramma. La figlia Elena (Alessia Giangiuliani) è complice di Paolo (Mauro Santopietro) un bancario con il quale ha intessuto una relazione, che denuncia alle redazioni giornalistiche l’evasione, da parte dell’imprenditore, dei contributi di tutti gli operari, determinando il fallimento dell’azienda per poterne poi entrare in possesso, con strategia di marketing. Il figlio Mattia (Antonio Tintis) inserito come capo operaio che rifiuta la nomina di amministratore unico. E’ lo schiaffo di presa consapevolezza del mancato ruolo di padre e della solitudine che vive con il continuo diniego, da parte dei suoi ragazzi, persino per una colazione condivisa. L’imprenditore vede così il suo totale fallimento, egli diventa vittima dello Stato e di una corrotta politica, carnefice della disgregazione della sua famiglia. “Ho perso la presa sulla vita, è stato tutto ridicolo? (…) ho dimenticato di essere un padre. Raccontami di te.” La fabbrica tomba del loro rapporto.
All’apertura del sipario una discesa di sedie, legate a delle funi, intendono la presa di possesso di un ruolo e di un potere. Una scena essenziale: l’interno di un ufficio di una fabbrica. Un gioco di luci rosse porta di volta in volta al “rewind” dei protagonisti.
Originale la regia che crea una sorta di sinergia con il pubblico eliminando la quarta parente, quando in proscenio gli attori, nel loro ruolo, rivolgendosi alla platea la indentificano come operai ad una riunione di fabbrica.
Un’ immagine forte e chiara della nostra società ha ben scolpito il ricordo dei tanti imprenditori suicidi a causa del loro fallimento, dovuto all’ indifferenza dello Stato. “Si diventa fuorilegge non rispettando le leggi per i diritti dei lavoratori, un diritto messo in pericolo proprio dallo Stato.” Una trasposizione teatrale, in un atto unico, dell’autore Mauro Santopietro con un linguaggio moderno e con una regia a forti note che solo in alcuni momenti rallenta il ritmo, capace di arricchire il dramma con momenti di poesia.
“Sono uno stupido, uomo onesto, un semplice uomo onesto. (…. ) II futuro sarà balordo, vivremo da qualche parte e finalmente moriremo. La vita è stata marcia.”
Una sedia capovolta scende alla chiusura del sipario.
“La fabbrica sarà un bel museo nelle mani della Banca.”.
Foto e video di Manuel Conti