Il 13 gennaio 1915 gli aghi dei sismografi di tutta Italia e d’Europa prendono ad oscillare parossisticamente e con ampiezza inaudita; l’ampiezza diverrà vieppiù contenuta con il progressivo aumentare della distanza dall’epicentro ma i segnali del terremoto verranno percepiti dappertutto nel mondo. In Italia le onde si propagheranno per tutta la dorsale Appenninica e il sisma verrà distintamente avvertito fino a Parma; verso meridione invece le scosse saranno ancora percettibili a Potenza (De Magistris).
La zona dove si manifestarono i massimi effetti del terremoto fu quella corrispondente all’epicentro, la conca Fucense, all’epoca gia completamente prosciugata dell’antico lago. Quest’ampia superficie pianeggiante, di poco meno di duecento chilometri quadrati, e costituita da roccia calcarea carsica, fessurata e presentante inghiottitoi e voragini. La conca rappresento da sempre la cupa di raccolta delle acque dell’ampio impluvio e queste, mano a mano che giungevano in basso venivano assorbite dalle fessure e dalle concamerazioni del fondo. Ma con le acque discendevano in basso anche rocce, sassi, detriti, polveri e terre che, sedimentando al suolo, incominciarono ad ostruire dapprima le fessure e poi poco alla volta anche gli inghiottitoi maggiori; il fondo della conca comincio a ritenere le acque che vi si raccoglievano e queste a loro volta contribuirono ad impermeabilizzare il fondo, depositandovi detriti organici che lentamente vennero a costituire un sicuro materiale sigillante ed impermeabilizzante.
Col passare dei millenni e di ere geologiche il fondo della conca, oltre che di acque, si arricchì di depositi alluvionali sempre più spessi e sempre più fertili che discesero nel lago, ma mano a mano si depositarono anche sui pendii costeggianti l’invaso del lago stesso, fino a rivestire di spessa coltre sempre più costipata la base delle colline circostanti. Su questi fertili terreni alluvionali nacquero dapprima piccoli insediamenti che divennero col tempo sempre più importanti ma anche, per la più favorevole trasmissione degli effetti delle onde sismiche, più esposti a pericolo in caso di terremoti. Il terremoto del 13 gennaio del 1915 ebbe come epicentro la conca Fucense. Le onde sismiche che interessarono la superficie svilupparono tutta la loro energia sul massiccio strato alluvionale che costituiva il fondo del lago ma che pure risaliva attorno ai bordi dell’invaso, ove sorgevano gli abitati di Avezzano, Pescina, San Benedetto dei Marsi, Ortucchio e numerosi altri centri minori.
Tutti questi centri vennero tanto duramente colpiti dal sisma da venirne praticamente distrutti. All’epoca del terremoto la città di Avezzano contava 11.200 abitanti; i suoi edifici verranno distrutti per il 95 per cento e sotto le macerie moriranno più di diecimila persone. Si salveranno appena un migliaio di abitanti molti dei quali non perché fossero riusciti a scappare ai crolli ma semplicemente perché si trovavano all’aperto, in campagna. Quasi tutti i sopravvissuti dovettero la loro salvezza al mancato rispetto del giorno di riposo (il 13 gennaio fu festivo). Per il motivo opposto invece una buona parte degli abitanti di Ortucchio e di Cerchio, in maggioranza donne, perdettero la vita. In queste due località erano stati compiuti cicli di prediche e di ritiri spirituali che culminarono, appunto al mattino del terremoto, in una messa solenne con comunione generale.
Fu durante la solenne funzione che si scatenò il sisma; le chiese di Ortucchio e Cerchio andarono distrutte e sotto le macerie del tetto e delle mura i fedeli perirono a centinaia. Cerchio è situata in prevalenza non su terreno alluvionale ma sulla propaggine rocciosa che mano a mano sale verso la Forca Caruso; essa ha quindi risentito il terremoto in misura ridotta che non le città e i villaggi giacenti sulla conca. Questa cittadina quindi avrebbe avuto molto meno vittime che non quelle che ettettivamente ebbe (circa cinquecento) se non vi fossero stati i quattrocento fedeli periti nel crollo della chiesa. Cerchio sorge su terreno compatto al contrario di Ortucchio che invece poggia su di un basamento di detriti, questa località anzi è tanto adagiata su materiali incoerenti d’origine alluvionale che, secondo le escrescenze o il ritirarsi dell’antico lago, alternativamente diveniva un’isola oppure diventava terraferma. Non tutti i centri del Fucino ebbero quindi lo stesso destino, neppure quelli situati ai bordi del lago.
La cittadina di Trasacco, a meta strada fra Luco e Ortucchio, fu colpita solo nella meta lungo la fascia alluvionale, al limitare dell’antico invaso. Le case costruite appena più in alto invece, sulle propaggini rocciose del monte Carbonaro che il sisma scanso per correre più liberamente per le valli verso l’Aceretta, subirono danni meno rilevanti; per conseguenza molti abitanti della zona alta del paese salvarono le loro vite ed anche i loro beni. Sorte analoga a quella di Trasacco ebbe Celano, costruita in parte su detriti di falda e in parte sulla roccia; la città alta ebbe danni più contenuti che non quella bassa. Rispetto all’epicentro del sommotimento, identificato nella conca Fucense, le onde sismiche raggiunsero, per direzioni preferenziali, zone anche distanti facendosi sentire chiaramente, ad esempio, fino a Roma dove per la scossa cadrà una delle gigantesche statue sul frontespizio della basilica di San Giovanni in Laterano. Ma la scossa del 13 gennaio farà risentire gli effetti ed i danni in molti altri luoghi, a Monterotondo nei pressi di Roma, su di un ampio tratto in riva destra del Tevere, a settentrione della Capitale fino a Fiano, Morlupo e Castelnuovo di Porto ed oltre, raggiungendo e oltrepassando il massiccio del Soratte.
Per altre direzioni il sisma si farà sentire fino in Umbria ben oltre Norcia, nelle Marche a Fermo, nella bassa valle del Pescara a Manoppello ed oltre, fino al mare Adriatico, in Molise a San Vincenzo al Volturno. Nel Lazio meridionale verrà raggiunta e colpita Sora; il sisma correrà ancora verso meridione lungo la valle del Liri. A Sud Est e poi mano mano ad Est il sisma perverrà sull’altipiano delle Cinquemiglia, percorrerà la conca di Sulmona sui versanti settentrionali della Majella. I danni maggiori arrecati dal sisma saranno grosso modo circoscritti entro il poligono tracciabile congiungendo i punti estremi che abbiamo nominati. Ma entro questo vasto territorio, a causa della meccanica di spostamento delle onde di cui abbiamo fatto cenno, i danni potranno essere più modesti in vicinanza dell’epicentro e ricomparire invece imponenti più lontano, lungo una vallata o una cimosa alluvionale.
Testi di Luigi Marra e Gaetano Ferri
I GIORNALI DELL’EPOCA
Avezzano è rasa al suolo e così pure i paesi limitrofi. Gli edifici pubblici sono tutti distrutti. Si calcola che appena ottocento persone siano salve. La maggior parte di esse e ferita. (Stefani). I primi particolari, così come furono diffusi dalla stampa. Si noti come nessuna delle prime notizie provenga direttamente da Avezzano: per buona parte della giornata del 13 gennaio Avezzano fu strappata al resto del mondo: non dava ne riceveva notizie. «Io ero ad Avezzano ed aspettavo il treno proveniente da Celano che doveva portarmi a Tagliacozzo e poi a Roma.
Erano le 7,25 precise. Alcuni minuti dopo si e inteso un rombo terribile come un grande tonfo, lontano dapprima e che poi, via via, si avvicinava. Intanto la terra ha cominciato a tremare. Non era più possibile stare in pie di. Io mi sono lanciato fuori dalla tettoia in mezzo alla linea e in quel breve tratto ho camminato come un ubriaco. Appena sono stato fuori dalla tettoia, questa è rovinata. Sono salvo per miracolo. Questo crollo è sembrato il segnale della rovina di tutti i fabbricati dentro e fuori la stazione. Della stazione non sono rimasti in piedi che il casotto della ritirata e il rifornitore dell’acqua. E non quello nuovo in cemento armato, ma quello vecchio, che pareva dovesse cadere ad ogni istante. Se dentro Avezzano e avvenuta la stessa cosa che alla stazione, Avezzano non deve essere più che un’immane rovina».
La Tribuna, 13-1-1915
«Non mi resi conto esatto, pel momento, di ciò che era avvenuto; ritenni dapprima che si trattasse del crollo improvviso dello stabilimento dove ero occupato, catastrofe forse avvenuta per lo scoppio di qualche macchina. Non potevo prevenire quale orribile immane catastrofe si fosse abbattuta sulla ridente Avezzano, così tranquilla e piena di vita. La gamba sinistra mi doleva abbastanza, ma ciò non mi impedì di trascinarmi fino all’aperto. Ma appena fuori, all’aperto, i miei orecchi furono straziati da mille lamenti. Guardai Avezzano e credetti ancora di essere vittima di un orrendo sogno. Il castello, gli stabilimenti dagli alti fumaioli, la Chiesa dall’artistico ed agile campanile, tutto era scomparso, Avezzano era scomparsa ed al suo.posto non si scorgevano che pochi muri».
«Il Mattino», 14-1-1915
Stamane a Tivoli, dalla linea dell’Abruzzo, sono pervenute le prime gravi notizie sulla stazione di Avezzano. Aveva fatto impressione la mancanza di informazioni sul treno numero 611 che doveva giungere alle ore 8,19. Alle ore 7,30 il capostazione aveva ricevuto ad Avezzano un dispaccio nel quale veniva segnalato per quell’ora un ritardo di sessanta minuti; ma il treno non era ancqra giunto a quella sta-zione. Da allora non si era saputo più nulla. più tardi e giunta la notizia che la stazione di Avezzano era crollata. Poi le notizie si sono fatte sempre più gravi, finchè sui treni di soccorso inviati sulla linea, sono giunti i primi feriti che sono stati trasportati all’Ospedale. Fra essi vi era anche Pietro Rosati, di anni 32, guardia merci alla stazione di Avezzano. Egli ha detto che mentre era in ufficio è stato sorpreso dalla scossa; mentre cercava di fuggire venne colpito alla testa da una trave. Poco dopo tutto il fabbricato della stazione e crollato. Un altro ferito che si trovava vicino al Rosati ha esclamato: «Avezzano è tutta spianata».
«Corriere della Sera», 14-1-1915
Il treno che mi porta nella regione dell’antico lago Fucino, ora prosciugato e ridotto ad agro ubertosissimo, reca con se, avviandosi ai luoghi del dolore, anch’esso i suoi dolori. Figli, genitori, spose di persone che abitavano i luoghi della sventura gremiscono, ansiosi per la sorte dei loro cari, tutte le vetture. E quando il treno interrompe il suo cammino, reso lento dalle condizioni precarie della linea ferroviaria, e dopo aver percorso a passo d’uomo gallerie e ponti che, danneggiati anch’essi dalla tremenda scossa, possono rovinare da un momento all’altro, sosta più lungamente nelle piccole stazioni dei paesetti abruzzesi, e un propendersi ansioso di volti dai finestrini delle vetture e un chiedersi conciato: E ad Avezzano? Ma la risposta attesa non giunge a consolare il dolore di tanti cuori; da Avezzano nessuna notizia, o peggio: Avezzano e distrutta. così a Monte Celio – la prima stazione dopo Roma – dove si incontra il primo treno proveniente da Tagliacozzo, così a Tivoli, così a Mandela. Il Palazzo Torlonia – dicono – (il palazzo più grande e forte di Avezzano) e crollato. Vi sono moltissime vittime. Il quartiere dei soldati (un ex-convento che era occupato da una compagnia del 13’ fanteria), e anch’esso crollato, e quasi tutti i soldati sono periti sotto le macerie. Carsoli, Colli, piccoli paesi della linea di Avezzano, sono immersi nell’oscurità. La popolazione si è riversata nella stazione e accampata nei vagoni ferroviari, timorosa del ripetersi delle scosse.
I treni dei feriti
Ad Arsoli incrociamo un treno di feriti, amorosamente curati dalle suore di San Vincenzo, dimoranti in Arsoli. Sono un centinaio. I feriti giacciono sui sedili delle vettureviaggiatori o a terra nei carri, sdraiati sulla paglia. Sono per la maggior parte feriti non gravemente, alle gambe o alla testa. Intanto qualcuno di coloro che viaggiavano verso Avezzano, nell’ansia di riabbracciare i propri cari ancora vivi, vede svanire le sue speranze. Un vecchio che era partito da Roma con un suo figlio giovanetto, ansioso sulla sorte d’un altro figlio frenatore ad Avezzano, ora apprende che suo figlio – certo Antinori, il quale, nominato solo da alcuni giorni, era partito ieri da Roma e oggi doveva prestar per la prima volta il suo servizio – giace sotto le macerie. Alla stazione di Tagliacozzo, dove ci fermiamo in attesa di un altro treno di feriti, apprendiamo che sono completamente distrutte Massa D’Albe, Magliano, Cappelle e Avezzano. Giunge il treno dei feriti e degli scampati: sono tutti inebetiti dallo spavento, sebbene siano ormai passate sedici ore dal disastro. Non fanno che ripetere che Avezzano e distrutta e che a migliaia vi si contano i morti. L’opera di disseppellimento, iniziata soltanto nel pomeriggio, fu dovuta interrompere per la sopraggiunta oscurità.
Autorità fra le vittime
Ad Avezzano constatiamo che il disastro supera qualsiasi immaginazione. Della stazione non restano che mucchi di macerie, sotto cui sembra giacciano alcuni impiegati. Il capostazione Antonio Fiorentino ha perduto la moglie ed egli stesso e rimasto ferito. Sono morte le principali autorità della città: il sottoprefetto De Terzi e sua moglie, il sindaco Giffi. Il capitano dei carabinieri cav. Natale Pevelli, di Milano, e morto con undici carabinieri e il maresciallo comandante la stazione. Un solo carabiniere si e salvato. Sono invece salve la signora del capitano e la signora del maresciallo. Del distaccamento del 13’ fanteria, composto di 85 soldati, 25 sono morti. Particolarmente notevole e stata l’opera di salvataggio del padovano caporale Tamburo e del soldato Zanone, merce l’opera dei quali furono salvi il tenente Agostino Serrauto e il tenente Lauro De Sanctis. Ambedue questi ufficiali sono pero feriti sebbene non gravemente. E morto anche il delegato Di Salvo. Da Aquila l’amministrazione provinciale ha provveduto a inviare sui luoghi il maggiore dei carabinieri Parenti, il medico provinciale Briccia e altri due medici. I feriti che vennero raccolti dalle macerie sono curati in un carro ferroviario di soccorso, e man mano che hanno ricevuto le prime cure, vengono avviati verso Roma.
A. ROSSINI «Corriere della Sera»; 14-1-1915
Ristabilito il servizio telegrafico con Avezzano, il deputato Sipari ha telegrafato al Messaggero in questi termini: «Il disastro e immane. Avezzano e totalmente rasa al suolo. Celano, Pescina, Luco dei Marsi, Trasacco si dicono seriamente danneggiati. Occorrono subito 25.000 uomini, pane, acqua, medici, barelle, legname per baracche. Il disastro supera quello di Messina per la violenza e per proporzione delle percentuali di feriti». Il Messaggero dice che dall’insieme delle ultime notizie raccolte dai feriti e fuggiaschi i paesi distrutti nella Marsica sarebbero: Avezzano, Cappelle, Magliano dei Marsi, Massa d’Albe, Collarmele, Cerchio, Celano, Ajelli, Paterno, San Pelino, Gioia dei Marsi, Scurcola Marsicana, Capistrello, Antrosano, Castronuovo. I paesi gravemente danneggiati e con morti e feriti sarebbero: Pescina, Ortona dei Marsi, San Benedetto dei Marsi, Ortucchio, Cocullo, Bisegna, Balsorano, Canistro, Civitella Roveto, Civita d’Antino, Castellafiume, Pagliara e Sorbo. Altri paesi danneggiati e pure con morti e feriti sarebbero: Tagliacozzo, Ovindoli, Cappadocia, Sante Marie, Poggio Filippo, San Donato, Santo Stefano, Roccacerro, Carsoli, Pereto, Luco e Trasacco.
«Corriere della Sera», 14-1-1915
Stanotte sono arrivati i militi della Croce Rossa, i quali hanno subito cominciato a curare i feriti. I militi si sono subiti recati nel paese e alla luce delle torce hanno cominciato l’opera dei disseppellimento. Ma sono pochi e manca il materiale necessario per il salvataggio. Alcune squadre di volenterosi sono venute dai paesi vicini ed hanno cominciato l’opera umanitaria, ma hanno dovuto smettere subito, per mancanza dei mezzi indispensabili. Occorrono anche viveri per coloro che si prestano a questa generosa impresa. Episodi commoventissimi si verificano dovunque. Una bambina ha messo fuori una manina dalle macerie. Si sono avvicinati subito dei soldati ed hanno tentato di salvarla; ma per mancanza di mezzi hanno dovuto sospendere l’opera loro per paura di veder morire la piccina da un momento all’altro e quando hanno potuto ritentare l’opera si sono accorti che la povera creatura era già morta e accanto a lei si trovava il cadavere della madre. L’opera dei soldati procede sempre in modo mirabile. Ma i mezzi di cui dispongono sono inferiori ai bisogni. Urge assolutamente provvedere. In questo senso hanno chiesto provvedimento al ministero gli on. Sipari, Torlonia e Guglielmi che sono presenti sul luogo.
«Il Mattino», 15-1-1915
La tragica notte Avezzano tra macerie e i sepolti.
Torno adesso da una rapida corsa attraverso la città. Si può dire che di Avezzano non sia rimasta letteralmente pietra su pietra. I pochi superstiti che si trascinano tra le macerie cercando i loro cari, non riconoscono più le strade. Il terremoto, rovesciando al suolo tutte le case, ha trasformato la ridente cittadina abruzzese in un cumulo di sassi. Qua e 1h, in qualche spazio rimasto libero, intorno a un fuoco improvvisato con rami di alberi, sono accoccolati o sdraiati su coperte alcuni feriti. Durante la notte si sono continuati i salvataggi. Una squadra di elettricisti romani ha estratto dalle macerie la figlia di un impiegato ferroviario, certa Ester Dominioni, di anni 18. Il padre, che era in servizio, ha fatto una trentina di chilometri a piedi per recar soccorso alla famiglia. Egli ha trovato la figlia ancora viva e dalle macerie e stata pure estratta viva la moglie, Luisa Dominioni. Un bambino e il vecchio padre sono stati trovati morti. Con l’aiuto di un distaccamento di soldati giunti da Aquila, i due feriti vengono trasportati su barelle improvvisate alla stazione e curati nei vagoni-ambulanza. Mentre seguiamo il triste drappello ci giungono dalle macerie fievoli richiami di sepolti. Di sotto un cumulo immenso di sassi una voce d’uomo, nel caratteristico dialetto abruzzese, lancia un supremo appello: Aiutateme! Aiutateme! Il lamento del sepolto non fa che accrescere in noi il dolore della nostra impotenza.
A.R. «Corriere della Sera», 14-1-1915
La marcia del treno n. 611, diretto Castellammare-Roma
Durante la rigida notte, tipicamente invernale, un forte vento di tramontana aveva investito con violenza il territorio della Marsica. Il diretto Castellammare-Roma n’ 611 viaggiava con un ritardo di 80 minuti a causa del maltempo. Alle 7,45 del 13 Gennaio 1915 i viaggiatori avvertirono una violenta scossa di terremoto quando il convoglio si trovava fra le stazioni di Celano e Paterno. Il treno ebbe un sussulto simile al rullio di una nave sbattuta dalle onde del mare in tempesta: si udì un grande fragore e poi ancora scosse di terremoto. Il convoglio finalmente si arresto per la brusca frenata dei macchinisti: al sinistro sibilo del segnale di allarme delle vetture si univano le grida dei viaggiatori feriti o spaventati.
La locomotiva, con il rostro spazzaneve contorto è spezzato, ed il bagagliaio erano usciti dai binari con le ruote affondate nel terrapieno. La casa cantoniera n 113 era crollata sul treno ingombrando il binario di calcinacci e pietre. Dalle macerie provenivano grida disperate invocanti soccorso. Il personale di scorta del treno ed alcuni militari in viaggio di licenza estrassero dalle rovine del casello 6 persone: alcune erano solo ferite, altre erano miracolosamente illese. Alla luce incerta dell’alba era subentrata una mattina limpida e serena e le proporzioni della sciagura apparvero subito nella loro tragica realtà. Sul dosso della collina, nei pressi della ferrovia, si vedeva una immensa nuvola di polvere elevarsi da terra verso il cielo.
All’improvviso apparve il villaggio di Paterno, completamente raso al suolo. Dalle rovine delle case uscivano, ad intervalli irregolari, inebetite dal terrore, le persone scampate alla morte. Ad est il paese di Celano sembrava una grande maceria. Intanto i profughi recavano notizie di una grande catastrofe nei paesi vicini: Avezzano, Pescina, S. Benedetto dei Marsi, Cappelle, Magliano, Massa d’Albe, Scurcola Marsicana, Cerchio, Aielli, Collarmele, Gioia dei Marsi, Trasacco e Ortucchio. In quel momento i viaggiatori del treno 611 si resero conto che il terremoto aveva colpito L’intera Marsica. Una ventina di viaggiatori decisero di proseguire il viaggio a piedi percorrendo la linea ferroviaria, parallela alla strada provinciale. Un terrificante spettacolo si presentò loro lungo i sette Km fino ad Avezzano perché fra le rovine dei casolari e delle fattorie, sparse nella campagna, le scene di dolore e di morte erano sempre più numerose. L’improvviso crollo della stazione ferroviaria di Avezzano aveva rovesciato sui binari una quantità incredibile di pietre e calcinacci; alcune rotaie, strappate al suolo, erano piegate e sospese in aria come esili fuscelli. Presso la rimessa-locomotive, seriamente danneggiata, i cumuli del carbon fossile, franati a terra imprigionavano macchine, carri e vetture. Oltre la stazione ferroviaria il centro abitato non esisteva più.
Le cose avevano perduto il loro nome per diventare un ammasso informe di rovine ed un silenzio di morte regnava sulla città. Su un immensa distesa biancastra di pietre si diffondeva, acuto e irrespirabile, L’acre odore di vecchi calcinacci. La ridente e laboriosa cittadina marsicana, con le sue ampie strade ben lastricate, con gli eleganti palazzi, era scomparsa. La grande piazza, intitolata per gratitudine al principe Torlonia, circondata da edifici dalle caratteristiche simili, abbellita da piante ornamentali, era diventata solo un ricordo. La furia devastatrice del terremoto aveva completamente distrutto la maestosa cattedrale di S. Bartolomeo. Intanto nel vagone di IlI classe del treno 611, fermo ancora in linea presso Paterno era stato improvvisato un posto di pronto soccorso per prestare le prime cure agli oltre trenta viaggiatori rimasti feriti nella mattina. Con mezzi di fortuna e con tanta buona volontà le viaggiatrici si trasformarono per L’occasioni in efficienti infermiere. Le ore intanto continuavano a trascorrere lente e nei viaggiatori cresceva sempre di più lo sconforto per L’avvicinarsi della notte e per la mancanza assoluta di un qualsiasi soccorso. La presenza, sul treno di persone anziane e soprattutto di bambini poneva L’urgente necessita di provveder alla loro alimentazione ed a ripararli dal freddo intenso.
Verso le 16,30 si udì dalla parte di Celano il fischio di una vaporiera che si avvicinava. sempre di più al convoglio fermo. Fu un momento di grande conforto per tutti. La locomotiva, inviata in linea per accertare L’entità dei danni subiti dalle strutture ferroviarie e per rimuovere eventuali ostacoli, si trovò all’improvviso di fronte il treno n 611 diretto Castellammare-Roma.
Il triste convoglio effettuo fermate a Celano, Aielli, Cerchio, Collarmele, Pescina, Carrito-Ortona, Goriano-Sicoli, Raiano superiore, Prezza, Anversa e Bugnara, per giungere a Sulmona verso le 22. Durante la lenta marcia furono caricate circa 300 persone fra feriti e superstiti. Ogni paese era distrutto; la fertile e ridente vallata del Fucino si era trasformata in un vasto cimitero. L’oscurità della notte rendeva ancor più cupa la visione di quei luoghi dove oramai regnavano sovrani dolore, distruzione e morte. Dopo i primi momenti di smarrimento e di confusione, ad Avezzano, nel pomeriggio del 13 gennaio 1915, si cominciarono ad organizzare i primi soccorsi fra mille difficoltà. Alla stazione ferroviaria fu possibile comporre un treno per trasportare a Tivoli e a Roma i feriti e i profughi del terrmoto. Nel tratto iniziale fino a Tagliacozzo il treno maturo un forte ritardo perché ad ogni casello e ad ogni passaggio a livello si dovevano raccogliere altri feriti ed altri profughi. Inspiegabilmente i soccorsi tardavano ad arrivare.
Solo verso le 18 transitò a Palombara-Marcellina, diretto Avezzano, un piccolo convoglio composto di una sola vettura ambulanza delle ferrovie dello Stato. Era ben misera cosa di fronte alle centinaia di feriti,bisognosi di cure, ed alle migliaia di morti che attendevano una pietosa sepoltura.
Il racconto d’un ferroviere
La Tribuna pubblica anche un colloquio col sorvegliante ferroviario Marioni che si trovava questa mattina ad Avezzano. Egli ha detto: ”Io ero ad Avezzano ed aspettavo il treno proveniente da Celano che doveva portarmi a Tagliacozzo e poi a Roma. Erano allora le 7.25 precise. Alcuni minuti dopo si e inteso un rombo terribile come un grande boato, lontano dapprima e che poi via via, si avvicinava. Intanto la terra ha cominciato a tremare. Non era più possibile stare in piedi. Io mi sono lanciato fuori dalla tettoia in mezzo alla linea e in quel breve tratto ho camminato come un ubriaco. Appena sono stato fuori da1la tettoia, questa e rovinata. Sono salvo per miracolo. Questo crollo e sembrato il segnale della rovina di tutti fabbricati dentro e fuori la stazione. Della stazione non sono rimasti in piedi che il casotto della ritirata e il rifornitore dell’acqua. E non quello nuovo in cemento armato, ma quello vecchio, che pareva dovesse cadere ad ogni istante. Se dentro Avezzano e avvenuta la stesa cosa che alla stazione, Avezzano non deve essere più che un’immane rovina. Intorno alla stazione c’erano una ventina tra fabbriche e botteghe: non ce n’e più una in piedi. I palazzi degli Stangolini, tutti abitati, sono egualmente crollati e certamente ci devono essere parecchie vittime. Quelle che ho vedute io stesso sono la moglie del capostazione di Avezzano, che e stata estratta morta dalle macerie, una parente di lei, che e stata trasportata a Tivoli in gravissime condizioni, e il casellante del chilometro 100, morto insieme a sua moglie. ”
Il racconto di un ragazzo di Avezzano di tredici anni
Un redattore del Giornale d’Italia ha avuto occasione di avvicinare un ragazzo certo Vicolino Berardi, di anni 13, da Avezzano, il quale era scampato miracolosamente all’immane disastro e, raggiunta la stazione, con molti altri era salito sul treno giungendo a Roma poco dopo le 12. Il Berardi esercitava il mestiere di vetturale e stamane si era recato nella scuderia, essendo stato accaparrato da un viaggiatore per condurlo a Massa d’Albe. ”Verso le 7 – egli ha detto siamo partiti da Avezzano. Eravamo appena usciti dalla città quando all’improvviso il cavallo, che prima si era arrestato, rampando insolitamente il terreno, si e di nuovo rifiutato di proseguire. Nello stesso tempo si e inteso come un forte rombo. II viaggiatore ha creduto fosse il rumore del treno: ma uno spettacolo di terrore ci si presentava alla vista. Nella località dove ci eravamo arrestati vi sono, a destra e a sinistra della via, delle cave di breccia e pozzolana che, come mosse da un invisibile, enorme piccone, hanno cominciato a franare.
Un istante dopo giungeva fino a noi l’enorme fragore prodotto dalla rovina di numerosi edifici che erano come avvolti in una grande nube. Un bambino di circa cinque anni, nudo, correndoci incontro piangente e spaventato ci ha supplicato di recarci ad aiutare il padre a scavare fra le rovine di una casetta li prossima, dove erano sepolti alcuni della famiglia sorpresi dal disastro mentre stavano alzandosi dal letto. ”Noi siamo accorsi, ma mentre stavamo per prestare l’opera nostra, e avvenuta una seconda scossa che ci ha messi in fuga. Un uomo ci avvertiva di non proseguire oltre perché il villaggio di Cappelle, poco distante e che noi dovevamo traversare, era quasi tutto distrutto. ”Mi sono allora recato, sempre insieme col mio compagno, verso la stazione di Avezzano il cui edificio non esisteva più”.