Vito Taccone. Il camoscio d’Abruzzo, edito da Radici Edizioni. La recensione

Avezzano – È in libreria “Vito Taccone – Il camoscio d’Abruzzo”, di Federico Falcone, edito da Radici Edizioni, casa editrice per lettori forti e gentili – così come è scritto sul’omonimo sito web – una casa che dedica la maggior parte della sua produzione all’editoria dei luoghi e si occupa di saggistica e narrativa, con un occhio rivolto alla propria regione e l’altro a microcosmi ancora tutti da esplorare. Il libro di Falcone, sull’epopea sportiva e umana di Vito Taccone, l’ho letto tutto d’un fiato, quasi come una di quelle volate che vedono i corridori ondeggiare pericolosamente sulle loro biciclette prima di tagliare il traguardo alla fine di una tappa.

Alcuni tratti del suo saggio li ho attraversati con la sensazione di pedalare affianco a un amico che ti racconta una storia di fatica, passione e orgoglio, durante un’uscita domenicale per le strade della Marsica meno battute dal traffico.  E mentre si esauriscono le ultime forze, nello spingere i pedali che tendono la catena sulla corona della ruota di un passato eroico, immagino quest’uomo sanguigno, verace, figlio di una terra generosa ma severa, messo alla prova per forgiare un carattere ruvido e genuino in anni in cui si diventava adulti molto presto. Non è mai facile raccontare le vicende di personaggi assurti agli onori delle cronache nazionali e internazionali per le loro imprese sportive. Men che meno appare semplice parlare di uomini che hanno lasciato ricordi indelebili, fra gli appassionati di uno sport duro come il ciclismo, il tutto, senza rischiare di cadere nella retorica dell’agiografia postuma.

Falcone col suo stile asciutto, diretto e senza fronzoli, è invece riuscito a raccontare Vito Taccone col distacco del cronista, restituendone un’immagine autentica. Ma lo ha raccontato anche col rigore dello storico che mette in fila i fatti, senza lesinare le luci e le ombre che hanno accompagnato il personaggio. Genio e sregolatezza, forza e spigolosità sono i tratti del Camoscio d’Abruzzo che emergono in maniera sempre più vivida dalla penna dell’autore. Una scrittura che fruga negli anfratti più reconditi di una personalità esplosiva e naif che si forma nell’immediato dopoguerra, fra la fame e la voglia di emergere. Una volontà ferrea che vuole pervicacemente affrancarsi da un destino che sembrerebbe già segnato. Ma il destino, a volte, mette in campo i suoi trucchi regalandoti uno spirito indomito e un temperamento che pare un cavallo selvaggio lanciato al galoppo verso la grandezza.   

Un libro da leggere perché va a colmare lo spazio lasciato vuoto da una narrativa troppo spesso invischiata nella ridondanza di rappresentazioni immaginifiche ed edulcorate che creano eroi di carta pesta da gettare in pasto all’opinione pubblica per il consumo mordi e fuggi. Falcone invece dimostra che la cronaca di un giornalista appassionato è quanto di meglio possa trovare un lettore per conoscere il percorso umano di un campione del ciclismo che è anche il cammino di un popolo fiero. Un popolo che ha combattuto e pedalato per ogni palmo di benessere conquistato. E forse è questo il senso della chiosa dell’autore in appendice al suo libro, dove scrive: Vito Taccone siamo Noi.    

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